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Emerico Giachery, l’autore del testo che prendiamo in considerazione in questa sede, ha insegnato letteratura italiana in molte università italiane e straniere e ha pubblicato una trentina di opere di saggistica.

La vita e lo sguardo è un libro intenso e complesso, caratterizzato, e questo è un elemento positivo, da una grande chiarezza nell’esposizione dei contenuti. Le sei sezioni dalle quali è composto il libro sono le seguenti: In cammino verso un senso sperato, Memoria come musica (Barlumi e radure), Cinque intermezzi, Cavalieri e angeli, Passo d’uomo e Altri orizzonti.

Molto composito, articolato, corposo, ed anche programmatico, il saggio che apre la prima sezione intitolato Abitare poeticamente la terra, che è il primo della scansione iniziale. Il titolo del suddetto saggio si riferisce ad un famoso frammento di Hölderlin (pieno di meriti ma poeticamente abita l’uomo la terra); questo passo è stato interpretato da Heidegger, per il quale abitare poeticamente significa uno stare alla presenza degli dei ed essere toccati dalla vicinanza e dall’essenza delle cose.

Giachery elabora, nel corso della scrittura, una metamorfosi di senso che quel suggestivo nucleo verbale subirà nello scritto; l’avverbio poeticamente rimanda ad un significato, ad un uso del termine poesia, molto più ampio di quello ordinario, nell’esprimere in forma d’arte la propria visione della realtà. Hölderlin, certamente, è un punto di riferimento per l’ala del suo poetare che, in alcuni suoi passi, comunica uno stato di grazia, di illuminazione, di veggenza, di purezza, come i più alti testi mistici, le sante scritture: il suo poiein sembra essere esso stesso Rivelazione. Parola, carisma del Pneuma celeste.

Come afferma Mario Luzi, quasi sempre un titolo è un mantra e viene da molto lontano; la frase di Luzi sembra adeguarsi molto bene al nome della parte del libro che stiamo esaminando.

Come scrive l’autore, in questo tratto iniziale del cammino, una pagina di Rilke, dai Quaderni di Malte, c’introduce col suo largo respiro, alla potenziale poeticità della vita:-“I versi, sono esperienze. Per scriverne anche uno soltanto, occorre aver veduto prima molte città, occorre conoscere a fondo gli animali, sentire il volo degli uccelli, sapere i gesti dei piccoli fiori, quando si schiudono all’alba…”. Quello che emerge dal pensiero di Rilke è che, per l’autore tedesco, la poesia è sempre d’occasione.

Le parole di Rilke possono valere per ciascuno di noi – specie se ci affidiamo all’emozione e al ritmo intenso del suo “nominare” che diviene esso stesso poesia – come invito a prendere atto dell’implicita “fruibilità poetica” della vita, senza che occorra scrivere versi o fissare in pagina il nostro sentire. Del resto, il grande poeta sudamericano Borges affermava che si deve vivere poeticamente ogni momento.

Bisogna mettere armonia e misura, scrive il saggista, là dov’è disordine: atto ricco di bella risonanza simbolica, spesso affidato a mani femminili e affine per certi aspetti alla meditazione. Attorno ad una parola chiave, sempre ripetuta, il verbo francese ranger, “rassettare”, “mettere ordine”, in sostanza ”portare ordine”, collegata a una vocazione femminile.

In Transiti, secondo scritto della prima parte del testo, l’autore afferma che Ciò che resta, potrebbe essere il titolo o il sottotitolo di questa sezione dell’opera; il tema di questo segmento è quello del generare, nell’ottica di una percezione e considerazione dell’uomo inserito nel mondo in un contesto naturalistico, non scisso però da una componente divina o soprannaturale. Afferma il Nostro che l’innato desiderio di durata dell’uomo, trova innanzitutto sbocco in una continuazione di una parte di noi nel procedere, educare ed allevare la discendenza; l’autore, non senza ironia, afferma di non avere mai sperimentato l’esperienza della paternità, ma di avere solo dei “figli cartacei”, i suoi libri.

Generare è, nei confronti della Specie, legge biologica primaria che ci assimila agli animali, alle piante, ci accomuna ad una smisurata e quasi terrificante “volontà di vita”, il cui moto e senso ci trascende. All’antropocentrico Cogito ergo sum cartesiano, la grande anima di Albert Schweitzer intende sostituire: “Io sono vita che vuole vivere, circondata da vita che vuol vivere”. In Transiti si parla anche del posto che l’uomo trova nell’universo, grandissimo libro che continuamente ci sta aperto davanti agli occhi e che è scritto in lingua matematica; l’essere umano è solo una particella, infinitesima e ignara, se pensiamo soltanto al nostro fraterno mondo animale, dominato dalla feroce legge del reciproco divorarsi.

Tra i temi nominati in questo saggio c’è quello della sessualità, che non è solo istintività, ma potenza creatrice, come scritto da Carl Gustav Jung. A proposito del tema dell’Eros, come fondante nell’esperienza umana, viene fatto un accenno all’antica poesia indù, che ha per assunto che l’amore, nelle sue diverse forme, costringe a uscire da sé, a squilibrarsi nella tensione verso l’altro, nell’accogliere il diverso, ad operare verso condizioni sempre più totali di unità: racchiude così e prefigura sviluppi più elevati della condizione umana; nei giochi d’amore l’uomo si realizza come persona.

La vita e lo sguardo è un testo densissimo per cui, per parlarne esaurientemente, bisognerebbe scrivere un saggio e non una recensione tout-court, per il carattere cosmico del libro e anche per la sua notevole estensione.

Illuminante la quarta di copertina che riporta una frase di Mallarmé: Tutto al mondo esiste per approdare a un libro. Di quel tutto, cosa “approda” in questo volume? La vita nel suo fluire. Lo sguardo che interroga, si volge a rievocare i momenti trascorsi. Fitto, l’assiduo colloquio con pensatori e poeti Si esponga il libro al vento, che ne sfoglierà alcune pagine: su una di esse si fisserà, per cominciare, il lettore.

Parole sottese a quello che è un mirabile esercizio di conoscenza.
Recensione
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