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Ganymede e la notte dei cristalli

Una visione riflessiva e amara di una vicenda reale in cui, come sempre, miseri e potenti, travolti dall’irrequietezza per la loro condizione, diventano pedine inermi nelle mani di un imperscrutabile destino che fa la storia.

Probabilmente non esiste nessuno che non si sia trovato qualche volta di fronte ad un bivio, costretto a scegliere tra l’individualità, anche a costo dell’emarginazione, o l’annullamento del sé in una massa globale ed uniforme, che ignora il singolo e detta le regole del gioco, si chiami essa società, necessità del divenire storico, movimento di pensiero, moda, esigenza di sopravvivenza e quant’altro.

Questo conflitto affligge anche l’esistenza del giovane protagonista Herschel già all’inizio del romanzo, in un prologo carico di tensione, nel quale l’immagine del bivio interiore trova esplicita raffigurazione nell’incertezza tra due strade reali, che evidentemente porteranno a destinazioni ed a conseguenze diametralmente opposte: e pare che, qualunque sia la scelta, essa si rivelerà sbagliata. Herschel non sembra ancora aver maturato la forza interiore per affermare la propria personalità e quindi la prima preferenza, pur sofferta ed incerta, cade sulla via che gli garantirebbe l’anonimato del contesto collettivo (i kibbutz creati dal movimento dell’Haganah). Tuttavia ben presto si pente: le ragioni dell’individualità paiono, se non affermarsi, rivelare almeno la loro presenza, precipitando a poco a poco l’incerto protagonista in un gioco più grande di lui, la cui incapacità di farne parte lo ridurrà di nuovo ad un anonimo numero di un gruppo, più ristretto ma similmente oppressivo sul singolo. Il suo errore è credere che alla fine di questo appiattimento ci possano essere i margini per affermare la propria individualità, percorrendo la via della legittima aspirazione ad una dignità umana, negatagli dalla sua condizione di clandestino irregolare, e ad una collocazione nella realtà del suo tempo e in quella società. E la soddisfazione di tale aspirazione, il permesso di soggiorno e l’apertura di un negozio tutto suo a Parigi, è potenzialmente possibile, ma a prezzo di altissimi, forse insostenibili rischi.

La forza drammatica di questo conflitto interiore, peggiorato dal fatto che ogni decisione assunta può rivelarsi fatale per il futuro, trova espressione nell’efficacissima, martellante sintassi, secca, ricca di pause che rendono oltremodo angosciante il quadro che apre la scena: un giovane uomo in gabbia, chiuso fra quattro sporchi muri per paura, ma soprattutto chiuso dalle mura della sua paura, certamente inevitabile in un ebreo polacco clandestino a Parigi alle soglie del secondo conflitto mondiale. È la paura di assumere una qualunque posizione, della propria condizione di emarginato alla ricerca di una vita migliore da un lato e di dissimulatore della propria natura sessuale dall’altro: il pericolo sovrasta l’uno e l’altro Herschel, sotto la forma della polizia francese in caccia di clandestini da una parte, e, dall’altra, della comunità ebraica che fonda la sua forza su un’ortodossia religiosa e morale, nella quale non troverebbe affatto posto un omosessuale dedito alla prostituzione.

Ma in questo momento la storia non è ancora giunta all’orizzonte: il dettaglio si aprirà a poco a poco verso un campo medio (finalmente Herschel, dopo giorni di clausura, troverà il coraggio di uscire) che mostrerà uno spaccato inquietante, torbido, opprimente della realtà del tempo, con un lieve, geniale tocco di fatalismo - elemento che percorrerà tutta la storia - se non di vera e propria magia, nell’indimenticabile figura della zingara. E poi, gradualmente, si aprirà la panoramica sul cupo contesto storico, caratterizzato da una febbrile ma immobile tensione, della quale sono specchio efficacissimo i turbamenti psichici, i rivolgimenti emotivi, il tormento interiore che confonde i pensieri del protagonista, attento ad ogni mossa, ogni parola, ogni minimo particolare sospetto attorno a lui, sconvolto dall’idea di essere riconosciuto come ebreo dai francesi e come omosessuale dagli ebrei. Questa spirale perversa che si attorciglia attorno alla sua vicenda umana sembra l’immagine delle spire demoniache che avvincono tutta la realtà di allora, pronta a precipitare in un baratro senza fondo.

È un paesaggio spaventoso quello che lentamente si muove attorno a lui, un meccanismo che, con una sorta di effetto domino, ad onde concentriche, si allarga a dismisura: le amicizie, l’amore attivo e passivo (Herschel è amato da una donna, consapevole forse della verità ma disposta ad accettarla pur di condividere con lui un ideale nazionale e politico, più che un benessere interiore ed emotivo), le aspirazioni, i desideri, i tormenti - tutto si tinge di un colore offuscato, grondante di angoscia e di morte: Simon è tubercolotico e tutto ciò che riguarda la sua malattia è descritto, con gli occhi di Herschel, come qualcosa di disgustoso; il prete, inconsapevole (o forse no) causa del tracollo degli eventi, sotto il manto della rispettabilità clericale, cela un duplice abisso morale, privato e politico; i colleghi di Herschel, in particolare Étienne, paiono figure che aleggiano leggere in una sorta di danza macabra, e così la spettrale Parigi, che sembra attendere, immersa in un’autunnale, antica atmosfera quasi cinematografica, in bianco e nero, la catastrofe ormai prossima.

