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Correnti contrarie

Tentare una lettura di questo libro potrebbe anche sembrare un’impresa facile, basterebbe etichettarlo sotto la voce “poesie d’amore con forti accenti erotici “e il pacchetto sarebbe confezionato con scioltezza, ma il farlo vorrebbe dire mancare di riguardo ad un’autrice che dietro ogni metafora, sotto ogni allusione più o meno esplicita nasconde un notevole talento poetico e soprattutto occorre, a mio parere, cercare i riferimenti culturali ai quali fa ricorso, perché questi non sono così immediati come invece si potrebbe essere indotti a dedurre da un primo approccio frettoloso e liquidatorio.

Di ciò ci rendiamo conto fin dalla prima pagina ove in esergo appare una poesia d’amore di Kavafis nella quale l’autore ricorda l’antico amore e afferma, lasciandosi travolgere dalla dolcezza del ricordo,

Così riemerge/ Dentro di me – dal Tempo./ dal Tempo… Eventi tanto/ Remoti… Quel ritratto,/La nave, il pomeriggio/

Anche Greco sembra avere scritto questo libretto con il solo scopo di ricordare un incontro che appare essere stato determinante e sconvolgente, ma, quasi temesse di essere stata troppo esplicita nel suo ricordare, pone anche nel finale del suo lavoro un’altra poesia di Kavafis ove il poeta greco scriveva:

Volevo appenderla a un muro della stanza./Ma l’umidità del cassetto l’ha guastata./ Non la metto in un quadro questa foto./Dovevo conservarla con più cura./ Queste le labbra, questo il viso –ah, per un giorno solo, per un’ora/solo tornasse quel passato./ Non la metto in un quadro questa foto./ Mi fa soffrire vederla così guasta./Del resto, se anche non fosse guasta,/che fastidio badare a non tradirmi –/ una parola o il tono della voce –/ se mai qualcuno mi chiedesse chi era.

E “…che fastidio badare a non tradirmi“sembra dire pure l’autrice, che peraltro riesce bene nel proprio intento di nascondere l’identità della persona amata ; ove invece non può o non vuole è l’esporre i riferimenti culturali che intrecciano ed attraversano molte delle sua poesie, e sono quasi esclusivamente rimandi a opere di pittori che l’hanno appassionata ed influenzata.

Ma non ci sono solamente questi rimandi artistici a influenzare “correnti contrarie“; l’autrice costruisce lo svolgimento del libro passando da una prima parte narrata in prima persona per sdoppiarsi poi in una parte mediana intestata “Clara risponde“, utilizzando per la sua risposta un altro esergo con una citazione, questa volta di Almerighi (poeta di ottimo livello e spessore culturale ) che dice:

Oggi Clara, è difficile/ dimenticare i nostri primi vent’anni,/ la letteratura oziosa/ diventa improvvisa amnesia/ utile solo a sparire

per concludere poi il suo lavoro tornando ancora alla prima persona singolare, all’IO narrante che fa da filo conduttore.

Per sdoppiarsi, la Greco prende spunto da un quadro di Velasquez dal titolo “las meninas “che tradotto suona “le damigelle“, in cui viene ritratta la figlia del re di Spagna Filippo IV, l’Infanta contornata da personaggi della sua corte.
Ciò su cui vorrei attirare l’attenzione di chi mi legge è il fatto che nella parte sinistra del quadro appare il pittore stesso intento a dipingere, e la tela che noi vediamo a prima vista può apparire un dipinto “aperto”, ma ad un esame attento si dimostra essere completamente ermetico, un’affermazione questa giustificata dal fatto che il dipinto sul quale Velázquez sta lavorando è completamente nascosto alla nostra vista.

Ed ecco come la Greco ne parla assumendo le vesti della sua immaginaria Clara cui ho già accennato

Las meninas* guarda chi non c’è./ Nemmeno la balia che tenta di convincerla, c’è./ Il cane comprende e tace. Pensoso, accetta il piede./ I muri raccontano immagini annerite./ Sulla scala, il padre sale altrove, irraggiungibile;/ rimane semiaperta la porta con l’esterno./ Il ritratto dei due semibusti richiama la memoria/nel punto di fuga, da cui sfugge Clara, vestita di bianco./La rosa sul petto è la sua stagione./ Il pittore, in fondo, può aspettare.

