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Il sogno di Biancospino

Un antidoto ai falli di una società di dis-valori

Perché Basile, La Fontaine, Perrault, i fratelli Grimm e, prima di loro Esopo, Fedro, Apuleio, in età e contesti differentissimi, scelsero di scrivere favole dalle trame variegate e disparate?

Forse perché, vuoi la trasposizione nell’immaginifico sia di natura onirica, vuoi riecheggino pertinenzialità del contingente, sempre favole e novelle, settore cattivante del patrimonio culturale di ieri e di oggi, sono per gli adulti un ritornare bambini e per i bambini un sognare ad occhi aperti.

Le ragioni, se nei fanciulli sono motivate dal transfert fantasioso nel reame degli orchi e delle fate, dei maghi e delle streghe, negli adulti risiedono in un bisogno di evasione; nella necessità di erompere dalla sfera del transeunte per un naufragio salvifico nella dimensione dell’irreale, con approdo voluto, cercato, trovato in un sopramondo in cui il bene, la pace, l’amore sopravanzano il male, la guerra, l’odio.

Da tali presupposti muove la narrativa di Antonio Angelone, solo in apparenza scollegata dal vissuto,come ad un primo livello di lettura può configurarsi Il sogno di Biancospino.

A che, potremmo chiederci, la predilezione di Angelone per il filone favolistico? La domanda non presuppone un almanaccare risposte cervellotiche. Chi lo conosce, sa per certo che nell’uomo e nello scrittore vibrano, non usurate dal tempo cronologico, le corde del fanciullino di pascoliana memoria. Sono queste corde; è questa verginità dello spirito, in unicum con la verginità e la illibatezza del paesaggio molisano, che lo sensibilizzano ad evocare e a rivitalizzare un mondo di purezza, in lui e per lui, esente da contaminazione; un’osasi metafisica e surreale, nella quale egli si ri-crea e si rigenera, dando vita a personaggi che, nell’immaginario collettivo, hanno suggestionato la scena del mondo con una carica di spontaneità, che al presente non ha l’uguale.

Tale Biancospino, preadolescente che compie un viaggio di trascendenza, allegoria e metafora della ascesi di Dante dallo smarrimento nella selva alla visione di Dio. Il processo di purificazione e di spiritualizzazione prende l’avvio dalla morte di Boccadimiele, madre del ragazzo, assunta tra i beati, dopo una vita di stenti, rinunce, sofferenze, senza mai trascurare la pratica del bene.

Il sogno di Biancospino, con il novero delle creature che lo corredano, nelle intenzioni dell’autore, è antidoto al tralignare dell’umanità, alla collusione delinquenziale, al deragliamento della mente verso forme esecrabili di malversazione e devianze. La voce del narratore è la voce che esce dal coro, che non si adegua al sistema, ormai acclarato, di vedere e di tacere uniformandosi alla massa amorfa e riottosa. In lui il recupero della natura, cristallizzata nell’immobilismo della bellezza arcana, gli fomenta ribellione e nel contempo rifugio in un universo chimerico, che si può solo inseguire e vagheggiare. Lì, anche se si intercettano allusioni al terreno, quali le baracche di proprietà del Comune messe a disposizione dei poveri, dove si potrà dormire gratuitamente, l’affitta-camere, la rivendita del pane, il mestiere di spazzino, il senso di solidarietà non è profanato; nessuno sa cosa è il terrorismo e la droga; gli uomini non si tiranneggiano, donne e bambini non vengono abusati e poi eliminati.

In questa plaga, lontana dal pervertimento degli umani, Angelone stanzia con i suoi pensieri; scopre di star bene con sé stesso e con gli altri; crea, con il vichiano animo perturbato e commosso, l’habitat delle sue creature semplici, primitive come i mitici abitanti dell’età dell’oro: si cibavano di ghiande ed erano felici, immuni da lotte intestine e da odio fratricida.

Età dell’oro, Eden, Paradiso perduto: felicità svanita nelle nebbie della dissolvenza da quando gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Giovanni, III, 19). Da allora le tenebre del male hanno addirittura svelto le radici del bene e hanno statuito il trionfo incondizionato del male.

Credo sia questa la morale che si possa desumere da Il sogno di Biancospino, una favola che si lascia leggere da adulti e da fanciulli per la prosa calcolata, ligia alle regole della favola che pongono tutti i personaggi su di un arazzo, senza privilegiarne nessuno, perché tutti hanno una funzione ben determinata in quella meraviglia, che tiene incatenato il lettore all’imprevedibilità degli episodi e delle vicende.

Recensione
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