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Alessia e Mirta

Raffaele Piazza ha composto i 40 brani della raccolta di versi “Alessa e Mirta” (Ibiskos Ulvieri, pagg. 52, euro 12) come didascalie struggenti a immagini da trattenere nella memoria. Sono delle stazioni di sosta nel tempo, il delinearsi di momenti di vita vissuta con le due figure femminili – prima le 28 dedicate ad Alessia, poi le 6 che hanno per protagonista il ricordo di Mirta quindi le ultime 6 dove ricompare Alessia, ma in mezzo ci sono un paio di occasioni in cui si rintraccia coesistenza dei due profili, quasi a saldare l’intreccio in un unico piano -, pagine di un diario interiore il cui schema Valeria Serofilli subito rileva nella prefazione. E che cosa è un diario se non il referto di una riflessione su sé stesso, il documento dove depositare il proprio emozioni, il luogo letterario che accoglie i frammenti del tempo e prova a dare un ordine?

La linea che Piazza insegue appare in coerente sintonia con la poetica che lo muove. Se la ragazza Alessia si conferma la fonte e della sua scrittura poetica – “Alessia” è il titolo della raccolta del 2016 – ora Mirta viene a farle compagnia e insieme assumono il significato di figure, che attraverso il dramma dei rispettivi destini, portano a considerare il senso della propria esistenza e – precisa Serofilli – “questo conduce a considerazioni più generali che ci consentono di riconoscerci in lui, confrontando il suo mondo con il nostro e le nostre esperienze, sia belle che brutte con le sue”.

Il suo mondo traspare da quelli di Alessia e Mirta. Di Alessia si racconta in versi l’ansia della giovinezza, dell’amore, della gioia di vivere, della felicità sperata e intravista: si vede la sua stella “ai blocchi di partenza del campo animato che è l’esistere, in arcobaleno di bei sogni” e la si ritrova nell’epilogo del Ferragosto 2016 quando “previdente Alessia sotto si è vestita di nero”. Di Mirta si coglie l’amarezza della bambina di 44 anni “donna dei boschi e prigioniera del tuo film” che confessa “la vita è bruttissima”: non basterà l’amicizia tenera e sincera, gli incontri, le conversazioni, i pranzi insieme per evitare il suo suicidio, presago nelle pagine dell’amata Anne Saxton, “sei volata via dal terzo piano della Reggia e hai aperto in me la ferita”. Che è una ferita che si riapre, è la ferita che ha strappato il tessuto e sottratto l’orizzonte ai giorni. Ora detterà poesia, balsamo lieve per sopportare il presente.

Raffaele Piazza torna sui suoi temi, e non potrebbe fare altrimenti. La sua parola si affina nella precisione del dire, evocando immagini da conservare negli archivi più intimi che rappresentano un nuovo capitolo del suo canzoniere del tempo perduto.

Recensione
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