Fermenti
n. 239
Periodico a carattere culturale, informativo, d’attualità e costume
La rivista “Fermenti” n.239 è densissima e articolata e, nel suo
insieme, si configura, nel panorama contemporaneo, tra le più approfondite.
Da questo numero è disponibile anche in versione digitale. Per maggiori
informazioni si consulti il sito
www.fermenti-editrice.it.
Il periodico, diretto e fondato nel 1971 da Velio Carratoni, narratore,
critico, giornalista ed editore, esce da qualche tempo con numeri speciali
ponderosi.
È proprio la lunga durata nel tempo che ne
caratterizza lo stile, nonché la corposità, essendo costituita da oltre
cinquecento pagine.
È da sottolineare, infatti, che molti periodici hanno termine dopo
breve periodo di tempo per non avere granché da dire o per altre cause
contingenti.
Altro denominatore per tutto l’arco della sua esistenza è quello della
selettività nella scelta dei materiali.
Infatti molti poeti, critici e narratori
significativi hanno fatto parte del suo contorno, come molti promettenti autori
giovani.
“Fermenti” non è solo una rivista di poesia e critica
letteraria, includendo contenuti che riguardano altre sezioni: Attualità,
Critica letteraria, Saggistica, Bloc Notes, Parlare franco, Storia, Narrativa,
Traduzioni, Riproposte, Poesia, Arte, Cinema, Teatro, Recensioni.
In copertina c'è il collage di pitture Contenute lontananze
(2012) di Bruno Conte, artista figurativo e scrittore, raffigurante rettangoli
bianchi che tendono verso l’alto, campiti su uno sfondo azzurro, che contiene
macchie grigiastre.
Nella sezione Arte, è inserito il saggio
Parallelo, a cura dello stesso Conte, corredato da immagini a
colori, in cui predominano pregnanti considerazioni.
Nel mondo culturale italiano, nel quale
predominano mass-media, televisione e internet, nonché quotidiani e rotocalchi,
che senso può avere questa rivista, nel nostro postmoderno, che risente
dell’egemonia dei falsi surrogati del consumismo?
“Fermenti” si configura, come una palestra
critica ai tempi della dittatura mediatica, per emergere dalla quale
occorre affidarsi alla poesia, alla critica, alla narrativa, alla pittura, al
teatro, al cinema e alla fotografia, oltre che al costume.
A questo proposito va ribadito che è
imprescindibile prendere in considerazione il nesso tra arte e vita, secondo il
quale la prima risente della seconda, come Focault ha evidenziato.
Attuale in controtendenza all’appiattimento
della società, la rivista emerge come un serbatoio di linfe per stimolare
l’immaginario, attraverso grazia e cultura nelle multiple espressioni.
Nell’impossibilità di un’analisi di tutte le
parti trattate, ci soffermiamo su alcuni pezzi significativi.
Come le analisi sulla situazione odierna della
critica letteraria a firma, tra gli altri, di Giuseppe Panella, Luana Salvarani,
Diego Varini e Francesca Medaglia, Flavio Ermini, Eleonora Bellini, Giovanni
Terzanelli, Graziana Coco, Antonio Sgambati, Alida Airaghi, Emanuela Fantini.
Ricche le rubriche di Cinema, Teatro (Mario
Lunetta, Marco Palladini), comprese le recensioni su poesia, narrativa, arte.
Stimolanti gli scritti di Gualberto Alvino nella
sezione “Bloc Notes”, che hanno per oggetto autori dell'altra letteratura.
Tra i nomi considerati: Gianfranco Contini,
Cesare Segre, Aldo Nove, Tina Matarrese, Francesco Recami, Stefania Stefanelli,
Caterina Venturini, Vanni Scheiwiller, Gilda Policastro, Luigi Matt e molti
altri.
Alvino esegue le analisi senza ipocrite
contenutezze. Per lui prioritari sono il testo, il titolo, la storia della
scrittura. Il resto è macchinazione e forzatura, spesso alterata o edulcorata.
Nel contesto effettua le sua disamine stando fuori dal coro, in modo personale e
anticonformista, non acritico. Gli sdegni di Alvino portano in definitiva alla
migliore scrittura in cui emergono tanti filoni non trattati dalla solita
critica di maniera, sostenuta da cricche e conventicole.
