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Ricordi e visione di umana finitezza

La chiave esemplificativa de L’ombra dei gigli infranti, recente silloge di Antonio Coppola, è nella lirica La morte spinge e nel verso penso alle ombre e ai gigli infranti, dove, chiarifica l’autore, le ombre sono quelle che calano sulla sera della vita e i gigli simboleggiano l’immacolatezza dei poeti: non si ibridano con le beghe del quotidiano né si lasciano scalfire da disvalori destabilizzanti.

È il caso di Antonio Coppola. Chi ha frequentazione culturale con lui sa bene che l’osmosi simbiotica giglio-poeta, se coesiste col permanente status di nitore e candore dell’io-poeta, coesiste ancor più con l’abito mentale ed etico dell’uomo e del poeta Antonio Coppola, alieno da compromessi e da camaleontismi opportunistici. L’ombra dei gigli infranti ne è esplicita conferma. In essa la sensibilitè dell’io narrante si addensa come ombra cupa sulla vita al crepuscolo, intristita dalla consapevolezza dell’umana finitezza e dallo spettro dell’abisso, metafora di conclusione di un percorso. Sgrana, al presentire del fatale andare, la stagione dolce-amara dei consuntivi, dei ripensamenti, materializzati da retrospettive che presentificano nugoli di passato, avulsi da rigorosi criteri cronologici. Schegge di ieri irrevocati contemporaneizzano, affollano il magazzino della memoria, inverano e rivisitano suggestioni inumate nella notte profonda dell’oblio: reclamano con prepotenza di essere, l’evergreen, la parte intramontabile del poeta. Sono granuli di giorni che per Antonio Coppola sbobinano films non ingialliti nell’archivio dei ricordi: su un immaginario schermo gigante lo proiettano adolescente, lì, nella città dei due mari, affascinato dal mito di Ulisse che domò/ le correnti nel consumato ingorgo. Ulisse, Polifemo, Nausicaa, Saffo si configurano eteronimi di mare, costante della silloge e del patrimonio genetico di Antonio Coppola. Come spiegarlo? Con la convinzione che nelle vene di chi nasce in una qualsiasi località di mare, sangue e mare pulsano all’unisono con una malìa che strega ed avvinghia, soprattutto nell’età matura quando, antifrasticamente al canto del Leopardi ventiduenne, breve è il corso della speranza e lungo quello della memoria. È la valenza dell’ a ritroso: vivifica emozioni latenti nella psiche e d’improvviso vivide e tangibili. Così riappare, nelle fattezze e nelle sembianze di un dì, la Ragazza rossa; così si reincarnano Amore di tempi lontani, Natale a Roma, Ricordo di guerra di un figlio, La ronda di notte, flashes di un tempo andato, con creature che sostano come icone o pietre miliari lungo l’itinerario di vita e di poesia di Antonio Coppola, voce vibrante del Secondo Novecento. Di quell’ultimo squarcio di secolo Antonio Coppola è esponente di rilievo: di esso ha saputo cogliere svolte ed approdi significativi, fermenti ed istanze innovative che ha coniugato con la propria sensibilità di poeta dalla scrittura versale forte ed incisiva, essenziale e diretta, viva e concreta, esente da infingimenti e da sdilinquimenti crepucolari o decadenti.

È la lezione che si mutua da L’ombra dei gigli infranti, una mini-antologia profumo di ricordi adombrati dal malessere del vivere: si epiloga con la morte zingara che spinge inesorabile verso l’incalzare dell’ora. Poesia ricordi e dramma esistenziale, filigranata da loquaci immagini visive (breccolando, spola di libeccio, arcobaleno di cristallo, pizze debordanti, frigge l’Etna, gioco furbato, girandava): smorzano la tensione patica e convergono l’attenzione del lettore sulla composizione del verso, mero pensiero che si fa lingua e lingua che si fa poesia sulla base di un sostrato poetico che, non è dissacratorio definire,come Antonio Prete definisce I fiori del male, compendio ed emblema della poesia moderna.

Gradevole la veste tipografica delle Edizioni Orient Express di Castelfrentano.

Recensione
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