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è la Fede che salva
“Siamo marionette che recitano un copione già scritto
nel destino”. E’ stato come lanciare un sasso nello stagno e c’è
stata anche questa obiezione: “Non credo a questa affermazione, non gradisco
essere una marionetta e voglio fare a modo mio!”. Al che il relatore non ha
né contraddetto, né condiviso, ma così precisato: “Piaccia o non piaccia
essere una marionetta, cambia poco; si può usare un altro nome, invece di
marionetta. Sono comunque convinto che il destino è già scritto e io ci tengo
alla mia recita, perché possono esserci marionette di tanti tipi. Io cerco di
recitare la mia parte con convinzione cercando di capire quel che faccio per
interpretare il mio ruolo nel modo più adeguato possibile”.
Quante volte si agisce meccanicamente, spesso in modo
automatizzato, senza renderci conto di quello che stiamo facendo, come se il
cervello non fosse connesso con il nostro agire. Inoltre sembra che l’evolversi
del nostro “progresso” ci induca ad essere sempre più dei robot, piuttosto che
delle persone pensanti. Purtroppo senza fede, che sta diventando merce
sempre più rara, e senza la coscienza di essere consapevoli dei nostri
comportamenti, si perde sempre più il contatto con la realtà. Ritengo
fondamentale, pertanto, ripensare il significato della nostra vita, per dare
vita e significato al trascorrere del nostro tempo, in particolare ripensare e
aggiornare il significato di cose già fatte o dette, o scritte da noi stessi:
per comprenderne i mutamenti nel tempo che tutto trasforma e per non smarrire la
nostra identità.
“E’ la Fede che salva”: l’ho scritto all’interno
della copertina dell’opuscolo “Le Sabbie nel Deserto”. E’ riferito a mio nonno
Sandro, soldato-contadino sorretto dai valori della sua fede, mandato senza
possibilità di scelta alla conquista della Libia (1912) “perché così a loro
veniva comandato”. Lui sparava in aria per spaventare i turchi (o dei
fantasmi) durante le notti insonni: “Mai ucciso nessun turco. Anche loro
erano persone da rispettare, anche loro a casa avevano una famiglia e dei figli
da mantenere”. Ecco il senso della vita: “Ogni persona non vive e non
lavora per se stessa, ma per la famiglia da governare”. Fede nella
continuità della vita da garantire attraverso le generazioni future. “Mistero
che viene svelato dalla fede nella salvezza, che mio nonno abbinava ad una
profonda preghiera: Signore fa che io realizzi non la mia, ma la Tua volontà.
Fede nel mistero divino su cui poggiano le umane certezze: perché l’umano e il
divino diventino una cosa sola”.
Ho espresso questi concetti anche in altre riflessioni, che
sono in relazione al paragrafo introduttivo (recita di un copione già scritto
nel destino). Da “Il Nulla e il Tutto”, Carta e Penna Editore Torino 2009,
riporto dal brano “La vecchietta di nero vestita”: “C’è un progetto divino
per ogni uomo: sta ad ogni creatura scoprire il proprio ruolo senza anteporre la
propria volontà a quella del suo Creatore”. Dopo la parafrasi : “Nella
tua semente il tuo grande albero è già compreso”, viene citato un fatto
realmente accaduto nel 1982, che evidenzia come a volte lasciarsi illuminare
possa sortire esiti migliori rispetto alle personali competenze e convinzioni. “Sei
una scintilla di luce divina che brilla di più e meglio se sei in armonia con la
luce eterna. Non sarai mai tu a decidere perché tutto è già, anche se non
è ancora manifesto”. E ancora: “Sei come un treno che corre su dei binari
già esistenti. Tu passi nel tuo tempo su uno spazio che ti è stato assegnato e
puoi solo scegliere cosa caricare e cosa scaricare dai tuoi vagoni”. Da “Il
Soldato Peter Pan” riporto: “Quando i disegni delle creature non sono
allineati con il disegno del Creatore, diventano carta straccia. E la storia li
travolge, li capovolge come un calzino”. “La prima guerra mondiale è l’epilogo
di una recita, mentre l’Ossario di Cima Grappa è uno dei luoghi della memoria,
dove anche il soldato ungherese Peter Pan è suo malgrado protagonista”.
