| |
Il sentimento del tempo
Le sette sezioni – Familiari, Intimità,
Colloqui, Eterno femminino, Umanità sofferta, Luoghi e Ancora – al di là delle differenze tematiche, sono dominate dalla
percezione dello scorrere del tempo verso l’oblio, come la parte centrale della bellissima L’erba morella lascia
chiaramente intendere:
Il rosso delle aragoste
tinge l’azzurro
e
sorridi,
lontano è il tuo volto
il ragno tesse la tela
e il tempo muore,
oscura
memoria”.
All’inesorabile azione del tempo è in grado di
opporsi solo la memoria che, attraverso la rievocazione, riporta il passato nella dimensione del presente, non a
caso tempo verbale predominante nelle liriche. Scuri i capelli, testo scritto in onore della madre, offre un esempio
perfetto di questo procedimento di recupero:
In soffitta cercavo sempre altri sogni
e giochi, tu eri lontana
come assente
in un altrove che non so.
Inutilmente ti chiamavo
fragile cristallo la mia infanzia.
eppure ora ti rivedo
stringermi tra le braccia
in una quieta felicità,
dietro a noi scorrere passanti.
La poesia è interessante anche perché introduce
un altro tema presente nell’intera raccolta:
l’impossibilità di conoscere completamente le ragioni dell’altro
da sé, che assume di volta in volta le sembianze di
un genitore, di un amante, di un amico e, in
ultimo, si trasforma in interrogazione sull’operato divino. L’inattuabilità della conoscenza, appena
accennata nella prima sezione, assume un rilievo maggiore,
e si carica di dolore in quella successiva, Intimità,
omaggio a poeti presumibilmente scomparsi. Il tono delle liriche è già determinato dall’epigrafe di
apertura:
Sempre riascolto le voci
che evocano sogni
anche se talora
il rimorso
ha l’ansia della
preghiera.
Se la memoria ha la capacità di infondere nuova
vita ai gesti di chi ci ha lasciato, resta tuttavia
impotente di fronte al”nudo enigma della vita” (Antigone),
come dimostrano i versi di Per un poeta veneziano: “Ora | la pioggia s’attarda
| nel concilio delle nubi | e
tu non sai, non puoi rispondere | col sacrilego
sortilegio delle parole.” Sacrileghe vengono defi nite le parole:
con una sensibilità che la accomuna a gran parte
degli artisti tardo-novecenteschi, la Bettiol rinuncia
a fare della propria arte strumento di interpretazione
del reale. La parola, che all’inizio del secolo
scorso era stata trionfalmente definita da D’Annunzio
“divina” (Le stirpi canore), scopre la sua ineffi cacia nel rendere ragione dei misteri dell’esistenza; svalutato il
mezzo espressivo, anche la fi gura del poeta vede
cambiare il proprio statuto: da vate a “scriba”, umile
trascrittore, attento a cogliere e testimoniare le
manifestazioni del divino nel creato. L’aderenza della poetessa a
questa posizione è particolarmente chiara nella terza
parte, Colloqui, la più intensa nell’affannosa ricerca
di Dio e delle ragioni del suo agire. La natura,
presente in ogni lirica, assume un ruolo importante in
quanto luogo di rivelazione del soprannaturale (A
perdifiato la memoria: Dio si vela nella marea | che
cresce) ed elemento compartecipe del dolore universale (Nel parco antico: Lasciami vivere l’impenetrabile
|
pianto di una ginestra), simboleggiato dal Cristo in
morte nel sepolcro di Aere. Non è tuttavia una poesia
di disperazione quella di Raffaella Bettiol: anche
quando “la parola si spegne | in un ultimo verso”(A
perdifiato la memoria) e si riconosce che “tutto vive | in
inquietudine senza fi ne” (Pallida la laguna), non viene mai
meno la speranza, sostenuta dalla fede, che tutto
tenda ad un fine superiore, come si legge nell’Innocenza
di Dio: “So l’innocenza di Dio | altrove l’arbitrio, |
eppure è nel sangue | il riscatto della vita”. Il clima di
attesa dell’evento miracoloso nella natura e
l’opposizione tempo-memoria, più espliciti nella prima parte
della raccolta, sono sottesi anche alla seconda,
dedicata alla rievocazione di viaggi in cui l’elemento reale
trasfi gura nel simbolo. Si veda, a titolo di esempio,
Cerchi rossi tra canti aztechi, descrizione di una cerimonia
notturna durante la quale Quetzalcóatl, mitico serpente piumato azteco, diventa emblema
dell’impossibilità di bloccare l’istante che passa: “Ultime barche
lungo il fi ume | accompagnate dal canto dei mariaci | tra
canne immerse in acque buie.
[…] Un pappagallo sgualcisce
la camicia del tempo
Si allontana per sempre Quetzalcóatl
senza volgere il volto
forse la vita.
Quasi seguendo un andamento circolare, l’ultima sezione torna ad esplorare una dimensione
intima, dominata da oggetti e persone familiari, che oppongono la loro presenza all’azione degli
anni. È quasi poesia di “resistenza” quella di Raffaella
Bettiol: componimenti che, con la forza evocatrice di un linguaggio lirico, resistono al dolore, al lutto
e alla dimenticanza per aprirsi ad accogliere ancora
bellezza e speranza.
| |
 |
Recensione |
|