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Continua Alvino: «Non si vorrà certo negare, sarebbe più folle che temerario, la naturale inclinazione di Balestrini alla jonglerie, al gesto tanto estremo e impertinente che rotondamente autotelico, a intendere la parola nel suo corpo iconico fonico visivo, più motore d’eccitazione mentale che moneta di scambio concettuale, con tutto quel che ciò importa — anche di irricevibile e a tratti funesto — in sede di impaginazione testuale e resa stilistica; ma richiamare l’attenzione su un dato essenziale, imprescindibile per una corretta decodifica: che nello spazio poetico, e a maggior ragione nel nostro caso, non si dànno parole mute, vuote, semanticamente inerti, per il semplice motivo che esse — scatenate sì dai nessi sintattici, ma gettate a interagire in totale autarchia nel campo di forze della pagina e necessitando perciò di continui, massicci interventi integrativo-creativi da parte del fruitore — non possono non moltiplicare in modo esponenziale il proprio contenuto simbolico serbando intatte le virtualità, se non logico-razionali, certamente emotivo-evocative, oltreché musicali (e la musica non costituisce la sintesi antonomastica di forma e substantia?)». A livello architettonico formale Sconnessioni è strutturato in quattro parti: quella eponima — Sconnessioni —, Frammento di Arianna, Tre nuovi cori di Elettra, Non capiterà mai più. Le varie scansioni si differenziano molto tra loro, a conferma della varietà dello stile di Balestrini, che è un poeta a tutto tondo sperimentale, in cui, «anche nelle più arcigne sperimentazioni sono sempre l’uomo e il mondo a fornir materia» (Alvino). Complessivamente nel testo si riscontra un tono vagamente alogico, senza tuttavia che si precipiti in una zona del tutto inconscia, tono che si coniuga a una velata musicalità, raggiunta tramite un ritmo incalzante e sincopato; si ha l’impressione che il poeta produca un raffinato gioco con le parole e i sintagmi siano spesso strutturati in modo anarchico: tuttavia, l’apparente mancanza di coerenza ne genera un’altra a un livello profondo, che è proprio quella dello sperimentalismo. L’omissione totale della punteggiatura è una delle caratteristiche della raccolta e non solo contribuisce a dare un tono di vaghezza al dettato, ma può essere considerata un ingrediente centrale del gioco della sperimentazione. Nella sezione eponima, composta nel 2008, riscontriamo la presenza di una forte visionarietà, risultante dall’assemblaggio di immagini vaghe, che contrastano l’una con l’altra. In questa sezione, nell’avvicendarsi dei versi, si produce un effetto di forte straniamento e di sospensione e c’è un tu velato di mistero, al quale l’io poetante si rivolge; un tu del quale ogni riferimento resta taciuto. Nella sua forte unitarietà l’opera potrebbe essere letta come un poemetto, per una sua vaga compattezza espressiva e semantica, per un tipo di ordine del discorso che, pur variando, resta simile a se stesso, attraverso il comun denominatore costante di un fortissimo scarto dalla lingua standard. In Frammento di Arianna, per quattro voci, scritto nel 2005, i versi presentano una scansione irregolare e sono costituiti da due, tre o quattro parole, costruite in modo irregolare, senza una coerenza semantica che le leghi; qui è difficile trovare un significato preciso, ma spicca una struttura evocativa congiunta ad icasticità, nella levigatezza dei versi plastici e ben controllati. Frammento di Arianna è connotato da armonia formale e luminosità, che nella sezione eponima sono solo accennate; è presente l’elemento della fisicità e vengono nominate molte parti del corpo; i versi fluiscono in modo musicale, sottesi a un ritmo leggero e a una certa sinuosità. A un primo livello i sintagmi potrebbero apparire disarticolati, invece c’è in essi una forte coerenza espressiva. In questa sezione si avverte, infatti, la presenza di un filo rosso che lega le parti tra loro, un filo tenue e quasi invisibile che, tuttavia, fa da motivo conduttore al discorso. In tutte le parti del libro pare che ogni verso scaturisca dal precedente, in un sottile gioco di incastonature e incastri. In Tre nuovi cori di Elettra, scritti tra il 2002 e il 2008, riscontriamo una maggiore coerenza logica e un barlume di chiarezza, anche se non proprio di linearità. C’è un procedere scrosciante e fluviale dei versi in lunga e ininterrotta sequenza, e la scrittura presenta una fortissima densità metaforica e sinestesica. Il dettato in Tre nuovi cori di Elettra, nell’alveo del discorso sperimentale di Balestrini, presenta una struttura vagamente narrativa, in un contesto in cui predomina la bellezza, insieme a una vena intellettualistica, che pare essere una cifra costante nella poesia del Nostro: infatti qui incontriamo la presenza di molti termini tratti dal lessico filosofico e psicologico, parole ricercate che infondono un senso di pesantezza, senza che questa debba essere vista solo in senso negativo. È presente una ridondanza espressiva in Coro ottavo, che si può considerare un poemetto, nel suo fluire leggero come una marea, o come le acque di un fiume. Qui viene narrata una Storia di Elettra, ma non ci sono eventi narrativi né affabulazione: tutta la vicenda di Elettra resta nel vago, immersa in una sorta di nebbia leggera, quasi di sonnolenza, di spessore prelogico e indistinto. In Coro nono c’è più chiarezza insieme a concretezza; vi si parla di un passaggio, di uno spostarsi di Elettra che, se pur delineato molto vagamente, pare avere riferimenti più concreti rispetto a quelli del Coro ottavo; in questo segmento il poeta afferma che il passaggio di Elettra è il bisogno, il movimento dell’immaginario e il farsi di una ridifinizione del mondo; i versi sono incalzanti e sgorgano gli uni dagli altri, quasi in un gioco di specchi frontali; l’indefinito e il fattore sperimentale, come in tutte le composizioni della raccolta, sono accentuati dagli incipit, che iniziano con la minuscola, conferendo al contesto un tono di accentuata vaghezza. Dodici poesie costituiscono l’ultima sezione, intitolata Non capiterà mai più, composta nel 1972; si tratta di testi più o meno verticali; ad ogni testo è legata una tavola di poesia visuale, posta a fronte; versi scattanti e nervosi e, rispetto a quelli delle altre sezioni, è presente una concretezza molto maggiore, a partire dal fatto che vengono trattati argomenti e situazioni quotidiani, anche di cronaca e di costume: ad esempio, in L’urlo il furore, è descritto un processo per violenza carnale e si parla di uccisioni e di un giudice. Invece in Primavera culturale emergono i temi civili e sociali e si tratta di operai, dell’Italia democratica, di terrorismo, di televisione e di un sequestro di persona. Qui Balestrini pratica una poesia civile, che pare lontanissima da quella di Pasolini, che, pur nella poesia civile stessa, manteneva un tono vagamente lirico, mentre quello del Nostro è caratterizzata da un amaro disincanto. Una poetica, quella di Sconnessioni, che, tramite il suo accentuato carattere sperimentale, si fa tout court esercizio di conoscenza, attraverso una cifra stilistica unica, originalissima, nell’attuale panorama letterario italiano. Una poesia oscura, quella del Nostro, caratterizzata spesso da forti accensioni e spegnimenti. Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma, presieduta da Velio Carratoni, che dirige le Edizioni e la rivista «Fermenti».
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