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Un turista della fine del Settecento:
Aurelio Bertola e il suo viaggio sul Reno
La stagione estiva vede, al giorno d’oggi, l’ormai
consueto, massiccio flusso di turisti lungo gl’itinerari tradizionali; ma le
genuine emozioni dell’avventura e della scoperta di bellezze paesistiche
pressoché integre, furono privilegio di viaggiatori d’altri tempi.
Un originale “primo viaggio romantico e da turista” (come
lo definì il Carducci) è quello compiuto, nella seconda metà del Settecento,
dall’abate poeta Aurelio de’ Giorgi Bertola (Rimini, 1753-1798).
La sua partenza per la Renania avviene da Pavia (è
insegnante di storia universale in quella università) il primo luglio 1787. Da
Milano, entra in Svizzera, toccando Lugano, Bellinzona ed Airolo. Viaggia in
diligenza, ma anche su una lenta cavalcatura nelle zone montane. Giunge a
Zurigo, il 3 agosto e compie alcune gite nei dintorni. Si reca soprattutto
presso la cittadina di Thalwil, sulla riva sud-occidentale del lago, ad
incontrare Salomone Gessner, che è ivi soprintendente dei boschi cantonali. Del
poeta svizzero, il Bertola aveva tradotto, nel 1777, gli “Idyllen” e di lui
scriverà, successivamente, un “Elogio”.
Trova rispondenza in colui che già aveva salutato quale
“Teocrito di Zurigo”, per la comune, ottimistica adesione alla natura,
considerata, alla maniera russoviana, benefica, saggia, ispiratrice di
spontaneità. Tutt’e due si propongono di “ricopiarne appassionatamente” le
bellezze, al di fuori dell’ormai superato, frivolo cerimoniale dell’Arcadia. Di
formazione classica e di gusti neo-classici, sono aperti entrambi ad un afflato
nuovo, che sentono derivare da una “soave malinconia”, da “malinconia che
commuove” e da una “immaginativa in istato di passione”.
Bertola apprezza nell’opera poetica di Gessner, che è
anche incisore, acquafortista e pittore, la complementarietà delle arti sorelle,
che gli permette di raggiungere una bellezza “incantatrice” sia nell’espressione
dei sentimenti, sia nella rappresentazione di scene, di “quadri” campestri e
silvani. Questi raffigurano creature dai costumi schietti e gentili e danno il
senso dell’armonia tra ambiente fisico e ordine morale.
Nell’amico zurighese, che vive nel costante contatto con la
natura, il nostro poeta può constatare la serenità, la dolcezza, il candore del
carattere; qualità che si rivelano anche attraverso la particolare soavità dello
sguardo.
L’abate raggiunge Basilea (là dove il grande fiume comincia
ad essere navigabile), per iniziare il suo viaggio sul Reno. Risale verso
Strasburgo e Spira; qui si trattiene dalla fine d’agosto sino alla prima decade
di settembre, salendo sia sui colli vitiferi, sia sulle Montagne del Reno. L’11
settembre riparte per Darmstadt; raggiunge Colonia, spingendosi sino a
Dusseldorf e visitando Aquisgrana.
Quarantasei “lettere”, molte delle quali (come l’autore
afferma) scritte sul battello, durante la navigazione, compongono il “Viaggio
sul Reno e ne’ suoi contorni”. Cinque di esse saranno pubblicate nel 1790 nella
rivista pavese “Biblioteca fisica d’Europa”, mentre il libro integrale vedrà la
luce più tardi, nel 1795, dedicato alla marchesa e poetessa Orintia Romagnoli,
che il Bertola, come egli dice, avrebbe desiderato avere al suo fianco,
conoscendone l’amabile disposizione ad apprezzare il bello nelle sue più varie
manifestazioni.
Sensibilità molto spiccata anche in Bertola, che si rivela
abile e colorito descrittore di panorami, sia di quelli che, con la loro
amenità, procurano il soave rasserenamento ch’egli ha sempre cercato nella
natura, sia di altri che, agitando l’animo con forza, lo elevano a sentimenti di
sublimità. La sua partecipazione è sempre sollecita. Talvolta dispiega la
fantasia ad animare, a vivificare il paesaggio che gli passa davanti. Nei
tratti in cui il Reno scorre tra enormi montagne, il viaggiatore si rappresenta,
risalendo alla notte dei tempi, il furioso ringorgo delle piene; prova quasi la
sensazione di riudire lo spaventevole strepito del fiume nei “giovanili suoi
sdegni”, nei suoi giganteschi, ripetuti sforzi di logorare e fendere la roccia
per aprirsi un varco sempre più ampio.
Bertola è particolarmente attento alla intensità e
singolarità dei contrasti. Ad Heidelberg, ad esempio, nell’ora del tramonto,
allorquando il fiume diventa tutto rosseggiante e le alte montagne, di fronte,
appaiono dorate, la vista del Castello in rovina, arroccato sull’altura, gli
comunica “un non so che di sublimemente tetro e patetico”. Le stesse
indefinibili sensazioni, suscitate dal luogo cupo e solitario, le prova nella
minuziosa visita ai ruderi; visita che protrae, perché lì sente riempirsi
l’animo d’una “delizia lunga, muta, tranquilla”. E così avviene presso St.
