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A quale Pessoa
“A
quale Pessoa”
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All’insegna dell’aureo nome del poeta portoghese, assunto quale nume tutelare e
primigenia fonte di ispirazione e proiezione, si sospinge il libro di Edith
Dzieduszycka A quale Pessoa
(Passigli Editori, 2020, pp. 121, € 15,00), prefato da Silvio Raffo. A quale
Pessoa indirizzarsi? Così sembra giustamente domandarsi Dzieduszycka vista la
ben nota, plurima identità letteraria del lisboano, moltiplicatosi in vari
eteronimi – da Álvaro de Campos a Ricardo Reis, da Alberto Caeiro a Bernardo
Soares – che non erano meri pseudonimi dell’ortonimo, ma configuravano autori,
sì immaginari, epperò forniti di una propria biografia e soprattutto di un
profilo letterario autonomo, perfettamente compiuto e non di rado conflittuale
l’uno con l’altro. Un caso unico nel panorama mondiale di scissione di
personalità letteraria, di polischizofrenia scrittoria ad altissimo livello, che
in Italia, si sa, è stato introdotto e tradotto da Antonio Tabucchi, anche lui
talmente compenetrato con Pessoa, oltreché a lui assai somigliante, da mettersi
a un dato punto a scrivere in portoghese. Così, in un certo senso pure Tabucchi
lo si potrebbe considerare come un eteronimo (postumo) dell’autore lusitano.
Il caso di Dzieduszycka è diverso. L’84enne poetessa di Strasburgo ha pur’essa
un profilo plurimo: la nascita francese (de Hody il cognome paterno), il lavoro
al Consiglio d’Europa, gli studi artistici che la conducono a disegnare,
dipingere, realizzare collages e fotografie, un giovanile percorso poetico nella
lingua madre; poi, poco più che trentenne, il trasferimento nel 1968 in Italia,
partecipando a mostre sia nostrane che internazionali, e proseguendo nella
scrittura in versi e in prosa, sino ad arrivare a scrivere nelle ultime due
decadi direttamente in italiano. È forse sull’onda di questa duplicità di
identità nazionale e linguistica che nasce l’attrazione di Dzieduszycka per
Pessoa, sino alla decisione di dedicargli un volumetto di solido impianto
poematico, ancorché frazionato in singole poesie che rappresentano una sorta di
tenace corpo a corpo con il mistero della sua multischizofrenia poetica. Brevi
componimenti che sono sia una anamnesi quasi biografica del personaggio, sia una
meditazione poetocritica lungo l’obbligatoria endiadi solitudine/moltitudine:
“Solitario sembravi / solitario non eri / abitata era / la tua casa / da folle
di fantasmi // condominio gremito / dai multipli te stessi / dalle sembianze
varie / dai moti imprevedibili / dai gusti contrapposti // alla regia tu /
burattinaio folle / delle tue pedine / che muovevi / a seconda dell’ora”; “Di
quello che sentivi / dentro di te / di quello che appena / sfiorava / la
superficie // indifferentemente / parlarne / stare muto / o farne poesia /
indifferente”; “… per te lo stato massimo / della felicità / non fare / non
pensare / non sognare / non desiderare”; “Straripante / esiste altra parola /
per definirti? …”; “… vivere il presente / era l’unica scelta / giacché le
sensazioni / minute che ti davano // sole pioggia e vento / in quel preciso
istante / per te sommavano / l’universo intero”.
Ecco, quasi in limine, nel suo viaggiare intorno alle tante facce poetiche di
Pessoa, Dzieduszycka sembra intuire che il poeta lisboano aveva scoperto in sé
la capacità di penetrare le mille possibili diramazioni della ricerca poetica e,
vieppiù, di saperle incarnare l’una distinta dall’altra, secondo una solitaria
moltitudine o una affollata solitudine. E questa percezione della potenza e
dell’ebbrezza di avere un universo di voci dentro di sé, pare contagiare anche
Dzieduszycka che nella seconda sezione del libro secerne una serie di poesie che
cercano di dare conto della motivazione che l’ha sospinta a progettare e
comporre il libro medesimo: “Più ti scopro / più dentro mi risuoni / come un’eco
lontana / fratello d’anima / che non mi conoscevo // nella pallida notte / dagli
occhi aperti / immobile cammino insieme a te / inciampo nelle tue parole /
buttate come sassi // batto ali ferite contro il muro / bianco della tua
inquietudine / e non mi so spiegare come / fin a quest’ora sono potute / senza
di te trascorrere le mie”.
È sulla scia dell’agnizione, dunque, ossia dell’avere riconosciuto una risonanza
o, anche, una personale consonanza col grande autore portoghese che Dzieduszycka
con piena dignità e devozione ha svolto il suo libro che si legge di slancio e
con piacere, pure in virtù di una lingua piana, concisa e serrata, non di rado
assai prossima alla prosa.
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Recensione |
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