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Dal fondo dei fati
Titolo fortemente evocativo per una silloge di rara compiutezza, tanto da
meritare il “Fiorino d’argento” alla XXIII edizione del Premio Firenze 2005.
Patrizia Fazzi si dimostra poetessa completa, capace di piegare le potenzialità
della lingua e della tecnica poetica ad un fluente ed accorato canto, che non
trascura quasi nessun aspetto della vita. La Vita che scorre nelle nostre vene
ma anche nella natura, in ogni inno e ricamo e anche nel dolore, anzi nel dolore
si rigenera.
Sono otto i tempi della silloge, altrettante sezioni, fra cui quella che da
il titolo alla raccolta. Primo è il tempo dell’anima, di guardare dentro
all’incanto riposto in noi; quindi il tempo della vita “vivenda”, con i fremiti
del corpo, lo splendore dei giorni e “piega non stirata” di un’esistenza
nascosta. Viene anche l’ora del “Vero viaggio”, con intense liriche di
paesaggio, non attraversato ma assorbito avidamente e trattenuto. E poi il tempo
scandito dalle stagioni con le loro fioriture e inverni. “dal fondo dei fati” è
invece un canto per l’amore, gli affetti, tutto ciò che, essendo come noi
mortale, è soggetto a eterne leggi di passaggio.
Le tre sezioni
finali sono tutte dedicate ad una riflessione sulla poesia e sull’arte:
l’autrice si confessa e offre la sua “anima sul foglio”, ripercorre le lezione
di uomini di cultura e infine lascia libero spazio al “Vento della poesia” che
fa muovere “Parole torcia che risalgono meandri | guizzano come fochi fatui
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sul cimitero dei sogni”. | |
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Recensione |
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