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Prefazione a
Sette storie al femminile
di Giorgina Busca Gernetti

la Scheda del libro

Anna Gertrude Pessina

Donne sentitamente cesellate, colte e sbozzare nel vivo di un temporaneo, irrevocabile interludio di essere e non essere, le protagoniste di Sette storie al femminile di Giorgina Busca Gernetti, nota al cenacolo degli intellettuali per la valenza lirica delle sue sillogi di acclarato consenso di critica e di pubblico.

E poiché la cultura, in nome e a sostegno della propria unità ed integrità, rifugge scansioni setto-riali o compartimenti stagni, il prezioso approccio della poetessa alla narrativa è filiazione della congiunzione ornato lessicale-suggestioni emotive, che filigranano il suo messaggio in versi.

Non a caso, nell’economia della trattazione dei brani in discorso, sequenze descrittive di tonalità icastica – il tempio sembrava ancora più bianco nella luminosità accecante del meriggio di luglio – sollecitano uno spontaneo ed imprevedibile viaggio irreale dell’io, naufrago in un passato che si fa vivente nel miraggio della sacerdotessa, «coperta di una leggera tunica color porpora, mossa da morbide pieghe ed armoniosi drappeggi.»

Ė lo scenario immaginifico di Miraggio a Segesta: affascina Elena e la immerge, cullata da suoni e rapimento onirico, in un universo, indubbiamente di accreditata bellezza, ma anche e soprattutto di straniamento dal proprio io, dalla propria essenza vitale. Sul deragliamento dei sensi e della psiche, di peso i ruderi, che sulle note di sistri, cembali, crotali rinverginano il mito, e la sacerdotessa con la quale, a livello inconscio, la protagonista entra in sintonica empatia.

Tutta l’architettura strutturale, messa a punto dalla Busca Gernetti profuma sogno; un sogno che «tre spighe dorate e… e tre grossi papaveri », presenti nella visione di Elena e rinvenuti accanto al suo cappello, testimoniano che il vagheggiamento, meno chimerico di quanto si possa almanac-care, è transfert involontario in un iperuranio di mera armonia, sulla traiettoria di una momentanea, fugace alterità.

Racconti, è dato rilevarlo già dall’incipit, che coniugano il femminile nel paradosso dell’imprevedibile, bilanciato da un ampio delta sul garbuglio intimistico e il recupero memoriale.

Di scena creature di sana e austera dignità,d’improvviso travolte da una ipersensibilità inquietante. Ė essa che attizza in Livia il tilt della mente, lo shock della psiche, determinando uno stato confusionale che si traduce in panico, in senso di non appartenenza, di immaginaria smateria-lizzazione in ombra vagante« tra i viventi, cercando qualcuno o qualcosa che appartenevano a un mondo da cui era ormai esclusa.» Opprimente situazione di disagio: ossessiona Livia con l’an-goscia del non io e con l’acquisita convinzione di essere scollegata dal transeunte, lì, a Taormina, alla ricerca di quella Via Pirandello, che pur conosce molto bene.

Con un crescendo moderato lo straniamento della donna tramuta in tragedia tanto più struggente quanto più struggente è l’idea dell’eclissi del suo essere, alla deriva, senza nome e senza identità, sulla barca di un oblio senza principio e senza fine.

Pagina di misurata suspense, Via Pirandello tiene il lettore col fiato sospeso come sospesa è Livia sull’altalena dell’alterità, fino all’agnizione finale e al ritrovamento di sé stessa e della propria psi-che.

Racconti di accattivante monodia: una la voce monologante, vuoi vibrino le corde di assenza della memoria, vuoi si affidino alla pagina bianca della missiva pensieri d’amore che, per pudore, non saranno mai confessati all’amato. Vuoi si partecipi al dramma della madre musulmana, ignara della sorte della figlia adescata dal racket della prostituzione, vuoi si cerchi di avviare alla socializzazio-ne la bambina autistica che« vive chiusa nel suo mondo come se gli altri non esistessero.»

In breve, il pianeta donna, con l’intrico delle problematiche esistenziali e contingenziali, transita in questi brani fruibili dal pubblico della mid come della masscult, per il traino emotivo e per la sen-sazione di inadeguatezza esternata a filo di penna, senza eccessi e senza smagliature.

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