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In memoriam di Antonio Crecchia:
una poesia dell'animo
da “Non dimenticare”, Ed. a.c 2019, pp. 80.
Antonio Crecchia scrive:
Corre il tempo
e una tempesta di giorni
scuote e taglia
fragili fili di vita.
I fragili fili di vita siamo noi, esseri transeunti,
incainiti dall’odio granitico del fratello che uccide il fratello: manipolati
da occulte forze sataniche, mimetizziamo in cannibaleschi operatori del male.
Un male oscuro, insidioso, violento, aguzzo e tagliente
come schegge di ossidiana vetrosa: scava crateri nei corpi / senza
vita / abbandonati per le strade[1]
lì… a Sarajevo, dove i nuovi crociati
[2]
… troveranno soltanto croci,[3]
testimonianza di un malvolere radicalizzato: genera, per dirla col Goya,
mostri dal sonno della ragione.
Sarajevo, titolo di una delle poesie della silloge
In Memoriam di Antonio Crecchia, rievoca la prostrazione e l’avvilimento
del poeta per la barbarie di un assedio tristemente noto per i crimini efferati:
persecuzione e uccisione dei renitenti alla pulizia etnica, genocidi, stupri su
donne e bambine.
Dinanzi agli orrori di un massacro immane e illogico, il
Crecchia non sa rimanere insensibile al grido disperato di una popolazione
decimata e, invece di appendere, costernato, la sua cetra alle fronde dei
salici, scioglie, su quelle stesse corde, mai tacite e ossidate, il suo
canto di dolore sulle aberrazioni di una generazione affetta da follia
collettiva e da immarcescibile sitire sanguinem.
Sangue innocente quello di un’umanità stroncata agli
albori della vita o negli ultimi spicchi di un crepuscolo apparentemente
sereno. Colpevole di cosa?di appartenere a una diversa etnia? di professare un
credo diverso da quello proclamato da Maometto? di essere cittadina di una
nazione accentatrice contro cui un commando di guerriglieri
ceceni scatena un’azione terroristica, che culmina nell’attacco alla scuola di
Beslan?[4]
Una miriade di morti tra docenti, genitori, bambini. Un’apocalisse! lì,
nell’Ossezia del Nord, assordata da echi / di recenti scoppi,
di agguati, di ricatti, / di sangue copiosamente sparso[5]…
di fiamme che avvolgono corpi agonizzanti.[6]
Una carneficina di trecento trentaquattro morti, precisa il Crecchia nella nota
esplicativa, di cui centottantasei bambini. Un assalto letale sferragliato da
fondamentalisti islamici suggestionati dalla belluinità delle bestie, cui si
compiacciono di uguagliarsi. Compiacimento abominevole, da cui l’uomo, che ha il
cielo stellato sopra di sé e la legge morale dentro di sé, si
dissocia. E con lui il nostro Antonio: in un abbraccio ideale con gli
innocenti sacrificati dalla preponderanza del più forte, sente, col cuore
affranto,che il vento consolatorio gli porta odori / vecchi e nuovi
di petali di crisantemi,
[7]/…gli
porta echi di flebili voci / che piangono della vita il
perduto fiore.[8]
Ancora una volta, con la sua presenza metafisica, il poeta è con quelle
giovani vite spezzate. Sono tra voi assicura figli del cielo e della
luce ,/ tra le vostre bianche tombe, tra croci /
scolpite di fresco,di mille nomi / e una data sola.[9]
Da sempre la historia magistra vitae ci insegna che
le atrocità della dominanza cieca sono pagate da chi lotta per la realizzazione
di un’ideologia mirata al benessere sociale. Al posto d’onore la libertà e
la democrazia, attuabili con riforme politiche ed economiche, protese al
miglioramento delle classi non privilegiate. Tale la richiesta inoltrata ad
un decrepito regime comunista cinese da studenti, intellettuali, operai, riuniti a Pechino, in
Piazza Tien An Men, un lontano 15 aprile 1989. È una protesta pacifica. I
dimostranti non hanno altre armi che quelle della parola. D’improvviso carica della polizia e irruzione di mezzi corazzati.
