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Andar per versi
Il volume di Patrizia
Riscica Andar per versi è suddiviso in quattro
sezioni, ognuna delle quali prende in considerazione un tema specifico.
Nell’insieme, le quattro sezioni tracciano un itinerario esistenziale variegato
e ricco di emozioni.
Patrizia Riscica
inizia con il sentimento più importante, senza il quale la vita sarebbe un
viaggio sterile, e ci fa entrare nel mondo dell’amore. La sua voce si snoda con
la consapevolezza del versificare e denota un sentire contrastato che rispecchia
una situazione abbastanza comune: anche se l’amore sembra finito e non dà più
battiti accesi, conviene non cancellarlo. “L’amore rimase / perché sapeva
che, / nonostante i suoi stracci / i suoi buchi, gli strappi e / i pochi
rammendi, / copriva ancora il corpo / e scaldava l’anima”.
Secondo ciò che ha da
dire, la poetessa adopera una metrica differente: si lascia andare in versi dal
largo respiro oppure esprime il tutto con una strofa lapidaria. Si accosta
all’amore sempre con una certa diffidenza, quasi non volesse mai lasciarsi
afferrare completamente, forse per paura di soffrire. Nello stesso tempo, quando
ha la certezza di avere il cuore dell’amato in mano, si ritrae e lo allontana: “Come
posso nutrire il mio corpo / e bere avidamente le mie lacrime / senza la tua
assenza? / e la mia mente, / improvvisamente deserta / dall’ossessione di te,
impazzirà? // Allontanati, ti prego / non rispondere al mio richiamo”. È un
continuo dare e ritrarsi, non è mai una passione, anzi, si perde nella
insicurezza: “L’incertezza è cercare parole / per coprire la tua incertezza”.
Un abbraccio tuttavia può sempre riscaldare, come si evince nella lirica
“Ritorno”: “Alla fine ritorno / ai tuoi occhi che sanno guardarmi, / alla
voce che sa parlarmi, / e alle tue braccia stanche / che mi abbracciano stretta:
/ Ma basta così.” Solo l’amore per il figlio può fare il miracolo di un
sentimento assoluto, e nella lirica “My baby” Patrizia Riscica si apre senza
riserve: “Voglio imparare questo amore, / che, incurante della mia fragilità
/ ha invaso tutto lo spazio del mio cuore / e ha inghiottito avidamente /
l’avanzo di una manciata di anni”.
Nella seconda parte
“L’andare delle donne”, il dettato si fa ancora più pregnante e le figure
femminili si delineano nel contesto del nostro tempo, nella vita quasi assurda
che stiamo vivendo, nella forza di accogliere il quotidiano, nella cognizione di
avere un dovere da compiere: “donna, ora sai / cosa dover cambiare, / e
proprio in quel momento / capisci che non puoi / e non potrai mai. / /Ora sai /
che continuerai per sempre / a vivere così / dentro a un inganno consapevole”.
Diverse sono le introspezioni di Patrizia Riscica, che scava di continuo nel suo
animo fino a superare il limite del razionale e a darsi agli altri per un aiuto:
“Se hai perso il cammino, / resta stretto a me / gli spiriti bisbiglieranno
all’orecchio / conoscenza e turbamenti / soffieranno la magia dell’antico essere
/ e-così–forse-potrai-finalmente-riposare”. Anche l’ultima lirica di questa
sezione è dedicata a un affetto familiare, quello della madre. Nel lungo
componimento si abbandona completamente all’emozione e il verso assume un
andamento quasi prosastico. La figura materna appare in tutta la sua importanza,
quale faro per la crescita della figlia, ma nel contempo risulta una presenza a
volte soffocante: “Che fatica trovare un’identità / e quanti pianti, lotte,
contrasti per svincolarmi e poter / finalmente fuggire verso me stessa”. È
un’unione viscerale che provoca perfino uno sdoppiamento. Patrizia si riflette
nella madre: “Mi guardo invecchiare e lo specchio / mi rimanda anche il tuo
volto”. E, viceversa, “Intanto tu cercavi in me ciò che era in te / ormai
sbiadito, quasi illeggibile”. In questo modo, solo con la scomparsa della
madre la figlia può scoprire la donna che è diventata e agire secondo il proprio
sentire: “Così ora non esito più nella vita / raccolgo errori e meriti, / amo
come posso, / accetto rughe e stanchezza, / rincorro la preziosità di poter
essere felice e / ti penso con complicità”.
