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Una redenzione, un’uscita dal baratro di una forte crisi esistenziale, da una
nevrosi, possibile anche attraverso un nuovo approccio alle cose, come seguendo
una nuova strada, il sentiero, appunto, questi sono i temi del romanzo di
Cristina Piras, nata nel 1976 ad Oristano e che risiede a Roma. Con uno stile
immediato e fresco, la giovane autrice dà vita al personaggio di Silvia, che è
la protagonista dell’opera, scritta in terza persona. La voce narrante descrive
la complessa psicologia di una ragazza che, quasi improvvisamente, inizia a
percepire la quotidianità, come qualcosa di tremendo ed è pervasa dall’ansia e
dal panico, che la rendono smarrita e disperata.
Si può affermare che “la
malattia dell’anima” di Silvia sia dovuta ad un motivo inconscio, essendoci
nella sua vita tutti gli elementi di realtà per avere una coscienza serena:
Silvia, infatti, gode di buona salute, ha un discreto lavoro, una casa e un
compagno che ama e che dal quale è affettuosamente ricambiata. Anche se
l’autrice non ne parla mai, sembra di assistere, nel cammino di guarigione di
Silvia, ad una piena adesione ai modelli di una filosofia orientale, perché
c’è, alla base della catarsi di Silvia una strenua tensione verso una ricerca di
pace e di armonia, di fusione con l’altro e la natura; è la protagonista stessa
a non capire cosa le stia accadendo, quando, da un momento imprecisato, perde le
coordinate della sua vita precedente serena, ed inizia a vivere in uno stabile
panico.
La prosa della Piras è vagamente poetica e, in alcuni passaggi, lirica.
Predomina nel libro un’estetica – etica, che sembra assomigliare a quella del
buddismo zen. La nevrosi esplode in Silvia, come un vulcano sommerso; ma chi è
Silvia? Una ventinovenne anticonformista e sicura di sé e delle sue scelte, che,
in un momento piuttosto vago della sua vita entra in crisi e viene travolta da
attacchi di panico così forti, tanto da essere una volta addirittura ricoverata
in ospedale, con una forte paura di morire. I sentimenti provati da Silvia e dal
suo compagno Lorenzo sono eticamente alti, senza mai cadere nel buonismo e nel
patetico. La malattia di Silvia provoca in lei il fondato timore, misto a
terrore, che l’amato la lasci. Nel capitolo intitolato Tre anni prima,
c’è un flash-back, per usare un termine cinematografico, in cui viene descritto
il primo incontro tra Silvia e Lorenzo, che segna la prima scintilla del loro
colpo di fulmine, del loro amore a prima vista; si tratta di una breve prolessi,
in cui viene descritto l’incontro tra Silvia e Lorenzo, nel momento in cui
quest’ultimo sta vivendo una relazione con un’amica di Silvia; questo avviene
quindici anni prima.
C’è fortemente, nel romanzo, il senso di un destino che si
realizza per alcune coincidenze e Silvia crede anche in piccoli e minimi segni
di questa forza oscura, nelle cose che le accadono, come il ritrovamento casuale
di un foglio sul quale è scritta una poesia, in un parco ameno. E’ tutta una
ricerca, quella di Silvia, per giungere alla conclusione che, nel caso della sua
vita, si possa uscire dalla gap in cui era caduta, per giungere alla
realizzazione più profonda e vera di se stessa, cioè nel riuscire a divenire
un’affermata pittrice; spesso c’è un tono magico e di sospensione nelle
atmosfere descritte. La “malattia dell’anima” di Silvia, oggetto di numerosi
studi della psicologia e della psichiatria contemporanea, fa che Silvia passi
improvvisamente, o quasi, da una vita serena ad una condizione di ansia e
panico, per cui non può resistere neanche nel buio di un cinema senza sentirsi
male e non può nemmeno viaggiare o lavorare professionalmente, come un tempo; la
protagonista, da un momento all’altro comincia a sentirsi totalmente centrata su
se stessa e non riesce più a relazionarsi positivamente, oltre, appunto che con
se stessa, con l’altro: ciò diventa particolarmente drammatico nel suo rapporto
con il compagno Lorenzo, che, però, amandola fortemente, non la lascia, anzi le
è vicino e la aiuta a superare i suoi problemi; non senza un pizzico di ironia,
quindi, per certi versi, Il sentiero potrebbe essere definito
come una favola a lieto fine e per questo come romanzo, pare distaccarsi da
quelli contemporanei, caratterizzati, spesso, da toni tragici e cupi, anche se
esistono romanzieri che riescono a scrivere opere improntate ad una certa
solarità C’è una forte analisi introspettiva dell’autrice che scruta nei
meandri della psicologia di Silvia, attraverso la descrizione del suo
comportamento, che è sotteso ad un’innata propensione alla ricerca della
felicità e dei valori veri della vita. Cristina Piras, in questo, con il suo
romanzo dà vita ad una forte tensione morale verso il bene che si manifesta
nella quotidianità e, per questo, il suo romanzo può essere accostato a quelli
di Romano Battaglia. Anche se manca il tema religioso, che potrebbe essere
costituito dal nominare una certa religione, qui, si può dire, che sia presente
un misticismo naturalistico. Il fatto saliente, per la guarigione di
Silvia è costituito dall’apparentemente casuale incontro con la psicoterapeuta
Nadia, che avviene in un parco luminoso, che costituisce un ottimo scenario per
un momento felice e fondamentale per la vita di Silvia. Nadia, personaggio
carismatico e affascinante invita la ragazza a casa sua e le rivela un’apertura
positiva per relazionarsi di nuovo in modo felice e armonico con la vita, a
percorrere un cammino interiore che culminerà con un viaggio in una località
idillica, con altre persone, per superare ansie e nevrosi. Fondamentale,
nell’intreccio, anche l’incontro di Silvia con una donna anziana, che gestisce
una galleria d’arte, che invita la ragazza a lavorare nella galleria al suo
posto; Silvia allora è combattuta dall’idea di dover lasciare il proprio lavoro
sicuro per la nuova professione e, di questo discute con Lorenzo. La
protagonista, tesa spasmodicamente alla realizzazione di se stessa la raggiunge
pienamente, dopo aver superato la crisi interiore e, in una delle descrizioni
finali del romanzo, possiamo vederla in un jet, seduta tranquillamente e
perfettamente realizzata, mentre si reca ad un incontro professionale, in
qualità di artista per una mostra.
Un’opera riuscita e ben risolta, questa di
Cristina Piras, che per i suoi contenuti potrebbe definirsi utopica in una
società, come quella attuale, nella quale, ben raramente l’individuo riesce a
realizzare i propri sogni di felicità come Silvia; un invito alla speranza,
praticata e vissuta come riuscito esercizio di conoscenza, nel suo realizzarsi
nella pienezza dell’essere e dell’esserci nel mondo.
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Recensione |
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