| |
La stragrande maggioranza
dei messaggi che al giorno d'oggi raggiungono il fruitore di letteratura poetica
si riconducono al comune denominatore di un'esperienza lirica, solipsistica e
intimista, che approda a risultati linguisticamente pregevoli, senza dubbio, ma
circoscritti a momenti dì meditazione a senso unico, capaci sì di catturare
l'attenzione e provocare emozioni, ma non di costituirsi come realtà oggettive e
mondi nuovi con leggi e significati propri ed esemplari. Sembra che oggi il
poeta non si lasci più attrarre dal problema di come strutturare il pensiero ed
elaborare una successione narrativa o un contrasto drammatico, temi che ormai
sembrano riguardarci solo quando, sui banchi della scuola, ci venga assegnato il
compito della lettura e del commento dei poemi epici e cavallereschi, o della
Divina Commedia. Scarselli invece ci appare per prima cosa coinvolto in una
operazione che è soprattutto di invenzione: di personaggi, situazioni e vicende
che sono significative, più che di intimi stati d'animo, di valori e simboli del
mondo spirituale e morale con le sue drammatiche alternanze di chiari e scuri,
di misticismo e materialità: ci ritroviamo così posti di fronte, in un modo
singolarmente moderno e accattivante, a un impegno di costruzione e
oggettivazione: come ad esempio in questa recente Priaposodomomachia, un poema
che al tempo stesso si presta ad una lettura analitica e anche coinvolge e
trascina come una fiaba o un romanzo, ammaestrando come allegoria. Tali
traguardi, più spesso ambiti che raggiunti dalla maggior parte dei poeti, sono
da Scarselli conseguiti sul piano della lingua soprattutto mediante una
adeguatissima impostazione sintattica, dalla quale il lettore è come irretito e
indotto, come istituzionalmente deve essere, ad abbandonarsi, mani e piedi
legati, alla voce del Poeta-Maestro.
Al pari degli altri suoi poemi, anche la Priaposodomomachia,
come le antiche Chansons, è distribuita in "lasse", di varia lunghezza, e
all'interno di ognuna si articola un discorso impostato su un
periodare organizzato e protratto, scandito quanto basta perché ne risultino in
evidenza alcune invenzioni lessicali, ma in sostanza mirato a coinvolgere il
lettore nella successione narrativa e drammatica degli eventi. Analizziamo una
di queste lasse amo' d'esempio tenendo soprattutto presente la sintassi
(trattandosi di poesia, agli elementi concettuali della grammatica saranno da
giustapporre quelli ritmici del metro): «Ai tempi del mio breve passaggio | fra i
giovanili ardori della vita | avevo sempre contemplato l'amore | navigando in
una nube vírginale | come in un bel vascello dalle vele | colorate della mia
primavera» (p. 12). Sintatticamente il discorso, in questi sei versi, gravita
intorno al terzo: i versi primo e secondo indugiano sulla connotazione di un
tempo trapassato arieggiando i modi consueti alla poesia dei secoli XIV e XV,
recuperando insieme quei valori di immediatezza e di perentoria esemplarità che
sentiamo propri della lingua di quei venerandi maestri. Nei versi quarto, quinto
e sesto la connotazione si espande in una azione-immagine impreziosita
(vírginale) e magnificante (bel vascello) mentre il discorso deborda quasi
pleonasticamente (della mia primavera) approdando ad accenti fra il
magniloquente e l'autoironico. Dopo la connotazione romanzesca e immaginifica,
il racconto si fa circostanziato e come ansioso di precisione; il lessico,
prevalentemente denotativo (osservatorio corporeo, gelose cortine, rischiosi
inquinamenti, torbide fornicazioni) si appoggia su una moderata scansione
metrica che ne sottolinea piacevolmente il tono magistrale e sentenzioso: «... e
da quel casto osservatorio corporeo | protetto da gelose cortine | spiavo le
dolcezze del Demonio | al riparo da rischiosi inquinamenti | e da torbide
fornicazioni contro natura». Sull'apparizione di Niobe si chiude la lassa: «Fu
così che un giorno m'apparve | col viso avvolto d'angelici vapori | Niobe la
bellissima | benignamente d'umiltà vestuta | mentre emergeva con la bianca
conchiglia | della sua vita dalle calde spume | d'un mare di pesci e d' amore». Si noti la elaborata disinvoltura con cui è
introdotto l'episodio (Fu così che un giorno) che già da questo verso
s'intravede intessuto di magiche ironie e incentrato sull'assolutezza del
"Senhal" Niobe la bellissima. Il lessico è tutto giocato tra finezze e
semplificazioni assolute, disarmanti (viso avvolto d'angelici vapori, mare di
pesci e d' amore), sì che la tessera dantesca da un lato concorre a provocare un
senso di ammiccante stupore, dall' altro di contrappone al contesto con effetto
di contraltare o di retrogusto sardonico. Si noti che la costruzione richiama
qui quella dei versi 1-5: lì avevamo navigando... qui abbiamo mentre emergeva; e
tutto il "corredo" della bianca conchiglia e delle calde spume è
offerto con un garbo affettato e divertito, come se già in fondo si sapesse
della sua consistenza menzognera e mistificatrice. In questa pluralità di
accenti e di echi, talvolta sovrapposti, tal'altra giustapposti o variamente
distribuiti lungo il testo – e che consentono molteplici richiami alle voci più
varie e insospettate, dal Pascoli del Ciocco a Virgilio, a Lucrezio – consiste
il fascino che Scarselli esercita su di me (è il primo autore che dai tempi
della scuola provo il gusto di leggere e di rileggere e riascoltare) ed anche la
chiave di lettura che vi suggerisco.
| |
 |
Recensione |
|