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La stanza alta dell'attesa fra mito e storia
Prosimetro. Una storia, una vita, una preziosa avventura di canto e meditazione; di affetti e incontri; di vicissitudini di rara valenza memoriale. Sarebbe lungo dissertare su questo antico genere letterario che affonda le radici nei primordi della nostra letteratura e vanta nomi di grande prestigio: da Severino Boezio a Brunetto Latini, da Dante a Boccaccio… fino a Dino Campana (Canti orfici), e a John Ronald Tolkien (Il signore degli Anelli). Insomma un equilibrato connubio di prosa e poesia. E qui c’è proprio questo ensemble misurato e compatto; proporzionato e lirico di una scrittrice che ha fatto della vita un serbatoio da donare alle richieste del canto. La Toffanin si narra a vele spiegate; racconta un mondo di episodi da storicizzare; da donare ad una poesia fresca e cristallina, maturata su abbrivi di intima valenza; su valori che sempre l’hanno distinta: fede, amore, gioie e melanconie, naturali messaggi di simbolica struttura esistenziale; il suo canto è di una euritmia avvolgente e convincente, di una sonorità che fa da appoggio a tanta esplosione umana. D’altronde molte sono le connessioni epigrammatiche che vengono a galla e chiedono di tornare a vivere: la Nostra dà loro la forza della narrazione e della poesia. Quello che si ripropone è di tramandare ai figli, ai nipoti, alla storia fatti e vicende succedutisi nel corso degli anni, tormentata dal fatto che così importanti avvenimenti possano essere ingoiati dalla insaziabilità dell’oblio. La stanza alta dell'attesa fra mito e storia, il titolo di questa miscellanea. Si inizia da una splendida lirica dedicata alla sua Padova:
Mia città
dell’utopia “Nacqui nella stanza alta sotto l’ala della Madonna azzurra, non quella di Antonello ma opera di anonimo ceramista, dono di nozze ai miei genitori per la camera degli sposi, non di Mantova, del Mantegna, ma di Padova, centro storico, via Aristide Gabelli 15. Nacqui nel letto grande ove si compie il rito dell’amore, nasce la vita nuova e l’ultimo respiro si spegne…”, confessa la Toffanin. La prosa si fa lirica, poeticamente intrisa di un’intimità acchiappante, per lasciare spazio a La madre vestale della casa, dove rispende la calda voce di un’anima tutta volta a ritrovare se stessa e il mondo primigenio di antiche figure familiari. Sacre lettere scrigno, bombe mortali, casa gomitolo di speranza, sollievo di amicizie, la vita di via Gabelli, stanze amicali, luoghi mitici, presenze sbiadite dal tempo, zii Leone e Nino… tutto si muta in immagine; una realtà vissuta che, col tempo, ha assunto lo stato di grazia per fioriture liriche.
(…)
Ancora
all’ombra dei portici nelle piazze patavine
Vagare nel
travaglio della memoria Persino le cose negative, trafitte dalle frecce di un ritorno memoriale, assumono connotati di poetica valenza; di ontologica commistione scaldata da una saudade che si impadronisce della mente dell’Autrice. Un nostos di empito umano che attraverso un mare non sempre liscio riesce ad approdare ad un porto di luce e di speranza: “… Ci ritrovammo in un’altra Stanza bassa a raccontarci ancora la vita in un cratere indicibile di attese, con un patrimonio già consolidato di amicizia, cultura, bellezza, accumulato in tempi non facili. Inevitabili le nuove difficoltà, superate poi nel tempo che sempre tutto leviga e risana. Però è vero, facevano bene loro, i grandi, a credere nei miracoli!”. Quei miracoli che fanno della vita un patrimonio unico e prezioso di cui la Toffanin è cosciente e di cui si convince sempre più a mano a mano che la narrazione si fa zeppa di fatti e di emozioni; di raccolte intimità familiari che il tempo con le sue fauci a poco a poco ci sottrarrebbe se non cristallizzate in pagine di storia:
(…)
Un sogno?
