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I baci di Dio

I baci di Dio, la plaquette di Giuseppe Iannozzi che prendiamo in considerazione in questa sede, anche per il fatto di non essere scandita in sezioni, oltre che per l’unitarietà contenutistica, stilistica, formale e semantica, può essere considerata un poemetto ben riuscito e risolto nel quale sono protagonisti l’amore per Dio e di Dio e l’amore per la persona amata alla quale Iannozzi si rivolge in modo struggente sempre in bilico tra gioia e dolore.

Nel componimento eponimo, che è quello iniziale, ritroviamo una contraddizione forse solo apparente: Milioni di baci di fuoco / dal cielo caddero veloci / lasciando sulla terra / ben impresso il supplizio / da Dio inferto agli uomini/.

La contraddizione suddetta è questa: se teologicamente Dio è l’Amico dell’uomo che invita l’uomo stesso a gettare su di Lui ogni ansia e dolore per sostenerlo, come mai tramite baci d fuoco Dio stesso infligge un supplizio agli uomini?

La risposta a questa domanda consiste nel fatto che per supplizi l’autore vuole intendere, nominare le prove della vita da superare che a volta creano disagio e paura negli uomini stessi, se ha scritto Edoardo De Filippo che gli esami non finiscono mai, intendendo per esami le prove della vita stessa più che gli esami scolastici e universitari.

Del resto l’autore stesso dubita dell’esistenza di Dio come scrive in Sogno il tuo sorriso: …/ Se un Dio c’è / è soltanto nel tuo sorriso / Soltanto / nel tuo bacio / non dato /.. quindi la donna per Iannozzi diviene espressione di una musa in carne e ossa di quello che si potrebbe definire postmoderno Stilnovo.

Tutti possiamo identificarci in Giuseppe e nei suoi sentimenti per la persona amata se è vero che l’amore fa soffrire anche se per contraltare è la più grande fonte e sorgente di felicità quando è corrisposto.

Linearità dell’incanto e reverie caratterizzano questi versi nitidi, luminosi, chiari che si possono definire neolirici.

Un canzoniere amoroso, appunto, quello del Nostro anche se in qualche composizione, staccandosi dal tema dominante il tono diviene ironico e sardonico, espressione del nonsense come quando in Gli amici miei l’autore scrive: Gli amici miei ci crediate o no/ si mordono il culo nei cimiteri/.

A volte il nonsense si estremizza come quando Iannozzi scrive che accusato di essere un poeta ne uscirà innocente.

In Eccolo l’autunno il poeta vede nelle tinte delle foglie di settembre l’assenza della speranza per un domani non crudele.

Si nota pessimismo anche se il poeta non si geme mai addosso sempre disposto a tenere viva la speranza anche se la vita dà scacco e vanno male le cose con l’amata e si può credere che da vero eroe del quotidiano che diviene epico il poeta lotterà fino in fondo nella vita che è sempre degna di essere vissuta.

E ci sono anche visionarietà e affabulazione come quando in Nessuna croce in mano identificandosi in Achab di Melville il poeta scrive che ha pregato perché Moby Dick lo abbattesse prima che il suo arpione gli imponesse la sua ferrea ragione.

Un’opera composita giocata tra vari toni e registri che per certi versi si può considerare un esercizio di conoscenza.

Recensione
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