E potenzialmente cinematografica è tutta la storia, per la sua componente di intrigo internazionale, per l’inquietudine che la percorre interamente, per la vivacità del rapido ma pregnante scambio dei dialoghi, attraverso i quali si delineano caratteri, immagini, situazioni che rendono i principali protagonisti, siano essi frutto della fantasia dell’autore o storicamente reali, indimenticabili figure a tutto tondo.

Gli eventi precipitano perché la storia, incarnata del ministro nazista Goebbels, muove i suoi passi verso l’appuntamento fatale con l’inconsapevole individuo che crede di percorrere la propria strada e percorre invece quella segnata dal destino. Ma anche il potente è schiavo della propria condizione, poiché ha la necessità di agire per uscire da una situazione di staticità che lo rende inquieto e soprattutto timoroso di perdere una posizione di preminenza e privilegio. Anche nel ministro, il flusso dei pensieri, pur sotto la patina di una forma impeccabile, rivela un intenso rivolgimento interiore, un’angoscia che lo rende vulnerabile e, come tale, disponendo di potere, pericolosissimo: si veda la studiata ma patetica manovra con la quale in un paio di occasioni tende a celare la propria infermità fisica; si veda l’ossessione con la quale paragona la propria situazione e quella del rivale Himmler, a testimonianza che anche quello, che appariva esternamente un meccanismo formidabile per unità e potenza come il governo del Terzo Reich, in realtà era minato dal suo interno, poiché anche i suoi più leali e convinti servitori sapevano di camminare sempre sul filo del rasoio della volubilità del dittatore. Emanazione della lucida contorsione psichica di Goebbels sono i suoi collaboratori, da Huber, la cui personalità si caratterizza proprio per mancanza di personalità, classico esempio di collaboratore prono ai voleri del capo di fronte a lui, efficiente per convinzione ma anche per calcolo ma, appena lontano dal suo diretto superiore, probabilmente uguale a coloro che - collaboratori di Himmler - concerteranno l’azione col suo rivale per dare lustro a questi, ed usufruire anch’essi degli eventuali vantaggi, ai danni del loro ministro.

Come non sta bene Herschel, così non stanno bene questi uomini di potere, incatenati ad un ingranaggio perverso che li priva della loro individualità, e così non sta bene Goebbels; ma se l’azione del giovane ebreo, funzionale al disegno politico e storico, porterà conseguenze nocive solo a lui stesso, e non tanto giuridicamente quanto umanamente, l’azione di quest’ultimo, potente scelto dal destino per muovere i meccanismi della storia, sarà brutale e devastante, con la beffarda aggravante di essere ornata dalla famosa espressione quasi poetica con cui è passata alla storia, tragico preambolo al tremendo conflitto che inizierà meno di un anno dopo.

In questo dualismo trova spiegazione anche l’ingegnosa articolazione architettonica del romanzo, grazie alla quale le due storie parallele, destinate inevitabilmente ad incontrarsi ed a determinare i tragici eventi ricordati dal titolo, si sviluppano in un’alternanza continua tra i capitoli dedicati all’uno e quelli dedicato all’altro protagonista, la vittima e il carnefice, lontani e sconosciuti l’uno all’altro: una sorta di tragico rimbalzo, in un continuo mutare dello scenario per Herschel e in un ritorno costante, ossessivo, inquietante all’ufficio di Goebbels, unico luogo visibile nel contesto della parte tedesca, la stanza dei bottoni, dove domina la descrizione degli oggetti d’arredamento che riflettono il mutevole stato d’animo del ministro, vera cabina di regia dalla quale si dirige tutta la vicenda. Tutte le vicende accessorie riguardanti la trama ordita da Goebbels, infatti, dalle più intricate alle più plateali, dalle più clamorose alle più segrete, vengono conosciute solo perché riportate da qualcuno in quella stessa stanza. La felicissima disposizione costruttiva della narrazione trasmette quindi l’impressione quasi fisica che il giovane protagonista, dovunque vada e qualunque cosa faccia, sia incatenato all’ufficio del ministro, che incombe su di lui come una cupa, angosciosa ombra. In questa disposizione a quadri alternati si intuisce la teatralità della scenografia nella quale si svolge il dramma e, in effetti, le figure dei due antagonisti assumono, nel loro inesistente contatto reale ma nella loro fortissima relazione, una fortissima componente tragica nonché una valenza filosofica sull’esistenza umana e sulla sua vanità di fronte al vero potere, quello del destino, che invita ad una profonda quanto dolorosa meditazione sulle ragioni di tanto affanno, tanto odio, tanta miseria.