Un’emozione unica Tanta poesia, tanta storia e tanta confessione emotiva fanno di quest’opera un approdo di forte connotazione umana e artistica a cui la Nostra è pervenuta dopo anni di lavoro e di creatività; pagine di vera intuizione dove la memoria si fa protagonista sfornando episodi da conservare; da tramandare per la loro epicità: (Nazario Pardini) L’amicizia scorreva per le antiche vie
L’amicizia
scorreva come luce
S’innalzava come faro nell’abside di Santa Sofia
Lì al
vento di guerra
Ma il
legame più forte fra tutti noi e monsignore Dal testo La silloge è così divisa: 1- Rituali in cui si formò un’anima 2- L’attesa 3- Luoghi-persone 4- Giochi e stupori
La stanza alta dell'attesa fra mito e storia Grazie, Paola, ho ascoltato i tuoi consigli. Allora, nel lontano novembre del 2009 al palazzo Panciatichi a Firenze, mi avevi sollecitato a raccontare l’origine della mia creatività. Con me presentavano le loro esperienze anche Isabella Horn Baldelli, Cristina Morandi e Laurana Barra. Ed io a dire con entusiasmo e verità a voi di Sguardo e Sogno alcuni squarci del mio passato evidenziato in alcune poesie lette in quel momento. E voi a seguirmi con simpatia e partecipazione tradotte, cara Paola, nel tuo invito a continuare quel racconto per iscritto. Ora, sulle orme di quell’intenso pomeriggio e delle tue parole, ho tentato qui l’impresa, iniziando dalla Stanza Alta, luogo della mia nascita in via Gabelli 15 a Padova.Sono andata così a ritroso nel tempo mitico dell’infanzia e ho ritrovato la mia minuta vicenda inserita tra le pagine del secondo conflitto mondiale proprio nel carteggio fra mio padre e mia madre risalente a quel periodo. Ho sentito allora di appartenere all’universa famiglia nelle mie prime attese sospese fra mito e storia. I parte Rituali della grande attesa in cui si formò un'anima Padova
Mia città
dell’utopia Nacqui nella stanza alta sotto l’ala della Madonna azzurra, non quella di Antonello ma opera di anonimo ceramista, dono di nozze ai miei genitori per la camera degli sposi, non di Mantova, del Mantegna, ma di Padova, centro storico, via Aristide Gabelli 15. Nacqui nel letto grande ove si compie il rito dell’amore, nasce la vita nuova e l’ultimo respiro si spegne. Letto custode di memorie delle nonne, delle mamme, della vita e della morte. In quel letto spirò mia madre in una dimensione ancora estetica, se si può dire con Raboni della morte, fra le braccia figliali, le mani strette in quelle del nipote, il cuore gelido come il torrente d’inverno. Mio padre morì ogni giorno un poco in un letto altro chiuso in una morsa tecnologica quando solo gli occhi parlano e la parola non ha più fiato. La vita e la morte strette insieme anche per chi cavalca ogni giorno destrieri d’invenzioni non per sentirsi vivi ma per sfuggire la morte stessa. Bene, nacqui forse alla luce del mattino, ora meno grata alla mia vista ma ricercata per tutta la vita, fra le premure di donne amiche, la Jolanda per prima, e l’ostetrica più famosa. Nacqui all’ombra sacra della romanica chiesa di Santa Sofia, in una casa aperta all’attesa ancor più in quel periodo bellico quando l’assenza paterna si dilata per ore e giorni, anni di sofferta speranza che stringe tutta la famiglia in un cerchio di preghiera, conforto, aiuto. E l’amicizia si erge come un grande albero che dà ossigeno e rifugio. Madre miracolosa madre
La madre
vestale della casa
In sillabe
ambrate d’eterea grafia Campo di Benjaminow n. 5437- 1944 https://nazariopardini.blogspot.it/2018/02/n-pardini-legge-inedito-di-m-l-daniele.html
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