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Prefazione a
Forme d'appartenza
di Ciro Rossi

Anna Gertrude Pessina

In Forme d’apparenza, come già in Le mani in grembo, Ciro Rossi trasfonde il candore di chi sente il cielo stellato sopra di sé e la legge morale dentro di sé. Non è un infingere, ma l’artista, di cui si intende tratteggiare creatività ed etica, onora un codice di trasparenza e di onestà inverso alla mentalità corrente, che è di scollamento del costume, imbarbarimento dell’individuo alla spregiudi-cata ricerca di una formula di edonismo sfrenato, carpito e goduto con la pratica belluina dell’homo homini lupus.

Ciro Rossi non è niente di questo e niente di questo è la sua scrittura in versi, vagheggiamento di sogni, rivisitazione di passato, auscultazione di sentimenti: hanno il loro nucleo vitale nel minima-lismo del giardino con le sue fragranze e le sue cromie, nelle foglie accartocciate d’autunno, nei colombi che più non tubano nel mezzo dell’inverno. Un descrittivismo che utilizza una tavolozza dalle tonalità chiaroscurali morbide e plastiche; una natura che non funge da scenario idillico a sé stante, perché è lo sfondo su cui si muovono creature amicali e familiari, il più delle volte, scomparse come tutto scompare, inghiottito e fagocitato dallo scorrere inesauribile del panta rei.

Un raggio osservazionale variegato, quello di Ciro Rossi: spazia dai cari sepolti nel silente luogo a cose e a persone del presente: la moglie che passa la cera, il tappeto nuovo con i girasole, e una mi-riade di oggetti tangibili, cui l’ilozoismo del poeta si lega quasi la materia pulsi di intima energia spirituale, di segreta corrispondenza d’affetto. Sono schegge di quotidiano che suggestionano per l’effetto naif della genuinità, per il nitore delle immagini, ora intense e solari, ora grigie e sfumate: illuminano od ombreggiano l’arcobaleno delle giornate, incensieri, quando l’età più non verdeggia, di torme di pensieri tristi. Pensieri che pullulano dentro fievoli e fiochi: d’improvviso emergono dal sommerso e disorientano l’io, lo stimolano a sfogliare pagine antiche e a naufragare nel mare tem-pestoso/ di chi è presente assente. Presente assente come chi, nell’inerzia del socio-civile, è troppo acquiescente, passivizzato dalla rassegnazione, vittimizzato dalla precarietà del contingente, dagli egoismi dilagati, dalla profanazione dei valori, dalla follia collettiva che elegge a signore e a padrone il male, radicata negazione del bene. Quale l’antidoto per non svolare con ali di pietra? La forza della denuncia senza discriminazione e senza esclusione dei politici mangioni,… succhiatori di sangue/ con tasche a mantice: …usurai e criminali immuni/ legalmente autorizzati. È la frusta della parola,/ che fa più male di ogni bastonata che diversifica il poeta dall’uomo comune; è il gri-do dell’artista che tuona Sputtaniamo gli intrallazzatori e che fotografa una realtà inconfutabile: il morire delle istituzioni e del cittadino, burattinato da chi amministra la cosa pubblica parafrasando giri di parole, trombonismi cacofonici che disturbano orecchi, mente, animo.

Monitorata nella gradualità della sua crescita ascensionale, la poesia in discorso ha requisiti di comunicazione diretta ed immediata, istintiva e viscerale, sia quando è allocuzione contro le clien-tele e le mistificazioni dei potenti, sia quando muove dalla sfera del privato. Indubbiamente in For-me d’apparenza le tematiche scottanti vengono sfumate ed opacate dalla semplicità del messaggio a presa diretta. Il che è un pregio, perché, secondo Brecht, ad essere semplice si diventa gigante. È quanto auguriamo a Ciro Rossi, che della semplicità e della poesia antiaccademica, senza orpelli e senza artifici, ha fatto la sua bandiera, la sua encomiabile nota distintiva.
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