Molto vasta la panoramica sulle testimonianze
video e audio presenti sul sito della casa editrice (www.fermenti-editrice.it),
relative a presentazioni e interventi su scrittori e poeti del Novecento.
Consistenti i brani di poesia e narrativa.
In Attualità incontriamo il saggio di
Giovanni Baldaccini, Il silenzio della civiltà che ha una valenza
psicoanalitica. Scrive l’autore che il mondo che abitiamo ha assunto spesso
l’aspetto di un deserto.
Basta pensare alla terra “palla di neve” effetto
di antiche glaciazioni che la geologia ci ha insegnato a conoscere, o al pianeta
di sabbia che il niente senza posa crea in riferimento alle variazioni
climatiche, o alle carenze di materie prime o di sbocchi creativi.
Il vuoto al quale si riferisce lo psicoterapeuta
è una “terra silenzio” spogliata di ogni significante costruttivo.
La civiltà silente in cui abitiamo e che abbiamo
costruito prima di ammutolire era espressione di duplicità, lacerata dal
conflitto tra natura e cultura, provocato dallo sviluppo della coscienza egoica.
La nostra civiltà viveva nel disagio creativo di quella che si presentava come
unica condizione esistenziale, scomoda ma possibile.
Sempre mal sopportata dal soggetto che ricerca
il godimento, questa cultura, figlia della sublimazione, è oggi soppiantata da
una diversa forma di civiltà intollerante alle difficoltà dell’esistere, al
punto da precipitare nella “comodità piacevole” del nulla.
Apparentemente viva, colma di benessere e
piacere, dispensatrice di sapere e tecnologia, la civiltà attuale è specchio di
quella forma di appiattimento psichico che si definisce psicosi, laddove con
questo termine si indica una totale frattura del soggetto con la realtà
oggettiva o, il che non cambia, un’identificazione adesiva acritica con la
stessa con relativo annullamento della realtà interiore.
Alla base del problema rintracciamo la dinamica
desiderio-legge con cui l’autore intende riferirsi alla castrazione simbolica
operata dal Padre Norma, mentre parlando di desiderio il rinvio è a Eros
che non si rivolge mai ad oggetti materiali, a cose. È invece anelito e
allusione.
Nella sua revisione del freudismo, Lacan afferma
che ogni desiderare è figlio di mancanza che non si riferisce a oggetti perché
Eros non si appaga nell’uso e nel possesso di cose, rimandando a una
condizione esistenziale di base: esso è mancanza dell’altro che potremmo
individuare come mancanza a essere e il suo è desiderio di esistenza.
Tra desiderio e legge non esiste allora
contraddizione o conflitto, perché è proprio la legge simbolica del Padre che,
impedendo l’immediatezza del godimento, fa sì che Eros possa desiderare
la mancanza.
La castrazione del moto cieco pulsionale verso
l’evidenza illusoria dell’oggetto, rende possibile il passaggio dal desiderio al
piano simbolico del significato e dunque del linguaggio.
Questo spostamento culturale sembra perduto,
come se la nostra civiltà fosse “deculturalizzata” consegnandosi al regno
dell’immediato, a un’adesione cieca all’atto rivolto al puro godimento senza la
necessaria pausa della riflessione.
Riconosce Giuseppe Panella che Umberto Eco, più
che un critico letterario militante o un ricostruttore della critica letteraria
in maniera organizzata e sistematica, è (stato) un lettore.
Sulla figura del lettore e della sua assoluta
necessità all’interno del sistema letterario, lo scrittore di Alessandria ha
scritto pagine straordinarie e a tutt’oggi di grande utilità ermeneutica.
Dalla lettura di alcune delle sue opere più
significative in questo ambito (Lector in fabula, Sei passeggiate nei boschi
narrativi, Sulla letteratura) si deduce come il suo interesse maggiore non
vada ricondotto tanto alla dimensione teorica della qualità di ciò che gli
autori letterari producono.
Attenzione, però, a classificare l’attività di
Eco come quella di un “sociologo della letteratura”.
Anche se allo studioso di semiotica interessi il
destino dei libri, la loro fortuna, la conservazione e la sopravvivenza, non è
l’interesse sociale che lo affascina quanto la capacità comunicativa e il
rapporto con la soggettività vivente di chi entra in loro contatto.
