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Il composito testo di Ruggero Jacobbi, che prendiamo in considerazione in questa
sede, è così articolato: I da Poemi senza data, 1955, II Quaderno
brasiliano, (1946-1960), III da Sonetti e poemi, 1941-1966-1972, IV
da novecento letto & erario, 1975, V da Despedidas, 1976, VI da
Le immagini del mondo, 1978, VII da E dove e quando e come, 1980,
VIII da Privato minimo, 1980, IX da Di che parla, 1991, X da
“Cara Italcable”, 1991. Come scrive nella postfazione di Quaderno brasiliano
Mario Lunetta, Ruggero Jacobbi (Venezia 1920-Roma 1981) in vita ha occultato
le sue scritture e travestito se stesso con tormentosa ostinazione; si potrebbe
dire che, diversamente dai pessoani eteronimi, Jacobbi abbia incarnato tutta una
serie di pars-eteronimi in se stesso; i suoi precocissimi venti anni furono
all’ombra dell’ermetismo fiorentino; una scrittura irrefrenabile la sua;
emblema di una ricerca condotta con passione. Jacobbi non ha mai creduto nel
libro composto da liriche isolate, ma ha sempre pensato al libro di versi come
romanzo in progress su una sua vicenda, dove una pagina illumina l’altra..
Ruggero Jacobbi è stato un uomo di cultura geniale e al tempo stesso coerente,
atipico, nonché poeta, traduttore, narratore, saggista, critico e storico della
letteratura, dell’arte, del teatro e del cinema,, sceneggiatore, regista
teatrale e cinematografico, radiofonico e televisivo, il tutto perpetrato (e
causa di gravi rimorsi), in mezzo mondo occidentale e in diverse lingue.
Nella
prima scansione incontriamo la poesia Sequenza dell’uomo albero; in
questo testo si nota un’atmosfera di onirismo purgatoriale e c’è il tema della
metamorfosi; il poeta, nelle prime due rarefatte strofe, crea delle
interrogazioni, alle quali pare rispondere nella terza parte della poesia:-“…Son
queste, | davvero, le apparenze | stupefatte in cui mi sciolgo?”; il suddetto
testo sembra essere una poesia ontologica, tutta immersa in un cronotopo, che
resta indeterminato, componimento vagamente lirico e venato da una certa
visionarietà. In Sequenza dell’uomo albero, l’albero sembra farsi uomo e
l’uomo farsi albero, in un miscuglio mistico, naturalistico ed esistenziale; gli
alberi, del resto, spesso, per le loro forme, possono far venire in mente gli
uomini e, per esempio Hermann Hesse nomina alberi in forma, misura umana.
Incontriamo, in questa poesia, una certa lunare e onirica inquietudine e il
poeta sa creare un senso magico di sospensione e di mistero; nelle quattro
quartine della parte centrale, nelle quali c’è un riuscito gioco di rime
alternate, scorgiamo, tra le righe, ed esplicitamente, il senso della morte e
vengono detti i morti. E’ presente qui una certa musicalità del dettato e un
alone sognante costella questi versi. Significativa la chiusa:-“ Ora tremulo
mi imbarco | sul veliero d’erba | in cerca dei grandi fiumi”-.: sono
versi che sottendono il tema del viaggio. La sezione eponima può essere letta
come un poemetto, scritto tra il 1946 e il 1960; in Quaderno brasiliano
il versificare si fa più compatto, scattante e affilato; tutti i testi della
raccolta, tranne uno, sono provvisti di titolo. Quaderno brasiliano è
composto da poesie scritte a Rio, Petròpolis, Santos, San Paulo e altre città
brasiliane; nel primo componimento della raccolta ritroviamo il tema della
metafora vegetale, in un versificare caratterizzato da una forte densità
metaforica e sinestesica: viene detto l’ulivo che emerge come un amico schietto,
tra gorghi tropicali, mentre cala un altro pensiero nel tempo; tutto pare essere
indefinito; una forza misteriosa porta l’io-poetante ad invidiare l’ulivo
(quella incorruttibile forma vegetale)) che screzia i vetri del pomeriggio. C’è
un sorgivo stupore nella voce poetante, nel contemplare farfalle, gabbiani e
paesaggi tropicali brasiliani, elemento per cui questa poesia si potrebbe
definire lirica; si tratta di poesie che descrivono la geografia fisica e umana
del Brasile e, nei versi, c’è una certa linearità dell’incanto e il tessuto
linguistico è caratterizzato da chiarezza, nitore e narratività; i componimenti
possono essere divisi in quelli in cui si espande l’io-poetante e in altri
descrittivi. E’ presente un forte naturalismo e sembrano vagare le immagini in
un’aria ed un’aurea di sogno, figure tra loro tutte diverse. A volte incontriamo
il tema politico, come in Maledetto, in cui viene detta la Camera
municipale, davanti alla quale si erano riuniti gli sfaccendati, i dignitosi,
gli sgomenti. Tre poesie di questa sezione sono dedicate a una donna chiamata
Aglaia: in queste c’è una forte dose di visionarietà. Di Aglaia sappiamo che
vede la notte con occhi di morta vergine e che si consuma per l’incertezza
dell’io-poetante; inoltre Aglaia, sul letto, forma una grande nuvola bianca; c’è
un tono prosastico, in queste poesie, con uno scarto poetico dalla lingua
standard non molto accentuato. E’ una scrittura precisa, quella del nostro,
non particolarmente leggera e caratterizzata da una forte icasticità; a livello
stilistico – formale, il tessuto linguistico, sempre molto elegante, è
caratterizzato da vari esiti espressivi: infatti incontriamo sia testi
strutturati in brevi o brevissime frasi, sia testi in lunga e ininterrotta
sequenza, connotati da un fluire scrosciante delle parole. Poesia polisemica,
quella di Jacobbi, nella quale è accentuato il suo carattere di esercizio di
conoscenza. Si deve mettere in rilievo che Quaderno brasiliano è un
testo a cura di Luca Succhiarelli, che ne ha curato l’introduzione, con il
saggio critico intitolato Un presagio; nel libro è presente un disegno di
Angelo Canevari, intitolato Un pensiero per Ruggero; il volume è stato
pubblicato con il contributo della Fondazione Piazzolla di Roma, diretta da
Velio Carratoni.
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Recensione |
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