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eppur felice te che al vento
Con questo libro Bartoletti aggiunge un altro tassello al tenace
lavoro di scavo nella memoria che ha iniziato già da qualche tempo con un impegno
che direi totale ma non sorprendente. Infatti in un bel libro di una decina di
anni fa (Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade) si leggeva: “La
memoria sorregge le parole / e le nutre, dando a esse / il senso della vita, /
la radice di ogni verità”. Il presente lavoro si pone quindi in stretta
continuità con quel libro come con quelli più recenti, tanto che potrei
riscrivere ciò che dissi in quell'occasione. Sappiamo anche che da lui non c'è
da aspettarsi una poesia non diciamo “pura” ma neanche formalmente ineccepibile.
Bartoletti stesso ne è convinto per primo poiché scrive (p.33): “la poesia, se
può essere poesia questa, nasce dove la morte non può avere l'ultima parola”.
Confesso che sarei tentato di riscrivere questa massima senza tradire il
pensiero dell'autore: la poesia [...] nasce perché la morte non possa avere
l'ultima parola. La sua è una lingua semplice, antiletteraria, tutta cose;
conseguentemente il suo genere di scrittura è scorrevole, fluido, senza filtri;
il che comporta rischi evidenti di prolissità. Genere ibrido perché sospeso tra
poesia e prosa (ma, in verità più incline sul secondo che sul primo versante,
perché il discorso predilige l'effusività prosastica di stampo
descrittivo/narrativo rispetto alla concentrazione e alla contrazione della
lirica). La riprova di ciò è fornita anche dalla presenza di prose vere e
proprie.
La memoria, è risaputo, è una funzione fondamentale della mente
umana da cui l'attività letteraria non può prescindere. Opera in maniera
selettiva, ma non direi che Bartoletti la diriga in questa direzione. Il suo
lavorio appare talmente dispiegato da frugare in ogni angolo, da stanare ogni
frammento di vissuto proprio e altrui. I volti non hanno più nome si intitolava
una raccolta di quattro anni fa. Qui al contrario i volti delle persone care
riacquistano non solo il nome, ma una figura e una identità piena evidenziate da
gesti, comportamenti, azioni. Allora chiediamoci: perché questa affettuosa
rassegna di familiari, amici, compagni e conoscenti che sono entrati per poco o
per tanto nel raggio esistenziale dell'autore? Perché l'autore non si rassegna
alla loro scomparsa: sicché facendo scorrere all'indietro la macchina del tempo
si riappropria anche della propria vita e tiene in scacco la morte di cui
l'oblio sarebbe una inaccettabile anticipazione. Tra le figure che restano nella
memoria di chi legge v'è quella dell'amico Dante, ragazzo vivacissimo e tifoso
accanito che alle soglie della vecchiaia si lascia cadere nel fiume dove aveva
felicemente pescato insieme all'autore. Ma i testi più notevoli sono, a mio
avviso, quelli in cui la fluvialità memoriale si concede una pausa per dare
spazio a più intimi ripiegamenti e trasalimenti, come ad es. Una serata
qualunque (p. 20) dove la Stimmung malinconica fa tutt'uno col paesaggio
cittadino, con l'anima delle cose e il loro grigiore, terminando con versi
scanditi di chiusura alla speranza di sole e quindi di vita (“Cade lenta la
pioggia, adagio, da ore,/ come sempre, come sempre”).
Insomma il cuore della scrittura bartolettiano è una malinconia
immedicabile, già affiorante nel frammento pascoliano posto a titolo di una
pagina del libro come dell'insieme. Il lacerto pascoliano (tratto come è noto
dall'Aquilone, una poesia che una volta si mandava a memoria) può trarre in
inganno facendo pensare a morti premature di fanciulli in fiore. Non è così,
perché la morte non seleziona certamente le sue vittima eppure questo titolo
crea già un'atmosfera di mestizia, di non rassegnazione alla fatalità. Se
l'omaggio al romagnolo Pascoli dal romagnolo Bartoletti è in questa circostanza
esplicito va pure notato che esso circola un po' dappertutto. Ad esempio, il
tema dei morti, fondamentale nell'autore di San Mauro è un insegnamento che
passa nell'autore di Sogliano al Rubicone che lo declinerà ovviamente in
modalità tutte sue e personali. Che dire poi dei suoni di campane, di strade
spazzate dal vento? L'eredità pascoliana si avverte spesso: è come l'aria che si
respira. Ma non mancano altri poeti, a cui l'autore carpisce qualche verso
fondato sull'idem sentire. Tuttavia, malinconia a parte, è per me indubitabile
che l'amore della vita unitamente a quello della poesia hanno accompagnato la
ricca vicenda umana di Bartoletti e l'accompagneranno ancora.
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Recensione |
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