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Il pericolo Isis e l'attendismo italo-europeo

Non sono una opinion leader, non ne ho stoffa né preparazione specifica adeguata, ma l’avanzata, a ritmo selvaggiamente eversivo, del fondamentalismo islamico mi inquieta e preoccupa, soprattutto quando la follia omicida di uomini efferati si scatena contro turisti inermi, giornalisti che operano nella legittimata e accreditata libertà di parola e di pensiero, avventori ignari all’interno di supermarket, popolati di mamme e bambini. A prosieguo quattro esplosioni in due moschee di Sana durante la preghiera del venerdì con un bilancio elevato di morti e feriti.

Il clima che si respira nel mondo è di panico e sbigottimento. In Italia si rivivono le tensioni della notte della Repubblica e dei non dimenticati anni di piombo: non tranquillizzano i falsi garantismi e ancor meno i biechi jahadisti nerovestiti, passamontagna a mimetizzazione del viso, vessilli nero-cerchiati. Armati di kalashnikov, esplosivi, mitragliatrici, lame da taglio, incarnano i nuovi signori della morte. Esaltati da delirio di onnipotenza, i tagliatori di teste e di blitz stragisti suffragano l’ ideologia della guerriglia e il rinnovato processo di islamizzazione con uno scenografico apparato militare e paramilitare, finalizzato alla diffusione del fanatismo religioso, all’espansione territoriale alla rapina, alla conquista. Al clou una barbarie di ritorno, che è vandalizzazione di reperti archeologici e iconografici, a soppressione di una cultura globale da elidere e sradicare dalle origini ai nostri giorni.

Beduini di antica razza, acculturati su modelli europei, maestri del web, che assicura la circolazione planetaria delle loro minacce, i guerriglieri dell’Isis agiscono con maggiore spregiudicatezza e determinazione quando i Paesi che gravitano nel raggio di un prescelto asservimento attraversano fasi di disagio e precarietà politica, con le Istituzioni traballanti e le certezze della rinascita che nicchiano nel letargo embrionale. A sfogliare le pagine della storia recente ci si avvede che la riscossa dello Stato islamico ha coinciso con il dopo Saddam e il dopo Gheddafi.

Oscuratasi la scena politica mediorientale con la destabilizzazione di alcuni poteri assoluti, il fanatismo religioso e lo slancio guerriero delle imprese belliche sono stati occasione e pretesto per una mobilitazione a oltranza, basata sull’effetto sorpresa e coronata da successo sui governi provvisori postdittatoriali, in specie su quelli, sguarniti di protezione, dopo il ritiro della forza multinazionale.

Al pari in Italia la situazione non è da annoverare tra le rosee per i dissidi e le divergenze che sbava no veleno in seno ai partiti di maggioranza e di minoranza: deruolizzati e areferenziati, con alchimie e arzigogoli di parole, glissano sul problema ISIS, che ha nel mirino anche Roma e altre città, per cultura, possibili obiettivi sensibili .Le motivazioni di tanta stratificata tranquillità non risiedono in grembo ai Celesti, ma, da un bel po’, nella provvisorietà dei governi in carica, con troppi manipolatori di clientele, collusioni, lottizzazioni. É la fotografia in nero della macchina politica: malata al proprio interno e affaccendata in negozi e affari di ben altra natura, si limita a liquidare il problema Isis trincerandosi dietro la copertura della doglianza di facciata: esecrazione degli attentati, solidarietà alle famiglie delle vittime, proclamazione di lutto cittadino, organizzazione di marce, assembramenti, fiaccolate protestatarie che non tangono gli uomini del Califfato nero. É il rituale del nihil novi sub sole, del cordoglio effimero che si esterna con la partecipazione ai funerali di autorità civili e militari, oltre che di una folla anonima e commossa, che non sottovaluta il pericolo incombente, pur sfrondato, da chi invece dovrebbe preoccuparsene, di gravità e drammaticità. Angoscia, nel frangente del lasciar correre,l’assopimento neghittoso, la passività endemica, cui il non veder / non sen tir è quasi diletto; una passività che suona astensionismo, acquiescenza, non dissimile da quella che tanta parte ebbe sull’avvento del fascismo in Italia e del nazismo in Germania.In un ab norme che genera sfiducia, nell’uomo qualunque bolle la rabbia di non potere schierare sul campo un Carlo Martello e un Cid Campeador, più temerario e giustiziere dello stesso Rodrigo Diaz de Vivar.

In questa temperie di instabilità noi tutti, cittadini comuni, non ci sentiamo sicuri in casa nostra, in considerazione del fatto che l’Italia dista dall’Africa islamica appena un braccio di mare, percorso da migranti in fuga dalle guerre scismatiche. tra essi temiamo possano infiltrarsi persuasori occulti, imbonitori di consumato carisma, che sfidano i naufragi per propagandare nella clandestinità e, col supporto di imam compiacenti, la dottrina della violenza, iniettando l’arsenico della loro primavera di sangue in giovani disorientati, su cui il modello emulazione può agire da forte catalizzatore.

Ma, al di là di ogni precorrimento pessimistico, a nessuno sfugge che il temporeggiare dell’Italia e dell’Europa può diventare deleterio se non si provvede a frenare la crociata espansionistica araba con una risoluzione a vertici della concertazione U:E., che coordini empaticamente e sinergicamente strateghi militari, Servizi Segreti internazionali, forze politica in stretta intesa tra loro, sacrificando agli interessi delle Nazioni ogni singola coloritura partitica.

Credo sia questo il mezzo più efficace per uscire dal blaterare vago e dall’attendismo sterile. Mi si più tacciare persino di catastrofismo. Rimane però, in sospensione, un campanello d’allarme da da ascoltare per scongiurare l’oscurantismo funesto di un secondo Medioevo, che potrebbe essere addirittura prossimo venturo .Il che potrebbe accadere con le alterne vicende della storia.

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