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La Soluzione
            Presentazione in una pubblica manifestazione

La Soluzione, dramma in tre atti di Antonietta Benagiano dalla poliedrica vena artistica (poesia e romanzo, saggio filosofico e letterario, teatro) mi riporta, per la invivibilità del pianeta, a quel che in pittura prefigurava l’espressionista George Grosz: una metropoli, color sangue la base, caos e cinismo nelle linee affastellate, nei volti mostruosi e negli scheletri, nelle insegne invasive.

Nel dramma della Benagiano la Terra appare ridotta a discarica ad opera dei Sap, i sapientes poco sapienti, pertanto scompare la sintonia uomo-natura, estinti pure piante e animali, presenti solo gli insetti. I Sap vivono in cubi-bunker, si cibano di medicine, sono senza speranza. In questo sconvolgente quadro tragico l’autrice immagina l’esistenza di un mondo alternativo, quello dei Tek, i tecnologici che hanno abbandonato la Terra ritirandosi su piattaforme spaziali. Sono il frutto esclusivamente razionale dei Sap, evoluzione deprivata dei sentimenti, non sopportano quelli da cui hanno origine, vorrebbero annullarli, li definiscono “indegni”. I Tek sono la nuova realtà, uomini tecnologici, razionali e freddi, sordi ai sentimenti, al bello e all’arte, e diventano metafora della società odierna volta alla bestialità produttiva.

Una impostazione vincente e intrigante, del resto l’illustre critico internazionale Giorgio Bàrberi Squarotti definisce il dramma “originalissimo come argomento, impostazione e linguaggio”. La scrittura drammaturgica si apre con una paradossale riunione per richiamare tutti i presidenti delle piattaforme spaziali a votare per la soluzione. Le parole dei personaggi svolgono un ruolo determinante, offrendo spunti di riflessione sull’esistenza, su tematiche le più disparate. Gli spettatori (il dramma si presta perfettamente alla rappresentazione teatrale) sono turbati perché i dubbi vengono alimentati, non sciolti, la verità è sospesa e moltiplicata. Il conflitto fra bene e male, tipico del dramma classico, è innescato ma non risolto, e il pubblico si vede quasi privato della catarsi, ovvero di quell’occasione di purificazione e di liberazione in cui, secondo Aristotele, consiste la funzione educativa del teatro.

Questo perché La soluzione è un dramma moderno, caratterizzato dalla impossibilità di dare soluzioni ai travagli dell’uomo, come insegna Pirandello; il suo fine è piuttosto di portare allo scoperto l’urto tra verità e finzione. Il rumore assordante della storia, il processo di logoramento della storia stessa, del suo oblio non prendono però il sopravvento e la fiducia negli ideali traspare, proprio in quei dubbi che costituiscono l’anima vera dell’intero dramma. Lo sbandamento del cammino storico, l’immagine minacciosa di un’umanità degenerata sono aspetti inquietanti che servono a far riflettere sul futuro del nostro pianeta, sul rispetto che dobbiamo portare ad esso, se vogliamo scongiurare le mostruosità che noi stessi stiamo generando. La stessa razionalità estrema che i Tek sbandierano è velata dal dubbio, da ciò che continua a permanere nel cuore, nell’anima e che è indecifrabile, inalienabile, congenito.

Come congenita e ineluttabile è la derivazione dai Tek dai Sap. E’ vana una razionalità assoluta, l’uomo è fatto anche di palpiti, emozioni. Eroe moderno del dubbio, come Amleto, l’uomo oggi non può più affidarsi a valori univoci e saldi, ha un’attitudine alla riflessione che non lo porta a la soluzione. Nel cielo, su piattaforme spaziali, un teatro di marionette rivela la sostanza fasulla di una volta celeste di questo tipo e trasforma la scena in un cielo copernicano dove crollano le certezze, si dissolvono i percorsi definiti della ragione, la Terra non è centro dell’universo, il personaggio di Prot acquista le perplessità di Amleto. Sicuramente nel relativismo moderno vanno inquadrati i protagonisti del dramma ma, nonostante la Terra sia ridotta un ammasso di macerie infestate da insetti e gli uomini siano fantasmi di sé stessi, da quelle larve umane e da quei freddi robot tecnologici, che sono diventati i Tek, trapela, traspare un anelito alla vita, un inno velato alla gioia, alla speranza e alla fiducia in un mondo che può ancora rinascere dalle sue stesse ceneri. Si potrebbe pensare che l’Essere che sempre è ci aiuterà a rigenerare l’anima, ma anche che la tecnologia stessa potrà essere finalizzata alla rinascita.

Questo ideale connubio, equilibrio di fede e ragione, permetterà di poter ancora provare la sensazione e l’emozione di “quelle braccia che stringono un corpo caldo…” , permetterà la rinascita di qualcosa di splendente e di ineffabile bellezza: un sorriso, “quel sorriso!...”

Recensione
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