Ciò spiegherebbe perché Eco, indagando la
letteratura d’appendice e il romanzo popolare, abbia ricostruito le strutture
narrative dei romanzi di Jan Fleming con protagonista l’agente segreto James
Bond e come preferisca il romanzo poliziesco e i suoi schemi deduttivi alla
tradizionale critica letteraria di stampo crociano-stilistico o
analitico-strutturalista.
Il suo interesse e talvolta la preferenza per
opere letterarie minori possono, in certa misura, cogliere i suoi lettori di
sorpresa, se si pensa che la prima escursione non esclusivamente filosofica di
Eco nel campo della storia letteraria riguarda le complesse e raffinate
elaborazioni di poetica letteraria di Joyce e che, solo in tempi successivi alla
sua “scoperta” dell’opera aperta come chiave critica identificativa della grande
letteratura del Novecento, il suo interesse è andato estendendosi in maniera
puntigliosa alla paraletteratura e ai prodotti librari, non facilmente
identificabili come “altri”.
In Critica letteraria, again?, Luana
Salvarani afferma che da quando le guerre di posizione sub specie ideologica
si sono faustamente logorate ed infine estinte, l’esercizio di assegnare i
famosi “compiti della critica” si è reso meno automatico, e ponendo il quesito
sui compiti che si possano “assegnare”.
L’esercizio della critica è un’attività
spontanea dell’uomo, e tanto quanto la musica, il disegno, il calcolo o la
creazione ingegnosa di macchine, è esercitata da migliaia di persone senza
alcuna formazione dedicata e senza alcuna pretesa di status intellettuale.
L’uomo è animale naturaliter critico, e
la critica comincia ad esercitarla non appena mette il naso al di fuori del
soddisfacimento dei bisogni primari.
Critica che non è sempre discorso ma è
più spesso operazione, e che si esplicita al massimo negli atti creativi
di ogni tipo: la melodia intonata in contrappunto al canto del lavoro del
vicino, la macina a pedale creata imitando e variando un oggetto visto altrove
sono altrettanto atti critici a eventi, azioni, modelli, linguaggi
preesistenti.
In Saggistica leggiamo lo scritto di
Flavio Ermini, Sotto l’inchiostro, diviso in undici brevi segmenti.
Scrive il saggista che il nostro sguardo più non
si distende; più non comprende la valle, il bosco, le città, il piano.
Lo sguardo non abbraccia più il contesto
complessivo dell’abitare e del lavoro umano.
Abitiamo la terra senza comprendere che il
paesaggio al quale, nei pochi momenti di serenità, volgiamo il capo non contiene
solo la molteplicità delle forme, ma anche gli ambiti dell’essere e i loro gradi
di senso.
Abiteremo mai la terra consapevolmente? Se ciò accadesse, scopriremmo
che gli ambiti dell’essere di cui la terra è costituita sono attraversati da
un’identica natura: l’esperienza poetica.
Abitare consapevolmente significa stare dalla parte di un pensiero in
cui la priorità vada a costruire.
Eppure è proprio qui che il pensiero resta attivato in un cammino
arduo, che svolge le tessere di un mosaico poetico che non è racconto né
discorso.
In Dall’umiltà pedagogica di Rebora, all’esperienza poetica di Loi,
Graziana Coco afferma che c’è una particolare sintonia che lega Franco Loi a
Rebora, come lo stesso poeta milanese ha ammesso durante il convegno
internazionale: “Rebora, pedagogia dell’umiltà”, svoltosi a Urbino e
Pesaro lo scorso 27 e 28 novembre.
E’ una sintonia, un’attrazione sui generis per la parola che dà
vita alla poesia, “Dall’istante si attende la parola/ l’istante nasconde il
senso della vita che è il punto cruciale dell’uomo”, e in esso è racchiuso
il vero significato del suono-parola-emozione, da cui scaturisce e opera la
poesia.
Sia per Rebora che per Loi, la poesia è un atto d’amore, una sacra
scrittura che va ben oltre la sostanza umana e corporea.
In Poesia impastata di Felicità Alida Airaghi scrive che “Mala
kruna” significa “piccola corona di spine”, ed è un titolo che esprime il dolore
sottile e penetrante che pervade ogni pagina del primo volume di poesie della
poetessa marchigiana Franca Mancinelli (1981), uscito nel 2007.
