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Prefazione a
Dante Alighieri l'essilio che m'è dato ...
di Antonietta Benagiano

Roberto Pasanisi
L’attimo che scorre nell’eterno
Parlare di Dante oggi, e del suo «essilio», come fa
offrendoci un laboratorio interiore di raffinate emozioni Antonietta Benagiano, a 700
anni dalla nascita, vuol dire parlare della poesia, del suo ruolo e del suo
senso nella società moderna, dopo quella che fu chiamata la ‘civiltà delle macchine’.
È quello che si chiedeva Eugenio Montale nel discorso che pronunciò in occasione del conferimento del Premio Nobel, il 12 dicembre
1975: È ancora possibile la poesia? «Nel mondo c’è un largo spazio per
l’inutile, e anzi uno dei pericoli del nostr tempo è quella mercificazione
dell’inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovanissimi. [...] Le comunicazioni di massa,
la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di
annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione. [...]
Ma non è credibile che
la cultura di massa per il suo carattere effimero e fatiscente non produca, per
necessario contraccolpo, una cultura che sia anche argine e riflessione. [...] Nella
attuale civiltà consumistica che vede affacciarsi alla storia nuove nazioni e
nuovi linguaggi, nella civiltà del l’uomo robot, quale può essere la sorte della poesia?».
L’engagement estetico, psichico e sociale della
poesia risponde con precisione a codesta domanda: «L’uomo tende a addormentarsi
nella propria normalità, si dimentica di riflettersi, perde l’abitudine di giudicarsi,
non sa più chiedersi chi è. È allora che va creato artificialmente, lo stato di
emergenza: a crearlo ci pensano i poeti. I poeti, questi eterni indignati, questi campioni
della rabbia intellettuale, della furia filosofica»1
1 Pier Paolo Pasolini, La rabbia, in “Vie nuove”,
38, 20/IX/1962.
Perché un grande romanzo o una grande poesia possono
insegnarci – sulla psiche umana – molto più di un grande trattato di
psicologia.
Come ha scritto Antonio Alberto Semi, «Il fatto che queste materie
[umanistiche] non si insegnino più forse non è dovuto tanto alla perfidia delle
classi dominanti o ad altre interpretazioni paranoicali della realtà,
quanto al fatto che l’umanità lotta contro il sapere e che la conoscenza vera,
quella che produce mutamenti a qualunque livello, viene vista come la peste
nera. Le resistenze, in fin dei conti, sono sempre anche delle resistenze a
conoscere»2.
2 Alberto Antonio Semi, Tecnica del colloquio clinico,
Milano, Raffaello Cortina Editore, 1985.
E più avanti: «Kraepelin o del DSM III [sic]. [...]
E poi il dato fondamentale è questo: mentre i manuali di
psichiatria ci forniscono, se vogliamo e nel migliore dei casi, degli strumenti per capire, non ci
forniranno mai delle esperienze. Per quanto siano ben scritti, essi ci comunicano al massimo il modo di
ragionare di un certo autore e la fondatezza o meno delle conclusioni cui porta questi
modi di ragionare. Una funzione fondamentale dell’arte, invece, è quella di
facilitarci l’identificazione in altre situazioni mentali, in altre
esperienze umane». E infine: «L’espressione metaforica è, in genere, più ricca emotivamente. Per darne
ragione, posso accennare all’ipotesi che la metafora, in quanto verbalizzazione di
una immagine (“verme”) mantenga più stretti i rapporti tra le
rappresentazioni di parola e le rappresentazioni di cosa e consenta un’espressione migliore
dell’importo di affetto legato al complesso costituito dalle due categorie di
rappresentazioni»3
3 Ibidem.
.E sono gli artisti stessi che ci rispondono, i letterati,
i filosofi, i cineasti artisti (idest quelli che producono il ‘cinema d’arte’,
totalmente a sé rispetto al cinema mainstream, ovvero commerciale): chi potrebbe meglio
di loro spiegarci a che serve la poesia? E come e perché sia sopravvissuta al dominio
della tecnica4, e come fieramente la contrasti?
4 Cfr. Emanuele Severino, Il destino della tecnica,
Milano, Rizzoli, 1998; Natalino Irti – Emanuele Severino, Dialogo su diritto e tecnica, Bari,
Laterza, 2001; Emanuele Severino, Le radici della violenza, Milano, Rizzoli, 2002; e Id.,
Il nulla e la poesia. Alla
fine dell’età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, 2005.
Ma anche i filosofi della scienza: «Noi sentiamo che, anche
una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono
neppure toccati»5
5 Ludwig Wittgenstein, Tractatus, 6. 52.
.Perché, domandate? Beh, perché «Sono certo che saremmo
persi senza un ritorno ai valori spirituali. La via spirituale è l’ultima possibilità rimasta all’uomo.[...]
L’arte è indispensabile: la qualità divide gli uomini, mentre l’arte li unisce profondamente. L’arte è il segno
della nostra identità universale. [...] L’arte è tutto».
«Ma oggi, dice sempre Jonesco, viviamo sotto la dittatura
dell’informazione politica e dello sport. Nessuno parla più dell’uomo, dell’arte: solo politica e sport.
