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Dolce stil novo:
echi d'amor corrente tra letteratura e vita

L’amore ha uno stile. Suoi “stilemisono dolcezza e turbamento, che sono gli stati dell’animo che l’amore produce in chi “s’apprende”e che costituiscono la sua prima espressione. Sono emozioni visibili nella fase dell’innamoramento, moti impercettibili che si disegnano nei volti degli innamorati, toccati e benedetti dai raggi dell’amore, sì che i loro sembianti appaiono trasfigurati. Messaggeri del sentimento nascente soni i dolci sguardi (prima solitari e furtivi, poi palesi e reciproci, ma non ancora dichiarati!) attraverso i quali l’amore si annuncia e si rivela. Così gli occhi si nutrono dell’amorosa visione e gli innamorati stupiscono e restano ammutoliti di fronte a cotanto miracolo, rapiti nel contemplare il volto amato.

L’ “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende” e che trova così dolce riparo in quella sede naturale ov’esso ispira l’aura del Paradiso, dona “per li occhi” beatitudine e salute, sì che la persona tutta si trasfigura e gode in contemplazione. Lo sguardo che innamora e sul quale affiora l’amore di cui si nutre, fa levitare il corpo rendendo tutt’anima colui che riceve il suo tocco miracoloso. Così, dolce e radioso è a Dante lo sguardo di Beatrice che schiude e imprime il viso della beata donna nell’anima del Poeta, il quale si nutre dell’amorosa visione, nel tempo rinnovata. In grazia dell’Amore, Beatrice è angelo “venuto da cielo in terra” ad incarnare quell’Altezza divina che ispirò la Commedia. E il Canto che la volle Personaggio fu la promessa dell’eternità, grazie alla quale ella conserva il suo nome nel mondo.

La Poesia perdonò quegli amanti, cui restituì il diritto all’amore che era stato offeso nella “bella persona” di Francesca dall’abietto Gianciotto, il quale, spinto dalla politica e non dal cuore, volle legarsi a lei, anche per vincere sul proprio aspetto deforme. L’ Inferno, che accoglie e p-unisce quelle “colombe”, infiamma il loro amore giusto ed onesto, perché casto fu il bacio né li avvinse lussuria, ove, solo per umano decreto, sono locate. Quest’amore dolce e turbato, che il “vento” impetuoso alimenta e che divampa come una fiamma nel canto che lo conserva, è il medesimo sentimento terreno che sarebbe durato inalterato se non l’avesse spento in modo scellerato quel «rustico uomo» che “Caina attende.

È questo forte spirto d’amore che sosta gentilmente per desiderio del Poeta, il quale, accogliendo i dolci pensieri e la pietà delle inseparabili anime, sospira e si commuove fino alle lacrime e allo svenimento. Non ha colpe la Poesia, che con il “libro Galeotto” addolcisce gli sguardi e li contamina con l’amore, di cui essa è la prima radice. Non c’è libidine ove “il disiato riso” è “baciato da cotanto amante”, né in Paolo che bacia la bocca di Francesca “tutto tremante”. Perché il tremore è la levità e il candore, è la gioia incontenibile che tracima nel bacio, in cui Paolo assapora la propria estasi; perché i sensi non hanno dominio sull’amore che disarma Lancillotto e lo investe cavaliere della visione rotonda alla quale si accostano gli sguardi ispirati dei nostri amanti che, “sedendo” intorno al desco iridato, suggellano con la levità di un bacio la loro appartenenza all’Amore e al suo sodalizio universale.

