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Pionieri a San
Domenico
Pensieri a
San Domenico,
questo il titolo della nuova plaquette data alle stampe per i caratteri di
Valentina Editrice; il sottotitolo: Ricordi dei primi tempi di vita / nel
quartiere in Selvazzano, dal 1974. Maria Luisa Daniele Toffanin racconta e
si racconta, riportando a galla fatti di un tempo trascorso nel quartiere degli
anni della prima gioventù.
E tutto scorre liscio come l’olio, tutto si fa
euritmico e fluente, come è nelle corde della scrittrice. Non si può dire di
certo che la Toffanin faccia parte della schiera degli innovatori di positura
prosastica, che pretende di fare una poesia impersonale, avulsa da ogni
riferimento autobiografico, partecipativo; per lei la poesia significa
confessione, armonia, biografia, sentimento, memoriale, e natura; qui tutto è
armonico e scorrevole. La vera sua poetica è quella della spontaneità, e della
generosità espositiva.
L’elegia, la vita, il sole, la luce, le colline, le
pianure, il mare, costituiscono il cavallo di battaglia della Nostra, dacché
sente viva la necessità di dare consistenza al suo pathos tramite il linguaggio
di Pan. Un poemetto che tende a reificare quegli abbrivi emotivi covati
nell’animo da tempo. Ed ora sembra giunta la fase della rielaborazione, del répêchage, di dare ordine a tutti quegli stati emozionali che col tempo si sono
stratificati, esplodendo.
A questo punto credo sia importante riportare un
lacerto di quarta a firma di Mario Richter per dare maggior rilevanza alla sua
vena epigrammatica: “La vera poetica dell’autrice si caratterizza per la
spontaneità e per la schietta e domestica generosità nei riferimenti personali,
sempre illuminati da una aperta visione di Grazia. Tra abbandoni elegiaci e
accorati rimpianti, la circoscritta vita di un quartiere diviene occasione per
un susseguirsi di rimembranze che delineano la sempre complessa verità umana”.
Così inizia la scrittrice, inserendo da subito la sua memoria emotiva nel canto:
“Buon compleanno mia dimora / nove lustri fa, ricordi?, / nel delirio del vento
piovoso / fosti nostra per sempre…”. La storia continua con passo cadenzato, e
con animo preso dai ricordi, fino alla conclusione di rara bellezza lirica:
“Questo andare al ritmo del Creato / era per noi dono-rinnovo di vita / nuova
minuta risurrezione, / era sconfinare il nostro tempo dell’attesa / in distese di
turgide vigne / promessa-meraviglia di grappoli d’oro. // Era il sacro che
perdurava / archetipo-radice del nostro vivere/ ai primordi nel mitico quartiere /
spazio d’umana formazione”.
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Recensione |
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