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La valle dei ricordi nello scrigno del tempo

Sono solo quarantacinque i componimenti de La valle dei ricordi nello scrigno del tempo di Antonio Angelone, ma si configurano, per requisiti e attribuzioni intimistico-letterarie, mero Canzoniere d’Amore. Un Amore sbocciato nell’età verde, là presso la porticina benedetta e infranto sugli albori da un demone maligno, eteronimo di forze meccanicistiche che dissolvono il sogno, non la profondità del sentimento, preservato e tenuto inalterabilmente vivo nelle latebre silenziose dell’Io. Un Io, quello del poeta, non contaminato dallo scollamento dei costumi né dalle devianze generazionali, fautrici, abiurata la sanità interiore, della materia per la materia,del sesso per il sesso con le sovrastrutture erotiche delle cinquanta sfumature di grigio, di recente successo editoriale e cinematografico.

Nella silloge in esame l’Amore, con la deferenza della A maiuscola, è puro, casto; indora il viale del tramonto di un sole tenero, luminoso, costantemente caldo, senza lame incandescenti; un sole che si tinge di verde benaugurante quando di sera si distende sul letto acquoso di Nereo. Un Amore vergintà spirituale di un molisano del buon tempo andato, come Angelone, incapace di derogare dai principi morali. Ne sono prova la deontologia professionale, la dedizione all’insegnamento e ai piccoli allievi, mai dimenticati, la sensibilità dell’uomo e del pittore naif, schietto, genuino come il neoprimitivismo della terra molisana, melodie di grilli, stridire di cicale, gracidìo di rane.

Il primo Amore, quello che per consolidato e unanime consenso non si scorda mai, ha per meraviglioso scenario una natura non profanata da tossicità: le acque del Rio gorgogliano limpide e / fresche, le foglie cantano dolci melodie. È l’Eden in miniatura del giovanissimo Angelone, che ha in sé e intorno a sé il trascendente, pago com’è della poesia semplice e onesta dell’essere contemporaneamente pastorello, studente autodidatta e innamorato col cuore in deflagrazione, quando furtivamente può intrecciare dolci colloqui / aurorali con la bionda Reginella / nei freschi mattini di maggio. Reginella occhi di lince / bocca perlata / volto celeste è la felicità di momenti, scanditi sul metronomo di lavoro e di studi da ultimare per accedere a ruoli di tutto decoro sulla scala sociale.

Non altro il progettato futuro di Angelone; non altro il suo domani di Amore e lavoro; Amore e lavoro con un insospettabile don Rodrigo in agguato, genio del male che si complicizza con un’eterogenesi di circostanze negative e oppositive: gli infliggono un dolore insanabile, nel tempo archiviato, non obliato nelle stanze della memoria. Difatti, di Reginella regina di gigli fioriti un maledetto giorno si perdono le tracce. Vane e infruttuose le ricerche: la giovanetta sembra essere stata inghiottita dalla nuda terra. Indicibile la disperazione dell’innamorato: inconsolabile, si lascia vivere e lascia che gli anni corrano in solitudine. Monotonie di giorni sempre uguali, fino a quando le leggi della natura e le spire del contingente non sensibilizzano la sfera degli affetti a nuove emozioni: non adombrano le ricordanze, perché nei labirinti dell’Io l’amante continua a frequentare con assiduità e devozione il tempio consacrato all’amata.

In quel tempio intimo e segreto il poeta si rifugia come fedele d’amore, schiude la porta al passato e vive di a ritroso, confortato dalla presenza metafisica della fanciulla dal volto celestiale. Perché se è vero che un crudele panta rei l’ha come dissolta nel nulla è altrettanto vero che autoinganno e fallace immaginare danno corpo al fantasma della fanciulla, lì, accanto a lui a lenirne lamenti e sofferenze. Sono fole e chimere che, tuttavia, dopo quarant’anni di illusori arzigogoli mentali, si concretizzano e, interagendo con un’eterogenesi, finalmente, dal volto umano, imprimono una svolta esistenziale piacevolmente inedita alla senilità del poeta, ormai canuto, ma nella psiche ancora innamorato come giovane al primo appuntamento. Davanti ai cancelli / del Luogo, in cui la vita non è più vita, dove portati / indietro più non si torna una vera e propria epifania: la fanciulla di ieri; la fanciulla che è stata croce e delizia della vita, è lì, rediviva.

Che importa se per il corso del tempo dalla sua bocca non zampillano / perle dorate / ma scaglie di piombo; importa che sia tornata e che insieme possano narrare e narrarsi tessendo un futuro di intese e complicità, percorrendo un declivio trepido di speranze e di Amore. Amore Amo-re/ Amore / nientaltro che Amore; / laltro è nullità, / polvere dissipata / dal vento nellabisso / della dimenticanza è il grido-messaggio di Angelone, un messaggio che, per approcciarsi al lettore più renitente, utilizza una scrittura versale, che non esiterei a definire naif; naif come il pittore e l’uomo Angelone.

Recensione
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