Un’ecatombe! migliaia le vittime e numero si i feriti. Però, da quel silenzio
di morte, canta il poeta, fioriranno con la primavera / le vostre idee
di libertà / di tolleranza / di democrazia.[10]
Il Crecchia, col suo afflato umanitario, che è comunione a
distanza di aspettative, in pectore condivise, è tutt’uno coi
dimostranti. Il suo grido di aderenza partecipativa alla causa dei caduti, si
eleva franco, libero da coercizioni, per prorompere in : Ed io ero con voi[11]…
a ricordare ai secoli – ad ogni cadere di primavera / l’orrore
di un olocausto / consumato… su un altare eretto / con
selici e graniti di menzogne[12]
per il tripudio di vecchi corvi / in veste di falsi idoli / non
nuovi a orge di becchini,[13]
metafora incisiva e bella immagine di poesia visiva quella dei becchini in
orgia.
Superfluo il cui prodest! Indubbiamente, ai potenti
della terra di tutte le età della storia. Despoti ottusi, al pari dell’umanità
degenere, vollero, a rivisitare Giovanni,piuttosto le tenebre che la luce.[14] Tenebre – ce lo conferma un istantaneo a ritroso
– che offuscano e tiranneggiano il mondo da quando Caino alzò la mano su
Abele; tenebre che si infittiscono in un crescendo con clou nel
trascorso secolo breve. Un colpo di obiettivo sul Novecento e, dalla
cineteca del passato, sfilano, vanagloriosi e vanesi, i totalitarismi
dell’Italia e della Germania,il Franchismo in Spagna, le devastazioni della I e
II guerra mondiale, la soluzione finale dei lager, l’invasione dei carri
armati russi in Ungheria, le dittature militari in Argentina, il Golpe nel Cile,
la pulizia etnica nell’ex Jugoslavia.
Alla luce di tali irrazionali nazionalismi è da chiederci:
A nulla è valsa l’opera di tanti apostoli della non violenza? a
nulla la missione di Agnese Gonxhe Bojaxhiu, al secolo Madre Teresa di
Calcutta,[15]
la suorina piccola, magra, che si definiva una matita nelle mani di Dio?
Il viso solcato da rughe impietose del sole dell’India, Madre Teresa è lì
tra i suoi poveri, la mano scarna, vuota di bombe e di mitraglia, colma di
pugni di riso per il suo piccolo esercito di affamati,dentro e fuori la sua
missione. Il poeta la ritrae nell’espletamento del suo magistero a dare aiuto
a chi vive / senza un tetto, un sorriso, un pane,
/ un gesto che ti dica: Ti sono accanto,/ fratello,
amico, a lenire le pene / che ti fanno gradito, accetto e
santo / a Colui che mi manda disarmato / in questo mondo di giustizia
affamato.[16]
Cauto ottimismo e sprazzi di speranze in riposti angoli di
mondo, affamati di giustizia sana, incor ruttibile, illuminano i versi finali
del sonetto A Madre Teresa di Calcutta. Un ottimismo che ci si auspica
sia foriero di una giustizia della cui imparzialità, oggi,si diffida. I messaggi
di etica, legalità, deontologia sono inascoltati, derisi e profanati da soggetti
cinici e malvagi. Persino quello di Karol Wojtyla,[17]
il
Padre universale che ha insegnato / ai suoi figli a guardare lontano / nel
futuro,[18] è disperso nel dimenticatoio, tra l’indifferenza di
individui al mal più ch’a ben usi.[19]
Eppure di quel messaggio di mondializzazione, che sensibilizzava alla
pacificazione planetaria avremmo urgente bisogno, per non dimenticare la
parola, il sostegno di chi per creare una società e un mondo nuovo /
illuminati dalla Verità e dalla Giustizia,[20]
si espose a persecuzioni e ad attentato.