Dolcezza e turbamento, dunque, conferiscono all’amore quello stile particolare che rinnova, in ogni tempo, il canto dei poeti; che fa sognare e tremare Romeo e Giulietta in modo assai simile a Paolo e Francesca; che rapisce e sgomenta Aschenbach*, sedotto dalla bellezza di Tadzio e dall’eufonia del suo nome. La mirabile visione del giovane “Feace”, la divina perfezione del suo volto, la grazia incomparabile del suo portamento, producono su Aschenbach, esteta e decadente, gli identici effetti del “Dolce stil novo”. Perché l’amore è la corrente che ad ogni epoca “s’apprende” ispirando con il suo stile dolcezza e turbamento in chiunque soltanto oda o pronunci il nome della persona amata!...Epifania del nome, che inscrive e suggella indelebilmente nella nostra anima il volto amato! Miracolo dello sguardo che, nella lontananza, contempla quel volto che affiora nel dolce sussurro del nome! Chi potrebbe mai strappare Dulcinea dal cuore dell’Hidalgo? Chi potrebbe offuscare lo sguardo di Orfeo negli occhi di Euridice, la quale trova la morte in quello sguardo eccessivo e impaziente?...Romeo potrebbe forse rinnegare il proprio nome senza estirparlo dal cuore di Giulietta? E Ofelia, è forse affogata negli occhi di Amleto? Nel nome è la purezza di Perceval che in Parsifal si fa delicata dolcezza. Al semplice, al puro cavaliere del Santo Graal non è tuttavia concessa la sacra Coppa, perché promessa e conquistata da Galaad: l’eletto per eccellenza, il compiuto cavaliere di Dio, già designato, destinato dal nome, che suona come un casto e soave respiro!...Il nome è salvezza se lo culla l’amore; se, toccato dalla grazia, si apre al volo dell’Angelo e mostra in piena luce il volto amato.

Potenza del sentimento che nobilita i sensi, che riduce la distanza tra l’anima e il corpo, tra lo spirito e la materia rinnovandone il legame! Miracolo dell’Amore, che infonde il proprio stile all’oggetto del desiderio e lo trasfigura dandogli le sembianze dell’Angelo! Se lo sguardo necessita di un corpo, di una forma, affinché l’anima esulti e s’innalzi, lo sguardo puro e profondo, non contaminato dai sensi, è capace di contemplare l’immateriale Bellezza senza la mediazione del corpo. Simile al poeta, nell’atto puro della creazione, è l’innamorato, di fronte alla pura visione del volto amato. La loro anima conosce l’estasi senza uscir fuori di sé, riposando piuttosto in sé stessa. Perché l’estasi è la siesta, il celeste e necessario anagramma in cui l’anima gode dell’incorporea Magnificenza nella dolce posa della contemplazione. Ed è questo il nuovo legame: tra l’anima e la mirabile visione, tra lo spirito e la Bellezza. Purezza dell’anima che si fa liquida immagine, riflesso di un volto straniero. Non di sé s’innamora Narciso ma di quell’«io» sconosciuto che lo se-duce con l’immateriale Bellezza che è la virtù e l’essenza stessa dell’anima. L’anima, che rispecchia sé stessa, “annega” Narciso che la contempla. Perché chi vede l’essere immortale deve rinunciare alla vita, per ricongiungersi con la sorgente!

Esiti simili ritroviamo in Leopardi, al quale è dolce il naufragio nel liquido specchio dell’infinito, dove contempla l’Anima del mondo con la quale la sua anima si con-fonde; in Neruda, che sostituisce all’infinito la Poesia, la quale è, essa stessa, infinito, “universo”, col quale l’ “essere minimo” del poeta si congiunge naturificandosi **, tra un tripudio di stelle, e sciogliendosi dolcemente fino al dissolvimento panico; in Siddharta, per il quale il naufragio delle singole coscienze, sottoposte al karman e al samsara, è l’approdo al sospirato nirvana, dentro l’universale respiro dell’Atman.

Sì. C’è dolcezza e turbamento, non solo di fronte all’angelico volto, visitato dall’amore, che attrae lo sguardo innamorato suscitandovi la propria immagine con la sola scia del nome, ma anche di fronte al mistero della creazione, al suo spazio sconfinato, nel quale sprofondiamo contemplandovi, come in uno specchio, gli abissi della nostra anima. Qui, quei sentimenti sono rinnovati, in uno stile che rivela ancora una volta il miracolo dell’amore che con il suo volto segreto volge all’assoluto, a una Bellezza divina, tutta interiore. Potenza, dunque, dello stile che, con dolcezza e turbamento, esalta la vita e ingentilisce gli uomini rinnovandone il cuore e la vista; che li dispone all’ascolto del canto nel semplice dono di un nome; che li fa attori e spettatori della rotonda visione e li innalza fino al cielo…Perché il Paradiso è perduto solo negli occhi incapaci di coglierlo nello splendore della natura e della creazione umana.

* Personaggio di Morte a Venezia, di T. Mann
**da naturificazione, neologismo dell’autore del presente saggio e figura retorica, opposta a personificazione

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