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Nelle lunghissime,
roventissime, dolentissime
Lettere di Pirandello
a Marta
Abba –
insensatamente poco esplorate – il
sommo
Maestro,
sommamente
innamorato
della sua giovane prima
attrice, la lombarda Abba (gli
occhi sporgenti.. la bocca risoluta
e carnosa, e un bel
mento di ostinata)
che tiepidamente e interessatamente corrispondeva,
condensa e compendia,
in un epistolario che non ha eguali nella nostra
letteratura, la
summa
di una passione amorosa
illimitata e illimitante: abbandono
fiducioso e sottile
perfidia ricattatoria, esaltazione e scoramento, tormento e appagamento,
travalicamento e
contenimento. Lo stesso trasporto, con morbidezze declinate
tutte al femminile, la
stessa, ricchissima, unicità di voce, sembra rinvenirsi – nell’eleganza
stilizzata di
contrattura di verso – nel poemetto
Dell’amore,
ultima, felicissima
uscita di Anna
Magnavacca, poeta nota dalle tante, meritate affermazioni.
Poema esile per
paginatura, ma potentissimo per ossatura contenutistica e collaudata dominanza
lessicale e stilistica. Per il tramite di una fermentata carica scritturale, levigata da un uso
aggettivale minimale e finitissimo, Magnavacca edifica e vivifica
catturanti
inquadrature, dal mobilissimo effetto filmico e sequenziale, dove l’ordinario,
domestico e quotidiano,
si trasmuta in straordinario amoroso,
so che l’amore
non dà spiegazioni,
totalizzante
e tormentante,
e il tarlo tornerà a
rodere | il mio
cuoreamore e la mia
pelle. In
tensione che mai decresce, mai decanta, ma – sapientemente –
calibra e indirizza i
codici poetici: pronuncia chiara di un accurato e sedimentato
labor
di
limo e raschio,
caro a un Flaubert in forma massima. Tutto svolto per
istanze separate ma
concatenate, con lievi –sostanzianti – accenni al mito, al dramma,
alla farsa, alla
pochade,
in notevoli alternanze fraseologiche e azionali.
Focus of narration,
angolo di ripresa privilegiato, nucleo fondante e fecondativo,
protagonista assoluta,
è la donna; Penelope (La mia porta di casa |
né si apre né si
chiude. | non cambio
stanza) e
Diana (vestirò io armi di fuoco | calzari appuntiti | e al
posto dei cembali il
corno di Orlando),
in pari grado. E, ruolo primo, madre che stringe
al seno il figlio
con qualche
soffice dolore.
Donna sempre e comunque,
giornata
settembrina | che non
si dimentica,
in cui si baciano
furia e mitezza,
e che, in schiarita
di chiusa, detta le
regole e ricompone il giuoco. Trionfando. Agile e suadente è il
verso: ricercato,
affinato e puntualizzante in taluni passaggi, libero e vagante – in
arpeggio di
punteggiatura a sospendere – in altri, a imprimere sulla pagina, e farne
immagine dicente, quel
canto
d’emergenza dei pensieri
generato dal memorabile
sentire
di Celan. E davvero si
avverte l’esigenza, quasi urgenza, dello scrivere in questo
poema; esigenza che è
propensione e piacere mai fine a se stesso – come coltivare le
orchidee, direbbe Rex
Stout – ma funzionale a un processo di decostruzione e di ricostruzione
gemmante. Per
addivenire e farsi parte, interagente e integrante, di quel
luogo dell’anima,
vivente ed esprimente in totale assenza di dimensionalità spaziali e
temporali, dai molti
alfabeti ma dall’unica pronuncia: poesia. In
Dell’amore,
il viaggio
si compie, si fa meta
ultima, approdo. In suprema sintesi di una grande, purissima,
natura lirica.
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Recensione |
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