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Liturgia delle ore
L’impressione immediata che si ha aprendo
questo libro è quella di una poesia diaristico-cronachistica e come tale di
potenzialità conoscitive limitate ad un’esperienza esistenziale strettamente
individuale. Per il suo marcato autobiografismo il livello
contenutistico/circostanziale fa ovviamente aggio su quello formale. Ma se si ha
la costanza di proseguire nella lettura ci si accorge che le cose non stanno
esattamente così. Anche in questo caso si potrebbe dire che niente è come
sembra.
Anzitutto il titolo. Letteralmente parlando la
liturgia delle ore consiste nella recitazione di salmi che ogni sacerdote deve
effettuare in particolari momenti della sua giornata. E’ una sorta di preghiera
ripetuta ad orari fissi: un dovere più che un piacere. Da parte sua Consolo
riempie laicamente le sue giornate con una recita poetica che ha il carattere di
una sostanziale ripetitività. Ma il titolo pone anche la questione del tempo.
Qui l’io patisce il tempo, infatti nonostante il suo alternato e ciclico
trascorrere, scandito testualmente dalle precisazioni temporali, non cambia la
condizione esistenziale del soggetto, legata ad una silenziosa solitudine e
priva di rapporti familiari e sociali di un qualche rilievo, salvo un’eccezione
di cui dirò più sotto. Ecco allora che la messa sulla carta di sequenze verbali
che formano testi e successivamente raccolte di libri rappresentano una forma di
prepotente rottura di quel silenzio e di affermazione di una esistenza ancora in
qualche modo vitale. Liturgia delle ore è l’opera omnia in cui Consolo ha
raccolto i quattro libri via via pubblicati nel corso di un decennio.
Leggendo
questo libro dalla prima all’ultima pagina si può constatare la sostanziale
continuità delle strutture formali in cui l’autrice trasfonde il proprio
asfittico mondo interiore e assistere allo spegnersi graduale dello slancio
vitale connesso all’età giovanile (almeno relativamente) dell’io, sino alla resa
senza condizioni all’ineluttabile. Ma la fiammella della poesia continua ad
essere alimentata e a mandare la sua fioca luce perché essa è diventata la sua
unica ragione di vita.
Quella di Consolo
è una poesia/prosa in quanto non solo i versi tendono alla lunghezza del rigo
prosastico, ma anche il lessico e la sintassi appartengono alla sfera della
lingua comunemente parlata o scritta. Consolo rasenta volutamente il grado zero
della scrittura (come potrebbe fare diversamente se il suo vivere si avvicina
al grado zero della vita?), ma di quando in quando sa sollevarsi dalla piatta
superficie di una costante dizione monologica con increspature affidate
all’icasticità di un’immagine (il grido delle rondini, una presenza animale o
umana inaspettata, ecc.) o a un risentimento lirico o una improvvisa concisione
gnomica. Temi ricorrenti che come correnti carsiche attraversano il sottosuolo
testuale sono l’amore materno e la meditazione sulla morte e sui morti. Ad un
certo punto, com’è naturale, il primo confluisce nel secondo, ma prima e dopo si
riveste di note caldamente affettuose e intenerite in quanto unico essere umano
destinatario di amore (si veda la sezione In memoriam che, collocata nel
prima raccolta consoliana, ha un indubbio e rilevante spessore poetico per il
fervido calore che la sottende); sul secondo si fanno ricordare spunti e
notazioni non scontati (“i morti / lasciano sempre dei rimorsi”, p.115).In
conclusione Consolo ha avuto il coraggio di trasferire sulla pagina una
esperienza vitale che è esattamente il contrario della “vita inimitabile” di
D’Annunzio, con l’acuto timore dell’inutilità della propria vita, il dubbio di
essere vissuta invano; elementi decisamente drammatici se non tragici che
trovano almeno un parziale riscatto o una forma di oltrepassamento in una fede
cristiana combattuta ma tenace e in un’altrettanto combattuta e tenace fede nel
valore intrinseco al suo messaggio poetico.
25 novembre 2014
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Recensione |
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