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Bullismo e violenza dei giovani.
Tra scuola e famiglia chi colpevolizzare?

Gli ultimi incresciosi episodi di bullismo e di violenza hanno scosso il già precario equilibrio della scuola, ridisegnando la mappa di brutalità del bestione primitivo, predatore delle sue vittime, vuoi belve, vuoi femmine. In sintonia con la nostra epoca di rinnovata barbarie, i neocavernicoli, tredicenni – sedicenni – diciassettenni, cavalcano, a giudizio di psicologi di chiara fama, la trasgressione di una fascia esistenziale delicatissima, ingovernabile da scuola, famiglia, società. Sull’assunto nulla da eccepire se non si sdrucciola sulle teorizzazioni di una metodica educativa a larghe maglie: essa storna la violenza e l’ottusità del branco in pulsioni che attizzano nel preadolescente smania di crescere e velleità di eccellere, anche con aggressività selvaggia. In potenza vuoto assoluto, tabula rasa di sentimenti, egotismo, attitudine alla bravata nel/col gruppo che infonde sicurezza, coraggio, delirio d’onnipotenza. Intorno acquiescenza generalizzata. Perciò, è quanto mai agevole stuprare a turno la compagna mobbizata o molestare il ragazzino disabile. E, affinché la gradassata sia di dominio pubblico, col cellulare si fotografa il misfatto che, in tempo reale, con cinismo senza precedenti, transiterà in sito Internet. Siamo nel bel mezzo della belluinità, esternazione di paranoia: uguaglia i guasconi a proseliti di Prometeo, maudit, fiori del male della generazione in bilico tra Novecento e Duemila: del secolo appena tramontato pare abbia introiettato solo negatività ed abominio.

Insomma, della stagione del malessere si traccia un identikit di miseria morale, basso quoziente d’intelligenza, disagio patologico, interrelato con la consapevolezza di essere un niente fuori del gruppo. Alla luce di un’ aberrazione che sbarella, ci si chiede: quali le radici di tanta diffusa brutalità, esplosa d’improvviso come i germi di una malattia a lungo covata? Non è erroneo criminalizzare la caduta degli ideali politici, la delusione dei partiti, l’eclissi dei valori, l’esecrazione dell’etica, la profanazione della morale, l’apostasia della deontologia professionale. Edotti sono e sono stati parecchi docenti, fin dall’epoca del tueggiare. Per tamponare o scongiurare fenomeni di contestazione e di destabilizzazione personale, autorizzarono gli allievi a chiamarli col nome di battesimo e ad usare nei loro confronti il tu; ruolizzarono lassismo e permissivismo sotto le adombrate spoglie di un paternalismo finalizzato a qualunquismo, fiacchezza, accondiscendenza. Grumo e premessa della violenza attuale. Un compromesso che bilanciava e, talvolta, ancora, bilancia buonismo  con promozioni regalate; un do ut des che, con gradualità, ha elevato la diseducazione, il leaderismo, la descolarizzazione a norma di vita e di comportamento all’interno di alcuni gruppi aula. Con questi precedenti, perché rimanere allibititi alla visione inedita di discenti che palpeggiano il fondoschiena della professoressa in cattedra, mentre serenamente impartisce la lezione, senza accorgersi di essere brancicata? La ripresa provoca ilarità e sconcerto. Non sono da colpevolizzare gli alunni, ma l’insegnate che sta al gioco, perché quella tipologia di gioco, indubbiamente, le piace. Vogliamo supporre che i suoi orecchi non odano il clic dei tasti dei cellulari che, digitati da mani sapienti, impressionano l’immagine e scattano la foto che rircolerà in internet? E i suoi occhi non vedano il resto della scolaresca che, a dir poco, ammicca e sghignazza, magari, a crepapelle? Per non parlare della maestra che mozza la lingua ad un bambino delle elementari. Perché non sistemarla, con sede definitiva, tra le infermiere delle SS? Si riaprano per lei i campi di sterminio, suo habitat naturale e congeniale. Non vorrei essere nei panni dei docenti di Matteo. Prima del folle gesto, chissà quanti non raccolti segnali di aiuto avrà lanciato il giovane, perseguitato e deriso dal branco. Eppure il Corpo docenti si picca di essere esperto di psicologia, dei disturbi e delle turbative dell’età evolutiva.

A quanto pare, nella scuola vige la legge del silenzio degli educatori e dell’omertà del branco. Di esso e delle sue malefatte, per quietismo, nessuno si accorge, né proff. né Preside, impegnato, in qualità di manager, nella quadratura del bilancio e nella chiusura dei conti in parità. L’evoluzione–involuzione, ritenendole, forse, obsolete, sta defenestrando didattica, cultura, formazione, che promuovono il processo di adultizzazione. Il lasciarsi andare, il non vedere, non sentire, sono un costume che ha investito anche i docenti, spiazzati dal conflitto generazionale, in cammino su una strada di non ritorno. La meccanizzazione, la robotica, internet hanno disumanizzato i ragazzi, smorzando la fiamma del sentimento e della fantasia. Quanti, tra loro, riescono a penetrare la bellezza dell’arte e della letteratura, il fascino della storia, la suggestione della civiltà greco – latina, la voce e i sussulti della poesia? Pure l’elasticità mentale dei discenti non trova difficoltà ad attualizzare il passato e a storicizzare il presente con supporti comparativi, griglie, schede, visione di films sugli argomenti trattati, drammatizzazione. Il teatro è uno strumento aggregante. I ragazzi di Scampia, che stanno portando sul palcoscenico Io speriamo che me la cavo di Marcello D’Orta, sono un esempio da seguire. Ma per pervenire alla ottimizzazione dei citati obiettivi, è necessario che la maestrina non tagli la lingua al bambinello e che la prof. ssa non si lasci palpare dagli studenti, fingendo indifferenza da statua di sale.

La decadenza da scuola seriamente malata, al pari della famiglia mononucleare, sgretolata ed allargata. Latitanti, le figure parentali del padre e della madre, rinnegato il ruolo di referenti, preferiscono nicchiare, tacere piuttosto che intervenire con la persuasione della parola, del dialogo, che può demolire il muro dell’incomprensione e della incomunicabilità. Per raddrizzare le devianze occorre trasmettere amore, per usare l’espressione di Papa Ratzinger, con un cuore di carne: anche se sanguina, la carne sa sanificare trovando l’àncora salvifica. I tempi si prospettano lunghi, ma bisogna tentare, combattere apatia, deresponsabilizzazione, degenerazione e depravazione all’interno delle pareti domestiche come nel vissuto della scuola: con diritto d’urgenza deve recuperare le mansioni educative e formative. E’ necessario che famiglia e scuola non diano spago ad un buonismo diseducativo e socialmente deleterio. Se si stanno forgiando i disadattati del Duemila, fiaccati da ozio paranoico, abbiamo il coraggio di ammetterlo, la colpa è della famiglia, della scuola. Purtroppo, questa mia opinione, pubblicata su Il Mattino del 30/08/1996, è ancora valida e attuale. Peccato che ad esserne leso e danneggiato sia quel giardino di bellezza denominato giovinezza.

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