Ora, se è vero che “Il pittore, in fondo, può aspettare.”, siamo noi lettori che invece non possiamo farlo e sentiamo il bisogno di entrare meglio nel quadro che la Greco stende con le sue poesie e cerchiamo, attraverso il “punto di fuga, da cui sfugge Clara,” affinità che la fanno accostare a certe figure femminili, (penso a una che mi viene subito in mente dal nome Clelia) ritratte da Cesare Pavese nei suoi racconti e in alcune poesie: donne disincantate, leggermente deluse, abituate a battersi da sole, consapevoli che prima o poi
si pagherà tutto, anche per entrare”

come Greco scrive qui

Nel tempo Clara ha addomesticato l’attacco.// Oggi dà fondo alla riserva nascosta// nell’angolo buio del solaio,// dove ha conservato una foto.// La polvere impreziosisce il ricordo// e prima o poi si pagherà tutto,// anche per entrare.

ed è ancora il Pavese della poesia “Agonia“ che riappare in questi versi ove oltre al rimando per un tempo lontano (il grassetto è mio) fa capolino un accenno vagamente legato all’attualità della situazione politica europea, agganciandosi ancora una volta ad un quadro, di Ensor intitolato “l’entrata a Bruxelles di Cristo” ove il disegno raffigura un ipotetico ingresso trionfale di Gesù nella capitale del Belgio, in onore del quale viene realizzata un’immensa parata, talmente sgargiante e carnevalesca da apparire ridicola e quasi sinistra.

Clara dialoga con l’assenza/e guarda sul davanzale un uovo rotto./ Il predatore ha inciso il guscio con perizia// e le venature di sangue raccontano/ che qualcuno non è nato. Aspetteremo./ La prossima luna nuova ci raddoppierà/ e torneranno sorriso e vent’anni in meno.//Poi sei andato al bar e hai scritto della folla./Ensor avrebbe chiamato in causa Cristo,/ ma Bruxelles oggi è abitata da altri dei/e altre crocifissioni sono in agguato.//Ha guardato le tue mani e ha visto la notte,/ Clara ha il dono dell’ubiquità, ma non lo rivela./Ha aspettato il sonno, ha preso la valigia piccola/ e ha bussato al civico 41\C insieme alla cartolina./ Ha graffiato versi sul muro, carezzando il bianco./ La lampada ha svelato una sola ombra./

Se si osserva questa poesia non sfuggire che l’artista, come Velasquez nel quadro citato poco prima, scrive/dipinge e si ritrae al tempo stesso nel quadro, come in questa poesia fa Clara che viene ritratta nella prima strofa e nell’ultima in terza persona, mentre nella strofa centrale l’autrice riprende il discorso a due con il suo interlocutore immaginario.

La stessa tecnica di sdoppiamento riappare nella poesia di pag. 32, dove nella terza strofa torna l’IO narrante, mentre nella altre si parla di Clara in terza persona
Voglio essere il segno della tua penna,/ tra lettere e letture che graffiano// nel verso stretto che fascia l’addome.//Nello spazio preciso tra occhio e voce// voglio essere il prefisso che spiazza la ragione// e sgrava l’ignavia del sempre uguale.//Chiedimi la taglia degli slip,/ mentre fumi distratto la prima sigaretta// e parliamo di liste civiche/ al giro di chiave/che inizia l’orario mal stipendiato./Clara ha le spalle doloranti per questa notte./ Sorride nel letto e guarda nello specchio./ Stringe a sé la maglietta dimenticata a terra.//Avrai freddo per la fretta.//

è ancora Clara quella che scrive a pagina 25, come per dettagliare meglio il proprio temperamento

Non c’è prosa nel mio futuro./ Il racconto ordinato non mi rappresenta./ I dettagli, invece, quelli sì, sanno di me./

e i dettagli narrativi vengono fuori con precisione ed accuratezza, lo vediamo in un’altra citazione pittorica, quella di pag. 33, ove il rimando ad un’acquaforte di Hopper fa da richiamo ad un struttura poetica in bianco e nero, e lo spezzettamento della narrazione ha scansioni ritmico-temporali che ricordano certe poesie di Lorca:
La stagione di Clara non è l’inverno// benché sia germogliata in dicembre.// L’approssimarsi della pioggia riluce sul muro della chiesa,// incidendo la retina con un angolo alla Hopper.// Le è rimasta la paura di non trovare la strada di casa.// Poi ripete il tuo nome e diventa chiara ogni notte.// Così, prendendoti per mano, procede passo a passo.// La disabitudine aspetta al rientro dal lavoro.// Il treno delle diciannove è in orario. Binario unico.// Gruppo con cane stranito nella sera ghiacciata.// La stazione ha perso l’odore del saluto// e si rabbuia anche la voce delle fermate.// I passi sono sempre gli stessi da vent’anni;// un rettilineo, due svolte a destra e poi casa.// Il lampione ridisegna Night Shadows// all’insaputa dello stesso Edward,// intento alle sue case e ai suoi fari,// mentre attraversi la grafite della sera.// Sto preparando la cena, non tardare.//