Sia i due versi danteschi che fungono da esergo, sia la composizione
iniziale, con il suo mare tempestoso, il vento, l’isola, la madre nera
vaticinante e “un cattivo tempo che non faceva partire le barche”, introducono
al sentimento di rassegnata e consapevole tristezza che costituisce la nota
dominante, il basso continuo del libro.
I versi, incisivi, affilati” ribadiscono con asciuttezza il senso di
perdita e di abbandono che l’autrice patisce sulla propria pelle dall’infanzia:
“anni che perdono parole dalle mie dita aperte”, “come dondola il mondo e le
cose di nuovo tremano, anch’io sarò nel buio”, bambina segnata forse da una
separazione o da una lontananza, o da quel di più di sensibilità che le
permetterà, diventata adulta di trovare una sua ricomposta consolazione proprio
nella poesia.
In Narrativa risaltano Teoria Scottex di Mario Lunetta,
Rosalba di Giulia D’Alia, Bunker di Giuseppe Vigilante e Le
fatiche mentali di Conquette di Anton Pasterius.
In Poesia testi di Mario Lunetta con Film metamorfico e
Campanello d’allarme, di Domenico Cara con Le reticenze disegnate
e di Antonino Contiliano con Skyline Italia.
In Arte leggiamo Vincenzo Tiboni.
Narrazioni e impronte di Maria Lenti, che presenta alcune tavole a colori
dell’artista. In questo saggio l’autrice afferma che dalle “ruote dentate”
dei suoi inizi artistici, sul finire degli anni Sessanta del Novecento,
attraverso gli oli (Metamorfosi di un’immagine sacra, 1969, Apparizione
alata, 1971-1975), le Tracce (esplosioni, avvenute seppure
inavvertite, nel contesto storico: litografie a colori, dorate o arancio,
puntasecche e maniere a zucchero) del 2000 e oltre, gli Angeli (incisioni
anni Novanta e, a seguire, sculture in pietra della Cesana, 2003), i bronzi
(il soldato del cielo, primi anni del Duemila), altre Tracce scolpite
su pannelli bianchi quasi a sfiorare la pittura optical del 2004, i penultimi
lavori (quattordici, singolari, bozzetti lignei della Via Crucis, 2005),
l'autore approda, oggi, alle Tracce cosmiche, alle Geometrie Cosmiche,
oli su tela con intagli in legno laccato, agli ultimi Bozzetti in legno
sulla comunicazione.
Non interrompendo, da un materiale all’altro, la
continuità dentro un soggetto – stilema, variato, espanso o contratto: la
rotondità della ruota, degli angeli, delle tracce incise, del Cristo e delle
persone a lui d’intorno nella sua salita al Calvario, delle figure inerenti la
cosmicità, delle curve che tendono a catturare (o a propagare) comunicazione.
In Arte sono presenti anche le considerazioni Valerio Gaeti
“Reggo lo specchio alla natura” di Vincenzo Guarracino, L’arte
costituisce l’Europa di Gabriella Colletti, Dal bianco della fioritura
di Vinicio Verzieri, Eduardo Palumbo/ sferoidi, poliedri, triangoli e
Barbara Giacopello/ Identità di Paola Consorti.
In Cinema c'è il saggio di Lapo Gresleri Fratell(astr)i da
un altro pianeta, La costrizione spazio – temporale in “Fa la cosa giusta”
di Spike Lee.
Scrive il nostro che il cinema contemporaneo si
caratterizza per una rottura dei precedenti canoni e registri che hanno segnato
il periodo cosiddetto “classico”.
L’operazione di rielaborazione e rinnovamento degli elementi stilistici
e narrativi del cinema precedente, avviata negli anni Sessanta dalla Nouvelle
Vague europea e nei Settanta dalla New Hollywood – secondo una nuova concezione
del mezzo cinematografico che viene a farsi strumento di riflessione sulla
condizione dell’uomo contemporaneo – è ora estremizzata.
Nuove strutture narrative sempre più complesse riflettono l’attuale
realtà multiforme, caratterizzata in particolare da nuove concezioni di Spazio e
Tempo, non più intesi in modo omogeneo e lineare, bensì complessi, articolati e
frammentati segno del disorientamento causato dall’insieme di impulsi diversi
che costantemente accompagnano lo stile di vita coevo.
