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Dissacrazione del Codice di Dio

Del termine codice, insinuatosi nella comunicazione come lemme di uso quotidiano, tutti ci arroghiamo, a quanto pare, diritto di monopolio. Ne scioriniamo a iosa: codice fiscale, di avviamento postale, della strada, codice amministrativo, sportivo, giornalistico, deontologico, obsoleto e abor-rito, codice legale, di procedura penale o civile, codice d’onore, prerogativa della mala, codice

linguistico. A corona il più diffuso e divulgato Codice da Vinci. Un ampio delta di codici dal quale, con spregiudicatezza eterodossa, viene estromesso il Codice di Dio,dissacrato dall’eclissi dei valori di cui, da oltre un cinquantennio, noi, della generazione matusa o surgelata, siamo testimoni, a dir poco sconcertati, se non acquiescenti.

Tra Il codice da Vinci e Il codice di Dio corrono anni-luce, ma a costo di scadere in una provocazione blasfema,azzardo asserire, parallelizzandoli che Il codice di Dio non sfigurerebbe tra i thriller come il da Vinci di Dan Brown. Eresia? Personalmente, e le biografie di Santi come Agostino, Faustina, Teresa d’Avila, Girolamo lo attestano, sono convinta che l’approccio a Dio si compia attraver-so un iter di macerazioni spirituali, trasgressioni, scombussolamento interiore, accidia, indizi, colpi di scena, che alimentano e trasmettono la tensione e la suspense dei thriller. L’anomalia sta nel fatto che,sfogliando norme e regole de Il codice di Dio, non ci imbattiamo in assassini o serial-killer, ma in un’Entità metafisica trascendente, che ha il potere di degradare fino all’uomo, incendiandone l’animo con ravvedimenti esistenziali, finalizzati al bene.

Uno sconvolgimento, una rivoluzione che Duemila anni fa fece sussultare la solidità e la stabilità dell’Impero Romano, catturò il cuore e la mente di plebei e di esponenti del patriziato, che credeva-no negli dei falsi e bugiardi, detentori di un codice antropologico di gelosie e rivalse, odi e vendette, rivalità e invidie, iato e antitesi all’amore universale e al concetto egalitario della parità delle classi sociali dinanzi alla legge e all’Eterno. Un Eterno che si fa uomo per morire come uomo, è un mistero che lascia e ha lasciato perplessi teologi, filosofi antichi e contemporanei, nonché un operatore culturale del calibro di Dante,

Calato nell’ortodossia cattolica del XIII secolo, il sommo poeta, consapevole di non potere spiegare razionalmente una delle più dibattute verità di fede, per bocca di Virgilio, ammonisce: State contenti umana gente, al quia; / chè se potuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria, / e disїar vedeste sanza frutto / tai che sarebbe lor disio quetato, / chetternalmente è dato lor per lutto: / io dico di Aristotile e di Plato[1]

Impossibile e pretenzioso esplicare il quia che sostanzia i dogmi con la pochezza e l’insufficienza della ragione. Virgilio, addolorato per tale limitatezza, chinò la fronte, / e più non disse, e rimase turbato. [2] Turbamento che non tange l’uomo copernicano: se ne cale del divino abraso dall’individualismo sfrenato, dal consumismo ad oltranza, dalla irrazionalità, a dismisura cresciuta e dilagata sull’arco di due secoli, l’uno filiazione dell’altro ed entrambi abbrutiti da guerre intestine e da bra-ma di preponderanza politico-territoriale. Ovviamente non sancite dal Codice di Dio.

Se il Novecento ha partorito il livore e il dispotismo delle dittature, l’ecatombe di due conflitti mondiali, l’obbrobrio dei lager, la morte atomica di Hiroshima e Nagasaghi, gli assalti al cuore dello Stato negli anni di piombo, la proliferazione, a macchia di leopardo, delle organizzazioni malavitose, in odore di collusione con il potere centrale, le guerre del Golfo, lo sterminio e il genocidio della pulizia etnica nell’ex Jugoslavia, gli albori del Duemila sono stati teatro degli attenta ti terroristici alle Torri Gemelle, al Pentagono, a Londra, a Madrid, a Bali sotto l’egida di Al Qaeda, oggi rimpiazzata dall’Isis con la stragi di Parigi, Nizza, Berlino, Instabul.

Nata dalle viscere del fondamentalismo arabo, attiva nel Medio Oriente, sfruttando gli antagonismi storico-religiosi che arrovellano curdi, iracheni, siriani, giordani, palestinesi, l’Isis sta effettuando, con raccapriccio e orrore dei paesi e delle comunità internazionali, una brutale crociata di decapitazioni di donne, bambini, cooperanti, sacerdoti, giornalisti occidentali, caduti nelle mani di jhadisti malvagi, fanatici della guerra santa, mezzo e strumento per riprendere il processo di islamizzazione europea, in illo tempore stroncato dai Franchi di Carlo Martello.

Brutalità, irrazionalità si correlano con lo scenario globalizzato e con quello traballante del nostro governo, ondivago tra sciabordate di faziosità e intrighi, programmi attuativi elusi e veleni all’interno dei partiti, marcescenti di scandali e divorati dal negligere dei leader, elevato a sistema. Garantisti dal beneficio dell’immunità, brancolano in un attendismo di polemiche e diatribe sterili, che procrastinano la risoluzione, ormai annosa, del problema della disoccupazione, con il connesso precariato di giovani e di esodati. Le fasce disagiate della popolazione, meno o poco abbienti, ne sono incondizionatamente colpite. Gli effetti deleteri si ripercuotono, in ambito familiare, sui genitori: per esigenze di sbarcare il lunario con occupazioni saltuarie e occasionali, vengono meno al loro ruolo referenziale, di esile spessore etico-educativo a partire dal Sessantotto. Perduti i valori-guida, i giovani costituzionalmente fragili, soprattutto delle periferie e dei quartieri ai margini della sopravvivenza, si invischiano in devianze, che si concretizzano, a primo acchito, in atti di bullismo violento, fatti passare per gioco o atti banali : invero rasentano l’omicidio da branco, anticipazione, in un domani prossimo futuro, vuoi per malacongiuntura, vuoi per malversazione incontrollata o indotta, di delitti, a scopo di rapina, o allo stremo di un cervello alterato nella sua chimica, di patricidi, matricidi, femminicidi, infanticidi, abuso su minori. Sofferenze e lacrime il Codi-ce di Dio.

