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Un poeta ritrovato:
Garibaldo Alessandrini
Nello sfogliare le pagine d’una vecchia antologia scolastica, ho trovato
alcune poesie di Garibaldo Alessandrini, il cui nome di pubblicista e recensore
avevo veduto in alcuni periodici, verso la fine degli anni cinquanta; nome che
s’era poi, tra la moltitudine dei poeti e verseggiatori del Novecento, perso,
come tanti altri, nell’oblio.
Il Nostro nacque a Ripa di Seravezza (Lucca), in
Versilia, nel 1886, in una famiglia povera, tanto che, undicenne, dovette
abbandonare la scuola per imparare il mestiere di scalpellino. Ma aveva un gran
desiderio di aprendere e disposizione verso la letteratura; soltanto dopo molti
risparmi riuscì ad acquistare un vocabolario della lingua italiana. Intanto, da
scalpellino, Alessandrini era diventato uno scultore ed aprì un laboratorio di
marmista, che rimase attivo sino al 1950. Si fece poi conoscere come poeta.
Pubblicò “Ritmi d’infinito” nel 1926; “Mùrmuri di conchiglie” fu del 1950. E da
questa raccolta erano state tratte le poesie presenti nell’antologia, di cui ho
detto; poesie dai contenuti chiari, dalla forma sfrondata da ogni ridondanza
retorica.
Nella composizione dal titolo “Fiotti d’intima vita” emerge il
contrasto tra vita di città e la campagna, un tema, nel Novecento, trattato da
numerosi poeti; così come quello dell’alienazione, del grave disagio del singolo
individuo che si sente assorbito, in maniera anonima, dalla massa. Alessandrini
ha dichiarato apertamente: “Qui nel fragore delle vie cittadine / mille occhi ti
guardano assenti, diacci, muti, / e non sai più nemmeno se esisti”. Ed ecco il
poeta evocare, commosso, quello ch’egli amava della sua terra, come l’acre
fragranza dei mentastri nei prati; o il canto delle cicale inebriate dal sole; o
il profondo silenzio dei meriggi d’estate, quando gl’immobili uliveti argentei
sembrano di marmo …
Stando in città, il poeta sente ritornargli, talvolta,
nell’intimo, i profumi, i silenzi, i richiami della sua terra; risvegliano in
lui un intenso sentimento nostalgico, lo fanno come rivivere lontano, tanto che pil traffico, che “ridda”1, che si svolge frenetico attorno a lui,
gli sembra che perda di significato, e, anche se per poco, svanisca …
Alessandrini, nella sua Versilia, ha provato il diletto di ascoltare, al
tramonto, il sussurro delle fronde, il fruscio dell’acqua, lo stridio delle
rondini, tutte le voci della natura insieme, come in un vasto colloquio sotto le
prime stelle … Egli ha considerato2 l’ombra che viene, a sera, ad
avvolgere la terra, come pura, “virginea”, poiché essa scende dai cieli
immacolati. E l’ha sentita entrargli nell’animo con una soave, benefica dolcezza
spirituale, come ad accarezzare e lenire “ogni fibra che duole”, dopo la vicenda
del giorno; l’ha sentita “sua”, con quella stessa aderenza che esiste, ad
esempio, tra il muschio e la pietra, su cui questo nasce; tra l’onda e lo
scoglio, che ne è bagnato di continuo … L’ombra della sera non ha arrecato
tristezza al poeta, anzi ha rinvigorito il suo essere, con lo stesso effetto che
può esercitare l’amore d’una donna casta su un cuore appassito.
Alessandrini raccolse il meglio della sua produzione poetica nella silloge
“Innamorata memoria”, pubblicata da Vallecchi nel 1959; egli fu anche fine
dicitore di poesie e conferenziere. Si spense a Pietrasanta (Lucca) nel 1964. La
nativa Ripa gli ha dedicato un busto, posto di fronte all’edificio scolastico..
1 Il poeta ha usato il verbo arcaico “riddare”, girare intorno.
2 Nella poesia dal titolo “Ombra”.
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