Fa la cosa giusta (S.Lee, 1989) si caratterizza proprio per
l’originalità di tali aspetti e per le idee che questi mettono in luce,
diventando in quest’ottica uno degli esempi più significativi del nuovo cinema e
dei mutamenti formali e socioculturali di cui si è fatto portatore e testimone.
Basato su una serie di fatti di cronaca di pestaggi e violenze da parte
di bianchi nei confronti di giovani afroamericani degli anni Ottanta - che
suscitarono l’indignazione e la conseguente mobilitazione della comunità nera
newyorkese, sfociata poi in violenti scontri razziali, la pellicola è una delle
più note, controverse e polemiche opere del famoso regista.
Sarah Panatta si occupa invece del Festival Internazionale del Film di
Roma. Una disamina sulla gestione Muller, definita implosa per problemi dei
tagli, dei precari, di una spinta internazionalizzazione. Un insieme di mali che
coinvolgono il cinema, dopo un'altra gestione che non era andata male.
Tra le rievocazioni, Il caso del Cardinal Rampolla di Lucio Zinna e del
poeta salentino Antonio Verri di Maurizio Nocera.
Coinvolgenti le traduzioni dal greco di Sangiglio e dal russo di Paolo Galvagni.
In Recensioni L’ “occhio pittorico” di Mauro Ponzi, su
Identificazione biometrica. Poesie scritte in sogno (2003-2010) Roma, 2011
di Mario Lunetta.
Scrive il nostro che Identificazione biometrica, come afferma lo
stesso Lunetta all’inizio del suo volume di poesie “scritte in sogno” tra il
2003 e il 2010, è quella procedura, che tramite lo scanner, fotografa l’iride
degli occhi nel tentativo di identificare, al di là di ogni dubbio, l’individuo
in questione e, in genere, viene usata dall’antiterrorismo.
E il percorso poetico di Lunetta vuole, in fondo, identificare il tempo
presente, fotografare l’essenza di quest’epoca contraddittoria. E non è un caso
che scelga questo procedimento sofisticato come titolo – con tutta la componente
ironica e polemica che esso comporta – giacché Lunetta ha un “occhio pittorico”,
come diceva Goethe “italiano”, che gioca molto sulla visualità, frequentando in
poesia e nella vita, le arti figurative.
Interessante la recensione di Gemma Forti su Tiziano di Neri
Pozza; ricorda la poetessa e narratrice che Neri Pozza, nato e morto a Vicenza
(1912-1980), fu uomo di cultura dagli interessi multiformi: editore, scultore,
incisore, saggista, poeta e scrittore.
Tra il 1976 e il 1986, lavorò sul carattere dell’uomo, cercando di
svelare i segreti di un autore, rifinito, come Tiziano, definito banale come
uomo ma geniale come artista.
Dopo anni di ricerche ed approfondimenti, ha lasciato appunti
riguardanti sviste, omissioni sull’edizione pubblicata nella Bur della
Rizzoli.
E tramite Lionello Puppi, professore emerito di
Metodologia della storia dell’arte dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e le
imperfezioni sono state corrette e messe a punto.
Così ci troviamo a ripercorrere la storia di Tiziano in ogni
rievocazione interpretazione rifinita e approfondita.
A livello artistico di Tiziano si sapeva molto.
Mancava una biografia alquanto verosimile. Altre recensioni di Forti su
Ciceruacchio, Joseph Roth, Don Gallo, Romiti, Ilaria Alpi, la violenza sulle
donne ecc. Trattazioni su argomenti storici o attuali che coinvolgono per
l'analisi spietata e veritiera.
Lo spogliatoio dell’anima di Raffaele Piazza su Parole
mancine di Salvatore Anzalone, si occupa della raccolta, prefata da Antonio
Spagnuolo. Per la sua unitarietà tematica sembra un canzoniere amoroso, che per
i contenuti, può essere letto come un remake, in chiave postmoderna, rispetto a
quello petrarchesco dedicato a Laura.
L’uso dell’io-poetante, rivolto al “tu”, approfondisce una
corresponsione da raggiungere e scoprire.
Si sente una musicalità cadenzata e sincopata, che sviluppa inaspettate
combinazioni linguistiche.
Protagonista è il sentimento amoroso che, per l’unitarietà usata,
ricorda la tradizione medievale dell’amor cortese, per il quale la fanciulla
diviene musa di culto.