La società è allo sfascio morale. Anni di lassismo, abulia, indifferenza ci si ritorcono contro; i freni inibitori dei padri, nei figli franano come birilli di cartapesta. L’umanità, inaridita, è tabula rasa di amore, onestà, rettitudine, etica, deontologia, impantanate, ormai, nella gora delle morte cose, in disamalgama con la stagione corrente, che è di soprusi, prevaricazione, sopraffazione.

Interrelato con la crisi del divino, il Codice di Dio, è ignorato da chi, del significato della vita, offre chiavi interpretative seduttive e chimeriche. Sta all’uomo, dotato di capacità sceverative, intercettare i segnali che, sulla scala degli Esseri, dal bruto lo innalzano a categoria pensante e operante, secondo lo statuto del bene, atto a debellare il male.

Di certo non è facile. Non lo fu per Santi come Agostino, da anticattolico, stoico e manicheo, divenuto uno dei maggiori Padri della Chiesa.

Casi di emancipazione dal peccato, come quello di Agostino, si registrano anche in letteratura. Emblematico quello dell’Innominato, che trovò propellente di ravvedimento in Lucia.

Perché, mi si potrà obiettare, questo livello comparativo tirato? Perché lanimo di quel chode, non posa / né ferma fede per esempro chaia / la sua radice incognita e ascosa, / né per altro argomento che non paia.[3]

Necessaria, quindi, la rivisitazione di fatti che, accaduti nel lontano, devono essere suffragati da esempi, scolpiti nella memoria collettiva.

Il ritratto, che il Manzoni sbozza dell’Innominato condensa un’esistenza di crimini e nefandezze estratti dalla cripta del Seicento, e un’ambascia di scrupoli e rimorsi tardivi, emersi dal suo subconscio di operatore del male, di cui, nel secolo degli ammazzati, è ardita e temeraria personificazione. Ne presentiamo uno stralcio.

E qui senza che saffaticasse molto a rintracciare nella memoria, la memoria da sé gli rappresentò più di un caso in cui né preghiere né lamenti non lavevano punto mosso dal compiere le sue risoluzioni. Ma la rimembranza di tali imprese gli destavauna specie di terrore, una non so qual rabbia di pentimentoPensando alle imprese avviate e non finite, sentiva una tristezza ,quasi uno spavento dei passi già fatti. Il tempo gli si affacciò davantipieno soltanto di memorie intollera-bili.[4]

Il colosso del male vacilla sui piedi d’argilla, quando Lucia, supplice, pronuncia: il Signore perdona tante cose per un’opera di misericordia.[5] La frase scatena un cataclisma, uno tsunami nell’Innominato, da tempo, senza avvedersene, tormentato nella psiche. Misericordia e perdono: due cardini del Codice di Dio di difficile realizzazione. In particolare il perdono, che deve essere assoluto, totale, senza recriminazioni, in maniera da non poter mai più dire: io ti perdono.[6]

Purtroppo, la misericordia e il perdono, oggi, sono svuotati di valenza etica: la mistica del piacere che folleggia edonismo e danaro, l’orgia del benessere economico hanno sradicato dal pensiero comune i due termini, che vagolano desueti tra le astrattezze delle categorie impalpabili.

A pagarne lo scotto noi tutti, figli di Eva,abbacinati dall’effimero, dal rampantismo altezzoso, dal materialismo nefasto, che invalida i contenuti valoriali. Il decadere è costante, inesauribile; il tralignare senza soluzione di continuità; la snaturazione dell’amore spirituale, quello che il Petrarca dun velo candidissimo adornando, / rendea in grembo alla Venere Celeste, [7] è un ricordo che pulsa solo e ancora nei nostri anziani. Viviamo una realtà amara, tetra, irrorata di stragi gratuite e san-gue innocente.

Ciò non toglie, però, che da essa possano germogliare alberi di alto fusto, generosi e gagliardi, rigogliosi di verde e di luce; una luce che fughi le tenebre dell’oscurantismo morale e accenda la fiaccola della rigenerazione con un avvicinamento convinto al Codice di Dio, che non si nega a riletture, fatte con vivo e consapevole intelletto damore.[8]

Note


[1] D. Alighieri, Purgatorio, a cura di G. Giacalone, A. Signorelli, Roma 1988, canto III, p.133, vv.37-43.

[2] Ivi, vv.44-45.

[3] D. Alighieri, Paradiso, a cura di G. Giacalone, A, Signorelli, Roma 1992, canto XVII, p.427, vv.139-142.

[4] A. Manzoni, I Promessi Sposi, a cura di F: Cannici - M. La Rosa, Conte editore, Napoli 1998, cap. XXI, p.429.

[5] Ivi, p. 422.

[6] Ivi, cap. XXXV, p. 703.

[7] U. Foscolo, Dei Sepolcri, Carme a Ippolito Pindemonte, a cura di E. Bottasso, Utet, Torino 1981, pp. 93-94, vv. 178-179.

[8] D. Alighieri, Vita Nova, Donne ch’avete intelletto damore

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