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La bionda Reginella
Etica del buon costume e rinverginazione del passato
Non a caso La bionda
Reginella, racconto breve di Antonio Angelone, si apre con C’era una
volta in un angolo del mondo, di intonazione nostalgica e
favolistica; una nostalgia arcana, una ricerca affabulante del tempo andato, che
dipana da tutta l’architettura della vicenda, per bocche e palati raffinati, in
quanto ad opulenza di prosa e a trasposizione di fatti e situazioni nella
dimensione del surreale.
Narratore interno della storia
un uomo calato appieno nella fenomenologia di un vissuto, l’attuale, sgranato
nel suo ordito di sanità e onestà rinnegate; un uomo che, attraverso la funzione
catartica e liberatoria della scrittura, raffigura, antagonizzandolo al degrado
morale, un sovrammondo in cui i dis-valori non vengono barattati per valori e i
codici di serietà e rettitudine non sono relegati, ad usare un eufemismo
mistificatorio, in zone umbratili. Indubbiamente, anche nella plaga rivisitata
dall’autore sopravvive qualche esemplare solitario di homo homini lupus,
ma tante altre norme del vivere civile permangono inalterate, fatte salve da
un’etica inossidabile, non profanata da incuria e precarietà, elevate a sistema
di convivenza.
Quest’etica del buon costume e
del passato rinverginato, in cui l’Angelone si ci tuffa, empatizza con la natura
incontaminata: verde e solare la campagna ferace; cristallina l’acqua sorgiva,
ser-pentiforme coreografia che a valle gorgoglia in polle; improvvisati lavatoi
per lo sciabordare delle donne, al rezzo di faggi, abeti, pini, castagni.
Dai prati smeraldi al cuore del borgo, pulito per il civismo innato dei
paesani, fragranze di mille fiori, in bella vista tra le ringhiere in ferro
battuto dei balconi, profumano l’aria.
Fascinose cromie visive.
L’equivoco di un mitico reame delle fate, con principi azzurri e streghe
suadenti che insidiano gli ingenui con la degustazione di mele avvelenate,
sarebbe una mistifi-cazione fuorviante. Quello che filtra dall’orchestrazione
del narrato è bisogno di neoprimitivismo, anche in età di networks, con
credenziali di possente antemurale al malaffare e alla corruzione ai vertici,
censurata con un blaterare sterile, ma che operativamente e fattivamente nessuno
si motiva a combattere con l’arma della moralizzazione a trecentosessanta gradi.
È l’imprinting che lo scrittore intende dare al racconto nel tentativo
di evocare un mondo che non è più, a parte la vicenda di Reginella e di Isidoro,
destinata alla sopravvivenza, perché da sempre il bene è in rotta con il male e
non se ne prevede la vittoria.
I due innamorati sono capri
espiatori del terrorismo psicologico di Diomede, patrigno della gio-vane. Stanca
di essere osteggiata nella scelta del compagno, in epoca non sospetta di
femminismo, Reginella mette a punto la sua ribellione con una fuga a sorpresa, a
riscatto di una emancipazione che non soccombe alla subalternità e alla violenza
intimidatoria.
Anche nel sovrammondo
dell’Angelone, ad avvalorare la linea di raccordo col transeunte, i sogni si
infrangono, i cuori piangono, le strade si biforcano e non si congiungono, se
non per un incontro arbitrato dal caso.
L’uno di fronte all’altro, gli
innamorati di ieri leggono reciprocamente nei loro volti la fugacità della
bellezza con la devastazione impietosa degli anni. Vorrebbero raccontare e
raccontarsi, ma l’emozione smorza il pullulare della parola. Con i ricordi
irrevocati che si presentificano, rimane un senso di grande rammarico, di
profonda malinconia per quello che sarebbe potuto essere e non è stata lo loro
vita insieme.
Nella meta-favola,
che l’autore ha come sceneggiato, il lieto fine è bandito. Il principe azzurro
non sottrae la fanciulla alle mene del patrigno; le fate non trasformano le
zucche in carrozze; le scarpine non sono di cristallo e non si perdono durante
la fuga, perché l’armonia, la perfezione, la solidarietà, l’afflato umanitario,
l’amore trionfante, in forza del virgiliano omnia vincit amor, sono
vagheg-giamenti mortificati e usurati da masnade di impostori, immersi nella
sentina dell’malaffare e del delinquere,senza infingere, planetario.
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Recensione |
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