Per altri aspetti l’autore si avvicina a Il Cantico dei Cantici
biblico per l’erotismo ispirativo e per l'associazione della figura dell’amata
ad immagini naturalistiche, a visioni paesaggistiche, con cui si svolge
il tema della metafora vegetale.
In Biblio/Caravan sono presenti interventi di Velio Carratoni di
letteratura e di altro genere.
Tra cui Beppe Fenoglio la scrittura e il corpo (2012) di Marzia
Palmieri.
Scrive il nostro che il senso del testo è quello di focalizzare un
autore del Novecento, nei suoi meandri di produzione minore e secondaria.
Si spulcia, si vanno a ricercare sue ragioni “osé” di contesto del
tutto assenti o accennate, trattando l’allora giovane autore di vicinanze
carnali.
E l’autore di ventotto anni con il suo La paga del sabato, del
filone neorealista, avendo reso veridici contatti, compreso battute tipo: sei la
mia p. o di descrizioni di nudi o di togliersi i vestiti in luoghi appartati,
difficilmente raggiungibili, secondo previsioni.
E da lì si arriva a collegamenti con l’Einaudi, in particolare con
Calvino, Vittorini ecc. E tutte queste ricognizioni sanno d’inganno o di
formalità oculate dati i tempi.
Appartenendo ad anni del dopoguerra, colpiscono per la loro candida
ragione di fondo della ricerca.
Dopo tutto si parla di due giovani personaggi, Ettore e Vanda che
cercano luoghi adatti per stare insieme. Ma in quella specie di stalla qualcuno
ha portato via il fieno: ”Sul fienile lui s’inginocchiò a fare un letto,
ammassando il fieno rimasto. Lavorava guardando sopra la spalla di lei che si
spogliava. La sua ultima biancheria balenava nell’ombra, il chiaro di luna
rendeva fosforescenti i contorni delle sue nudità”.
Per le pagine neorealiste di un patito dell’inglese e di storie di
sapore partigiano in cui si sentiva l’influsso di scopritori del nuovo mondo,
dei letterati e degli stili diffusi.
Nella recensione a Critica e critici di Cesare Segre, Einaudi,
2012, Carratoni afferma che nel panorama critico sempre più assottigliato,
Cesare Segre del 1928, rimane una figura ormai rara e significativa, risultando
tra gli esponenti di ispirazione strutturalistica e semiotica.
Con Critica e critici riprende quanto aveva già iniziato a dire
con I segni e la critica del 1969 e poi con Notizie della crisi. Dove
va la critica letteraria del 1993 e in Ritorno alla critica del 2001.
La sua esortazione riguarda la storia dei critici, che agiscono in un
contesto più ampio, rispetto a quello da loro comunemente impiegato, senza
ricorrere forzatamente alla separazione tra critica letteraria, critica d’arte.
filologica, semiotica e psicoanalitica. Per non tralasciare il settore della
critica militante ecc.
E tra stilistica e strutturalismo impernia la sua ricerca su Leo
Spitzer di Vienna che approfondiva le sue mire alla critica letteraria che ha
rinnovato studi tra gli scrittori, secondo movimenti alla moda, arrivando alla
nuova metodologia strutturale, alla quale aveva finito per rendere omaggio.
I suoi approfondimenti su La lingua italiana del dialogo
ampliano la conoscenza su autori del Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana,
Campania, Lazio, Sicilia.
Le sue osservazioni non vogliono “valorizzare l’abilità stilistica dei
personaggi dialoganti ma mostrare, attivati nel dialogo, i meccanismi e i valori
delle tecniche disposizione”.
Carratoni si occupa altresì dell'ultimo Pasolini, dei veri Intoccabili, di Linda
Lê, di Gabriela Adameşteanu, di Scrittori italiani in viaggio negli Stati Uniti,
di La responsabilità dello scrittore di Sartre, di Attilio Bertolucci, di
Ilvo Diamanti, del consociativismo, di Sgarbi, dei Sorvegliati Speciali, dei
Verdone ecc.
A ricordo di La tenue vita di Maria De
Lorenzo (Fermenti, 2012) e della sua dipartita avvenuta a Roma nel novembre
dello stesso anno, in una recensione/rievocazione di Maria Teresa Giuffrè, i
versi vengono definiti come “forma di parole strappate dal suolo, da prati e da
sentieri, che hanno percorso una via stretta – non facile quindi – per
trasmettere pensieri e poesia...”. Segue una recensione di chi scrive, i cui
versi vengono definiti di una valenza intellettuale.