Queste citazioni pittoriche che Greco attua potrebbero anche apparire al lettore come un atteggiamento saccente se non fosse che l’autrice è capace di legare attorno ad esse tutto un vissuto personale mixato tra vagabondaggi artistici collegati agli autori citati – in questo caso Gauguin che fugge da Parigi per rifugiarsi nelle isole Marchesi- e viaggi introspettivi che spaziano da riflessioni sulle condizioni del tempo a vagheggiamenti sentimental-erotici, come in questi versi:

Clara oggi è nuova. Appartiene al domani.// Fuori piove. Più in là insiste il battito feroce//della terra, nel petto, sulla tastiera.// Ti guardo e sono Te Arii Vahine. Ti chiamo.// Le donne di Gauguin hanno tra i capelli fiori grandi//e fianchi confusi con le onde. Coprono l’ancestralità// con un foglio bianco, mentre un animale nero//attraversa lo spazio alle spalle del letto di terra.// Ancora un frutto da cogliere in un nuovo Eden.// Il pomeriggio statuario nella sua impassibilità//ha conti improcrastinabili e simili desideri.// Ho lasciato Parigi per il mio angolo di paradiso.// Lontano da qualsiasi civiltà.

Estrapolo questo verso “Ti guardo e sono Te Arii Vahine.”

e osservo il quadro citato che rimanda ad analoghi quadri di Velasquez, Goya, e Manet, dal quale appare evidente la carica erotica ma priva di morbosità di questa figura che sembra affermare la validità di questi versi
Il pomeriggio statuario nella sua impassibilità// ha conti improcrastinabili e simili desideri.

Ma l’erotismo di questa figura al sole in un Eden forse immaginario, cede talvolta il passo ad espressioni che spaziano dalla sacralità come in questi versi di pag. 12

Un salmo da sciogliere// a rima dischiusa sul percorso// dalla bocca ai tuoi lombi e così sia/ nella congiunzione di mani salde// su pianure scolpite dal vento d’oriente/ con il fruscio dei tuoi riccioli sul viso,/ coro angelico?/…

alla esplicita memoria di atti intimi come qui a pag. 9

Ecco: mi offri il tuo calice tra le mani/ mentre implori il Cielo e lo sguardo al di sopra rivolgi// in una consenziente benedizione il mio capo accompagni// in atteggiamento di perdono per giungere a dissetarci// sacrileghi in gesti che caldi si versano sul seno:// le tue mani valutano terreno di conquista senz’armi// una a una le dita seguono confini// e in ancestrali connubi esplodono i nostri universi// racconti d’altre terre e parole a metà sulla pelle nascosta// archi sottesi tangenti nel punto di massima energia// riversiamo generazioni in segreti mari e colorati lini/ per poi riprenderci assetati e dissennati.//…

o anche a chiari riferimenti fisici quasi scultorei del partner, pur con qualche eccesso linguistico, come qui a pag. 44

La curva purissima delle tue natiche marmoree// declina il risveglio in salita. Ti guardo, Plutone,// in questo rapimento presagio di primavera. Dilati// la pupilla vorace ed è seta la pietra dell’attesa,// davanti all’eros della tua retta nella mia direzione.// La benevolenza delle tue forme scalpella femminilità// sottraendo incertezze ed è un incipit forsennato// la scapigliatura mattutina, che tradisce la notte al caffè./…

e il tutto culmina con un acuto accenno ad un’opera del Bernini “l’estasi di Santa Teresa “nella quale lo scultore ha saputo imprimere nel marmo tutta la carica di un amplesso mistico tra l’Angelo e la Santa, atto che assume però vesti decisamente umane e fisicamente riconducibili ad un amplesso, come è ben detto in questi versi di pag. 52

La certezza sono state le mani sui fianchi. La spinta della plantula// che vince l’inerzia del terreno. Bernini non ha scolpito di meglio// di questa presa carnale nell’atto del rapimento. Poi la frana,// la resa in respiro dell’atto e il vuoto perfetto della beatitudine.// Tregua è morso alla prima pesca; siamo un frutto rubato// e un giardino di disubbidienza, non si può negare.// Neo a ore dieci dell’opera di chiaroscuri innominabili/

Ho così completato il mio viaggio attraverso questa raccolta della Greco e ne ho tratto la conferma di quanto devo aver già scritto di lei in altra occasione: ci troviamo di fronte a una figura nuova nella poesia italiana in possesso di una forma espressiva abbastanza inconsueta nella quale la veridicità dell’espressione, legata a precisi riferimenti culturali, ed a un linguaggio slegato dalle forme consuete, lascia sperare in un interessante sviluppo futuro che mi auguro non sarà sempre confinato entro gli spazi privati di una storia d’amore, ma saprà estendersi anche ad una realtà sociale, come quella del sud e specificatamente di Taranto con i problemi dell’Ilva, realtà a cui l’autrice è a contatto quasi quotidiano e alla quale penso non potrà restare indifferente a lungo con la sua testimonianza di poeta.

Recensione
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