Goarshausen, sotto il bastione di Loreley, lì dove “un patetico, che trae
all’orrore, spira tra le alture, e s’insinua profondamente nell’animo”.
Nell’esteso silenzio pomeridiano, sull’acqua placidissima, lungo un percorso
tutto ombratile sotto una parete rocciosa quasi a strapiombo, la potente eco
riprende le grida dei viaggiatori e le ripercuote, rumoreggiando, tra le cavità
rupestri sovrastanti …
E’ avvertibile nell’opera bertoliana il diffondersi di un
raffinato pre-romanticismo. Il Nostro aveva iniziato la sua opera di poeta,
seguendo la moda dell’inglese Young, pur stemperando, attraverso la sua indole
fondamentalmente idillica ed elegiaca, ed il gusto neo-classico (di cui s’è
detto), i motivi ossessivi della poesia notturna.
Attento germanofilo, aveva esteso i suoi interessi alla
letteratura tedesca (in particolare a quella contemporanea attraversata da
impulsi innovatori), con il merito di farla conoscere in Italia, con due saggi,
nel 1779 e nel 1784.
Ecco Bertola farsi seguace della dolce “malinconia”(“al
volgo ignota o acerba”), che lo guida fuori del “carcere” delle mura cittadine,
con la promessa di libertà spirituale. In seno alla natura, lo induce a
comunicare con essa, infondendo “l’anima ne’ sassi e ne le piante”; dando voce,
nel silenzio, a tutto quello che di bello racchiude.
Soprattutto in questo “Viaggio”, oltre agli atteggiamenti
di puro godimento visivo per la realtà naturale che il viaggiatore viene
scoprendo (riportata nella pagina secondo il canone estetico, da lui seguìto,
della imitazione ), si ravvisano veri e propri stati d’animo che, con il
paesaggio, riescono a stabilire una spontanea identificazione.
Il Bertola ama pensieri “nudriti dal tremolio delle
foglie”; giunge ad attingere la sensazione di infinito, provando il piacere,
squisitamente spirituale, che gli procura il trovarsi di fronte ad “un
prodigio”, che si rinnova.
Non soltanto per le grandi scene si commuove, ma anche, con
intima disposizione, è attento agli “scorci quasi furtivi”; sa cogliere “un
alcunché di patetico, ma di quel genere a un di presso che si attribuirebbe ad
una fisionomia mesta dolcemente e pensierosa, sulla quale brilli un sorriso”.
Lo attraggono i “pittoreschi travestimenti” della terra e
del cielo, che avvengono per effetto della nebbia o sotto le variazioni di
luce che, ad esempio, precedono o seguono una tempesta, producendo “il frequente
cangiare di colori e di forme in tutti i lati … per poco che l’osservatore si
inoltri, si ritiri o si rivolga …”
Il tutto si traduce in un descrittivismo schietto, fitto e
preciso, eppur ricco di sfumature e di gradazioni di toni; internamente mosso,
quando l’intensa impressionabilità vi si rifletta. L’immaginazione del lettore
ne è affascinata e sollecitata ad espandersi oltre lo scritto che ha innanzi.
Gli ambienti prediletti dal Bertola non sono, tuttavia,
sempre quelli in cui la natura si mostra tuttora vergine, idilliaca. All’inizio
del viaggio, egli s’era proposto di raccogliere precise cognizioni scientifiche
inerenti la sfera geografica, etnografica e le attività economiche collegate col
territorio. Ed infatti mostra, ad esempio, particolare interesse per il lavoro
dei pescatori delle rive renane, per la viticoltura, per i progressi conseguiti
da una gente laboriosa, pacifica e civile, nell’agricoltura e nell’industria.
Il disegno iniziale avrebbe dato un’altra delle tante opere
didascaliche scritte nel secolo dei lumi …
* * *
Il ritorno inizia il primo ottobre. L’abate ridiscende a
Basilea; quindi attraversa la Svizzera (Berna, Losanna, Ginevra) e rientra in
Italia: il dieci novembre è a Torino e il 16 a Pavia.
Il “Viaggio” ancor oggi è capace di attrarre con le sue
numerose pagine di prosa poetica, in cui il Bertola appare, invero, quale “primo
poeta paesista italiano del Settecento”, come l’ha definito Antonio Baldini*; di
trasmettere il suo vivo sentimento in chi, turista o no, voglia tentare di
ristabilire con la natura quel dialogo sincero che i tempi moderni sembrano,
così spesso, irrimediabilmente interrompere.
— *Curatore dell’edizione. del
“Viaggio pittorico e sentimentale sul Reno”, Firenze, Le Monnier, 1943.
— Autori vari “Studi su
Aurelio Bertola nel II centenario della nascita” S.T.E.B. Bologna, 1953.
—
Franco Orlandini “La Nuova Tribuna Letteraria” n. 14- Aprile 1992.
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