Segue l’esperienza drammatica di questo soldato, unita a quella dei “22910
soldati immolati per un ideale fittizio, inculcato dalla propaganda di chi
deteneva il comando: un ideale non nato dal cuore. Era un ordine a cui
obbedire e per cui morire”. “Ora il suo corpo riposa fra le migliaia di
giovani, unito dall’abbraccio della morte nell’unica “Patria” che tutti
affratella. I disegni imperfetti degli uomini saranno trasformati “Ut Unum Sint”,
affinché ognuno alla fine del proprio tempo sulla Terra viva nel Regno
dell’Amore in una nuova Creazione, dove in cieli nuovi e terra nuova ci sarà la
Comunione perfetta di tutto il Creato”.
Analoga la testimonianza di “Ciano” (Luciano Piotto,
fratello di mio nonno Alessandro), anche lui morto durante la prima guerra
mondiale. Dal mio libro “Vai Ciano: muri e tasi! La vita trasformata” Carta e
Penna Editore 2015. “Mi a me casa no a vedarò pì (non rivedrò
più la mia casa), questo era il presentimento che Luciano Piotto covava dentro,
cercando inutilmente di non esternarlo, mentre con la valigia di cartone in mano
salutava i suoi cari, usciti dalla casa bassa e lunga situata in Contra’ Barina,
dopo l’ultimo abbraccio prima della partenza per la Grande Guerra”. “In lui
dominava il senso del dovere per la patria perché così lo avevano plasmato a
scuola, così rimbalzava con eco espansivo la propaganda del governo. Eppure una
voce interiore, quel presentimento dell’io invisibile che va oltre la materia,
mandava segnali inascoltabili. Erano come fuori dallo spettro percettibile del
limite congenito dell’umana esistenza. Luciano aveva nel suo intimo (io
invisibile) il presentimento inconscio di non rivedere più la sua amata casa, i
suoi amati famigliari, le sue attività contadine nei lavori dei campi e le
speranze di un ventenne cresciuto e radicato nel suo territorio, che sognava
tanti progetti e una famiglia e un’altra generazione. Niente. Tutto ciò pesava
meno del senso del dovere per la patria”. La stessa sensazione di impotenza
sovrastava anche sua madre Catterina, suo padre Giuseppe e tutti i membri del “gavasso”.
“Sono tutti come storditi, obnubilati dall’evento, impotenti a dire: Luciano,
perché lo fai ? Torna indietro ! Il destino è già scritto e tu non ritornerai
più fra di noi ! Ma a che serve dirlo ? Lo sanno tutti, Luciano per primo. Tutti
lo sanno, tutti lo accettano in silenzio. Vai Ciano : Muri e Tasi !”.
Luciano muore il 19 settembre 1916 in Valsugana, mentre il 28 giugno 1915 aveva
scritto una lettera autografa, inserita nel libro, comunicando a “Genitori,
fratelli, sorelle, famiglia unita” la sua successiva morte in combattimento.
“Le sue spoglie mortali erano diventate immobili, fredde e mute, ma il suo io
invisibile incominciava a parlare più forte e più chiaro perché era stato
liberato dal suo limite congenito. Gli diceva che la partita in questa vita
terrena appariva persa perché il fallimento dei personali e collettivi progetti
umani era evidente, ma lui aveva sempre giocato e continuava a giocare bene lo
stesso. Fallo sempre finché puoi ! era l’ammonimento di questa certezza
misteriosa. Luciano si lasciava illuminare dalla luce interiore … mettendocela
tutta per giocare bene”. Ora “Luciano era libero di volare con ali di
vento nell’Infinito e sapeva molto bene dove andare perché la sua risurrezione
aveva penetrato e redento la trama nascosta di questa vita. Il suo io invisibile
era accanto a sua madre, che lo aveva generato nella dimensione terrena, e le
dava conforto”. Signore, insegnaci ad amare ! Luciano vive in chi lo ama.
“Le stesse sensazioni impregnavano i sentimenti anche agli altri componenti del
“gavasso” e Luciano era spiritualmente presente dappertutto e con tutti,
incarnandosi in loro”. “Sì, perché la patria e il senso del dovere e
dell’ubbidienza non sono mai sentimenti sbagliati per coloro che li vivono con
amore. Il limite congenito dell’uomo può far commettere degli errori perché la
umana ragione ha il torto di voler capire “oltre”. E’ la mente che mente,
fidati del cuore! gli suggeriva la sua luce interiore perché è la fede
ispirata dall’io invisibile che sovrasta questo limite umano e riesce a
comprendere oltre”.
Siamo in cammino verso una nuova rinascita, pellegrini di
speranza aggrappati alla nostra croce, che ci fa sentire vivi nella gioia e nel
dolore. Questa vita è un percorso di emozioni e l’emozione più nobile è l’amore.
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