Infatti, in questo inestricabile ma limpido intersecarsi delle due storie, emerge con un’evidenza a tratti brutale come le vite dei singoli siano avviluppate dal corso degli eventi epocali, e risultino perciò prive di una vera libertà: la struttura formale del romanzo intrappola irrimediabilmente Herschel, come la proiezione della gabbia interiore che egli stesso si è costruito con la sua indecisione, ma anche Goebbels e i suoi, prigionieri di un folle meccanismo burocratico, politico, cortigiano che essi stessi hanno creato, chiusi sempre, come si diceva, nella medesima stanza.

È come se su tutti incombesse la lunga ombra del “Fatum” di latina memoria, quel corso degli eventi preordinato da una volontà imperscrutabile che travolge tutto e di fronte al quale anche i cosiddetti potenti della terra diventano semplici pedine che si possono spostare, sostituire, abbattere con un soffio: l’inquietudine del potentissimo Goebbels non è poi alla fine tanto distante dall’irresolutezza di Herschel, e gli scopi di entrambi collimano nella conquista di una propria realtà migliore, il primo per timore di perdere la posizione e i privilegi acquisiti, il secondo per uscire da una condizione misera e pericolosa.

Il “Fatum” decide gli eventi della storia e quindi ogni scrittore che affronta il romanzo storico è chiamato ad un confronto non solo con le cause e gli effetti degli eventi ma con quell’elemento irrazionale ed insondabile che li indirizza e che si potrebbe definire anche coincidenza o casualità. Proprio in quel momento il ministro Goebbels ha bisogno di un’azione dimostrativa per ingraziarsi ulteriormente Hitler; e in quegli stessi giorni, Herschel, ormai esasperato, decide di prendere una strada apparentemente sicura e che si rivelerà invece irta di pericoli e destinata a travolgerne la vita più intima e privata. Attorno a questi due protagonisti, si muove una schiera di personaggi che contribuiscono ad arricchire lo scacchiere fatale di pedine più o meno determinanti; soprattutto, coloro che appartengono all’universo del giovane protagonista spiccano, in rapporto a lui, per la loro maggior forza, tenacia, capacità di iniziativa e di lotta, talora spregiudicatezza, lasciandolo irrimediabilmente solo, mentre quelli che soggiacciono agli ordini del ministro offrono un’immagine di efficienza e servilismo (specialmente il già citato Huber, nella costante attenzione con cui sorveglia il capo per intuirne i pensieri e dare le risposte che questi si aspetta) che racchiude in sé l’ascesa e il declino, la forza e la debolezza del Terzo Reich, come di qualunque tirannide.

Elementi di unione fra due mondi così diversi sono gli agenti segreti nazisti a Parigi, cinici e spregiudicati nella loro diversità: gentile, cordiale, accomodante quasi, il primo; spietato, brutale, intransigente il secondo; sono davvero i due volti con cui il destino entra nelle vite, le collega, le relaziona e crea i grandi eventi della storia, ora sotto forma di rivoluzioni, battaglie, movimenti di pensiero innovatori, ora nascoste sotto i meandri di un intrigo politico internazionale come in questo caso in cui, tra l’altro, la vera vittima sacrificata (il funzionario Ernst vom Rath che il caso, destino o altro vuole che sia stato anche l’amante di Herschel) è del tutto ignara di essere stata prescelta come pretesto per consentire ai tiranni di scatenare la loro rappresaglia preparatoria ai funesti eventi successivi.

Oggi come allora, l’inquietante ombra dei meccanismi sociali e politici, della burocrazia o del conformismo, dei giochi di potere come delle trame segrete, si estende sull’individuo, potente o debole che sia. La realtà storica, così ben evocata, sembra rimasta immutata nel tempo fino ad oggi, momento in cui ancora, come sempre, pare intraprendere una guerra contro l’individuo. Il destino prevarica sulle esistenze, servendosi di altre esistenze non meno schiave, in un gioco al massacro la cui posta è la storia dell’intera umanità: tutto cerca di negare all’uomo la sua individualità, a quell’uomo che non può vivere senza gli altri ma dai quali la vita gli viene limitata quando non soppressa.

Rimane l’amarezza di dover accettare l’inevitabilità dello smarrimento e della solitudine del singolo (che potrebbe essere ciascuno di noi) di fronte all’inarrestabile procedere della storia, mostruoso volere di un’entità (caso, destino, divinità?) al di sopra di tutto e tutti, che riduce ogni esistenza al ruolo di puro ingranaggio di un sistema da sempre e interamente contro di lei, unico vincitore e sopravvissuto in un mondo di soli vinti.

Treviso, 25 febbraio 2014

Recensione
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