Nell’inserto Fondazione Piazzolla leggiamo le seguenti sezioni:
Interventi, Manifestazioni, Poesia, Rubriche, Creatività, Recensioni, Documenti.
Da quanto affermato si constata la varietà e la
vastità delle tematiche di “Fermenti”, elemento che è veramente un unicum nel
mondo culturale italiano.
La parte finale della rivista, dedicata appunto
alla suddetta Fondazione, contiene, tra l'altro, gli interventi di vari autori,
indicati sotto il titolo complessivo Ci stiamo abituando all’inferno (a
proposito degli Atti dei Convegni per il Centenario di Marino Piazzolla):
Testimone della cultura europea moderna di Lorenzo Macharis, Solitudine
di un intellettuale tra impegno politico – civile e poesia di Andrea
Ambrogetti, Chiarezza degli atti di Canio Mancuso, Un poeta, una
storia di Maurizio Nocera; vari scritti sulla XXVI edizione del Premio
Nazionale di Poesia Edita “Città di Penne” 2012, assegnato a Biancamaria
Frabotta per il libro Da mani mortali, due poesie di Marino Piazzolla,
la recensione al secondo volume delle Testimonianze critiche per Marino
Piazzolla di Canio Mancuso e l’elenco di alcuni degli audio di eventi
organizzati in collaborazione con la Fondazione Piazzolla.
Nella motivazione per la XXVI edizione del
Premio Nazionale di Poesia Edita “Città di Penne” Velio Carratoni scrive che,
tra l'altro, fra le presenze militanti della poesia non occasionale, svolta
negli anni Settanta con impegno evocativo, quello di Biancamaria Frabotta si
distingue per una sua tipicità inconfondibile.
Negli ultimi quarant’anni non è mai sfociata in
esteriorità di maniera, rimanendo coerente alle simbologie e alle ricerche
sensoriali del vissuto e del privato.
Molto ha svolto, dal periodo femminista, senza
seguire mode o atteggiamenti di comodo, risultando spontanea e immediata,
rimanendo una misurata cesellatrice della pagina. Le tematiche sono andate al di
là di contenuti ad effetto. Insomma un'esponente delle lotte riguardanti le
donne che ha saputo rimanere obiettiva in una riflessione umana e saggia.
Tra le sue mete di ricerca: la vita, la natura,
un’umanità riflessa mai logorroica e viscerale.
La Fondazione Piazzolla svolge un’intensa
attività di carattere culturale (presentazioni, incontri, assegnazione di borse
di studio o conferimenti di premi letterari, esecuzioni concerti e altro);
prende nome dal suo fondatore Marino Pasquale Piazzolla, poeta, critico,
filosofo, pittore.
Piazzolla, nato nel 1910, è un autore che, in
vita, in un ambiente in cui i poeti più importanti erano Cardarelli, Montale,
Ungaretti, Quasimodo, Pasolini, e altri, è rimasto in una posizione appartata,
anche se molti hanno riconosciuto il suo indiscutibile valore, come Cecchi,
Caproni, Sbarbaro, Zambrano ecc.
Il nostro ha sempre rifiutato compromessi,
dissociandosi da giochi e prebende.
L’attenzione critica su Piazzolla ha proseguito
a consolidarsi dopo la morte, con riconoscimenti postumi, che ne hanno delineato
l’immagine di un creatore visionario e originale, e di un critico e
intellettuale di grande cultura. Il discorso rimane aperto.
In Italia la Fondazione Piazzolla, con le sue
molteplici attività, è di sicuro una delle più attive, tra quelle che fanno
riferimento al nome di un poeta.
Ma le iniziative promosse non riguardano solo il
fondatore, Piazzolla medesimo, rivolgendo le attenzioni ai più significativi
autori della cultura come Loi, Amelia Rosselli, Pagliarani, Pizzuto, Balestrini,
Valverde, Evans, Kirsch, Heaney, Batur, Adonis, Bonnefoy, Takano, Jacottet,
Zlobec, Eminescu, Xingjian, Bacovia, Sinigaglia, Lombardi, Ferretti, Cacciatore,
Vigolo, Guglielmi, Bellezza, Accrocca ecc. Naturalmente le iniziative
proseguono, in tempi di vuoto culturale e di crisi laceranti.
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