Inoltre, siamo vittime dei banchieri, del denaro, mentre la sola salvezza dell’uomo è l’arte»6
6 Paolo Calcagno, L’unica realtà è l’assurdo (intervista a Éugene Jonesco), “Il Mattino”,
23/VIII/1988.
.Perché? Perché «La cultura», come ha detto uno dei maestri
del romanzo del Novecento, «sta abdicando ai suoi doveri. La letteratura ha
potere quando la gente è ansiosa di assorbirla e farla diventare parte
della propria vita. Altrimenti i prodotti letterari sono solo educate nullità, come le
signorine di un tempo che prendevano lezioni di pianoforte. Ma invece, quando la parola
letteraria penetra dentro di te, ti cambia l’anima. Questo processo, che io chiamo di
umanizzazione attra-verso la letteratura, non sta più avendo luogo, si sta esaurendo»7
7 Giovanni Forti, Addio, mia vecchia America (intervista a Saul Bellow), in “L’Espresso”, 11/II/1990, pp.106-110, p.109.
“Corrotti dal
conforto, dall’agio di vivere, accettiamo sconsideratamente questa nuova forza, questa rivoluzione
tecnologica che è il motore della nostra società e sottomette gli esseri umani con la stessa sostanziale
ferocia, anche se in forme più gentili, di quello che è accaduto in Urss”. Ma, dice sempre Bellow, «Il
ruolo dell’artista [...] consiste nel resistere alle forze snaturanti derivate dal
progresso»8
8 Ibidem, p. 110.
.E allora cosa opporre al dominio del funzionalismo
moderno, del pragmatismo più bieco e autocratico, del consumismo più radicale, che
hanno trasformato l’essere umano in consumatore vorace ed ottuso del mercato
globale?
Ci risponde un grande romanista in uno dei più classici
saggi sulla poesia del Novecento: «La lirica è rimasta comunque, nella sua potenza
grandiosa e pur così lieve, una delle libertà e delle audacie con cui la nostra
epoca riesce a sfuggire alle catene della funzionalità»9
9 Hugo Friedrich, La struttura della lirica moderna,
Milano, Garzanti, 1971.
È un romanziere cattolico francese, George Bernanos, che rincara la dose: «Regimi
che un tempo erano agli antipodi, a causa dell’ideologia, ora sono strettamente uniti dalla tecnica. Un mondo guadagnato per la
tecnica è perso per la libertà. Il dilagare della civiltà delle macchine coincide
con il calo, sempre più crescente, della spiritualità dell’uomo»10
10 Georges Bernanos, La rivoluzione della libertà. La
Francia contro i Robot e altri testi inediti, Siena, Cantagalli, 2012 [ed.
or. 1944].
Ma l’arte è ribellione estetica allo ‘stato delle cose’,
ricreazione continua del mondo, accensione inquieta e lacaniana del desiderio e
dell’immaginazione, estasi sublime e lacerante di eros e poesia – è θεια μανία,
come diceva Platone nel Fedro:
«Considero la poesia una fonte d’innocenza colma di risorse
rivoluzionarie. La mia missione consiste nel dirigere queste forze contro un
mondo che la mia coscienza rifiuta di accettare, esattamente in modo da
rendere quel mondo, attraverso continue metamorfosi, più in armonia con i miei
sogni»11
11 Cit. da Nicola Crocetti, Introduzione a Odisseo Elitis,
Sole il Primo, Milano, Guanda, 1980.
È un altro poeta, ma anche fine teorico, che ci dà la
risposta engagé alla vexata quaestio: «Il problema, allora come oggi, e oggi
certamente più che allora, è quello di sviluppare a fondo le pulsioni anarchiche che sono alla
radice, inequivocabilmente, di tutta la grande antipoesia di questo secolo che
muore, portando tali pulsioni dal terreno della rivolta al terreno della
rivoluzione. [...] Perché si tratta pur sempre, come si diceva anche allora, e come sarebbe
bene tornare a dire anche oggi, io credo, di cambiare la vita, e di modificare
il mondo»12
12 Edoardo Sanguineti - Jean Burgos, Per una critica
dell’avanguardia poetica in Italia e in Francia, Torino, Bollati Boringhieri,
1995, pp. 7-28, p. 28.
È questa la risposta finale alla domanda di Montale: la
poesia non è solo ancora possibile, ma è soprattutto necessaria quanto il pane,
quanto l’acqua, quanto l’aria che ci fa vivere e ci aggancia – complessa, difficile e
indispensabile quante le cose semplici e basilari – secondo l’insegnamento dell’antica
meditazione Vipassana, al presente, ovvero all’attimo che scorre da sempre e per
sempre nell’eterno.
Perché nulla dura per sempre, tranne la poesia. È la malia magia sublime e
terrifica dell’arte, della bellezza, dell’amore, dell’emozione, del desiderio. Della poesia, insomma.
Antonietta affronta la materia evitando, con sapientia
tanto cordis che mentis, di entrare nel mare magnum – quasi infinitum – e
procelloso della Filologia dantesca stricto sensu: sceglie di entrarci
col cuore, nel registro delle emozioni e di una reinterpretazione tutta personale e soggettiva, sul filo
sottile ed inquieto dei battiti del cuore.
È quello che ci mancava, è quello che ci voleva.
E noi le siamo grati per questo. Toto corde, come si
diceva una volta.
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