Nata dall’esigenza, tutta personale, di raccogliere e
sistemare in un volume organicamente strutturato, rime sparse, recuperate dal
fondo di un cassetto, In Memoriam esula dai consueti cliches
della poesia commemorativa per attestarsi a silloge di profondo sentire,
inclusivo sia della sfera sociocivile politica sia di quella emotiva, come
denotano le liriche in memoria degli amici e quelle ispirate dagli affetti
familiari.
Della madre che lascia i suoi cari dopo l’ultima
vibrante preghiera[21],
il Crecchia tramanda la rettitudine, la fierezza d’onesta prole,
generosa / a ricambiare sempre l’… affetto,[22]
sollecita nel dare consigli, scaturiti da empirica scienza di vita e dalla legge
morale, che permette di camminare a testa alta, sulla via /
della dignità, probità, lealtà e onore!,[23]
in una combinazione di sostantivi troppo astratti, al presente, cancellati
dalla memoria collettiva. Purtroppo!
Parimenti, intrisa di cupo e virile dolore la lirica in
ricordo della sorella Anna.
Dall’incipit, la situazione psicologica e
paesaggistica è di correlativo oggettivo tra la natura con le foglie che lacrimano ore di tristezza[24]…
il silenzio della valle che ha la pesantezza del marmo / e l’odore diffuso dei crisantemi /
gialle note di morte / nel cupo riverbero dei cimiteri[25]e
lo stato d’animo afflitto del poeta, nella sua disperazione,
immobile, fermo come il fiume che dorme nel suo letto di pietre
secche,[26]
ma con l’anima sveglia come la lampada assorta / nel buio estremo /
della… notte senza stelle.[27]
Così, con la poesia si ravviva e rinverdisce la memoria
degli amici che hanno lasciato la scena del mondo da Pasquale Martiniello a
Vincenzo Rossi, da Silvano Demarchi a Lycia Santos do Castiglia, agli amici
comuni Massimo Grillandi , nel lesto cammino verso il triste Ade, /
dappresso seguito dal pianto delle donne / che in vita amasti nella notte
insonne[28]
e Ciro Rossi, uomo leale, umile e integerrimo, onorava scrissi nella
prefazione alla sua silloge Forme di appartenenza –un codice
di trasparenza e di onestà inverso alla mentalità corrente, che è di
scollamento dei costumi, imbarbarimento dell’individuo.
Giudizio condiviso anche dal Crecchia, che nella lirica A Ciro Rossi mette in luce l’aureola bella del poeta /
lumeggiante le tempie d’ un vissuto / nel paniere della bontà e dell’amore.[29]
A lettura ultimata, In memoriam si configura
appassionata poesia dei vivi, perché la voce del Crecchia, la sua contrizione
per fatti e accadimenti che sconvolgono i destini del mondo e dell’uomo,
evoca e rinvergina la memoria di personaggi di fama noti[30]
e non che il qualunquismo e il cinismo esasperato disperderebbero nel mare
dell’indifferenza.
Note
[1] A. Crecchia, In Memoriam, Ed. a.c, 2019,
Sarajevo, p.19, v.. 13.
[4]Alle vittime nell’attacco terroristico alla
scuola di Beslan , p. 42.
[10] La primavera di piazza Tien An Men, p. 11,
vv. 14.
[15] A Madre Teresa di Calcutta, p. 21.
[17] A Karol Wojtyla, p. 45.
[19]D. Alighieri, Paradiso, a cura di G.
Giacalone, A. Signorelli, Roma 1988, canto III, p. 148, v. 106.
[20] A Karol Wojtyla, cit.,vv. 23.
[22] A mia madre, p. 33, vv.1314.
[24] A mia sorella Anna, p. 34, v. 1.
[28] A Massimo Grillandi, p. 6. vv. 13.
[29] A Ciro Rossi, p. 67, vv .1820.
[30] D. Alighieri, Paradiso, cit., canto XVII,
p. 427, v. 138.
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