Nella terza sezione
“L’andare dell’andare”, Patrizia Riscica si libera di ogni vincolo o ricordo e
corre verso una meta senza limiti: “lascio / volo via / prendo il viaggio /
scelgo l’andare”. Non le importa conoscere dove andrà o quanto tempo avrà a
disposizione, sa con certezza che il viaggio inseguirà il suo destino.
Finalmente ha conquistato la pienezza interiore e può abbracciare il proprio
universo comprendendo che si deve vivere l’attimo presente: “Mangiare il
futuro / ha un tempo / inutile aspettare altro”. Non importa se nell’andare
vi saranno delle cadute anche rovinose, l’importante è non fermarsi.
Nell’intensa lirica “Urbs Picta” rivela appieno il suo intimo mentre,
passeggiando per le vie di Treviso, scopre ciò che prima non aveva mai visto: “scopro
con stupore affreschi magici / ghirlande di fiori e foglie, / delicate
fanciulle, amorini, / personaggi e animali fantastici, / poi incroci geometrici
che si allargano / e improvvisamente scompaiono / sotto coperture maldestre e
scrostate dagli anni". Niente può fermarla, anche se lungo un sentiero può
trovare ogni sorta di presenze e di materiali “gettati sul tragitto / di un
viaggio irresponsabile”. Lei va avanti imperterrita: “Tiro su col naso /
mi rimbocco le maniche / e faccio un altro passo”; sa che la sua acquisita
libertà può farle solo del bene: “l’acqua mi veste da sirena / guardo
l’orizzonte e / mi ubriaco di vita".
Nell’ultima parte
“Andare per la vita” Patrizia Riscica può scrutare fino in fondo il proprio
animo per conoscere finalmente se stessa: “Anima mia come ti tieni dritta
quando ti guardo, e come nascondi bene quello sfinimento / che a volte catturo
nel nero della pupilla”. Il mare è un elemento che appare spesso nei suoi
versi, forse per il continuo instancabile movimento che lo rende vivo e nello
stesso tempo misterioso. L’analisi considera pure chi vive il nostro tempo e
nella lirica “Urlo” sono elencati i vari sentimenti che costringono i nostri
cuori a una lotta continua tra il bene e il male, la gioia e la sofferenza: "Ecco
qui la lingua compresa da tutti: / l’urlo universale”. È un urlo che ricorda
il famoso quadro di Munch, dove il solo volto rende una disperazione infinita.
Patrizia Riscica pensa anche a tutto ciò che avrebbe potuto fare e non ha fatto,
ai momenti che ha lasciato scorrere nell’aridità di morti pensieri e comprende
di aver certamente perso qualcosa che non potrà più riavere: “quello che non
abbiamo afferrato / ma solo abbandonato / verrà raccolto altrove? / forse tra
secoli o pochi minuti / o mai per sempre?”. È pur consapevole che la fine
potrebbe arrivare senza preavviso, rendendo ancor più importante ciò che non si
è vissuto e si chiede come potrà essere l’ultimo atto della sua vicenda
personale, ma lascia tutto nel dubbio, anche l’amore: “L’amore è solo un
forte dubbio / e l’ultimo desiderio / si accuccia al centro del dolore”. In
questo stato d’incertezza i giorni continuano a scorrere veloci, portando
impressioni sia positive sia negative, e momenti di nostalgia. Patrizia Riscica
ha però il dono della scrittura e sa che le parole sono e saranno sempre il suo
punto fermo, cosicché il loro supporto sarà il motivo principale per continuare
ad “Andar per versi”: “Oggi l’aria fredda del mattino mi bagna le narici, /
mi strizza gli occhi. Accelero il passo-gioia-improvvisa / / un piede dopo
l’altro, sempre più veloce, più veloce, / ho tanta voglia di correre accanto
alla poesia”.
Questa nuova ultima
raccolta di Patrizia Riscica è un ulteriore conferma di un sentire maturo e
profondo, che si esprime mediante l’abilità di trattare la parola poetica con
maestria. Un libro dunque che suscita un sicuro impatto emotivo e coinvolge
totalmente il lettore.
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Recensione |
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