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Pagine. Sul filo sottile del tempo

Forse un paio d’anni fa, in una serata di conversazione letteraria tra amici, Lilia, mi accennò ad un suo scritto, “un racconto” - disse -, presentandolo molto modestamente. Su mia insistenza, mi fece dono della lettura di questo suo scritto. I contenuti, la grazia, la delicatezza, la sensibilità, quella scrittura poetica entrarono con immediatezza nel mio cuore, nella mia anima, suscitando in me immagini, sentimenti, pensieri, ricordi così vividi, da commuovermi fino alle lacrime.

“Lilia, è bellissimo! Devi pensare assolutamente anche ad un volume in prosa! Raccogli tutto il materiale che puoi e pubblica!” Dissi d’impeto, trasportata dall’affetto e dall’amicizia che mi legano a lei. “Veramente ho già scritto tanti racconti… li ho nel cassetto da tanto tempo, da anni”, rispose pacatamente Lilia.

Dal cassetto, tra i numerosi scritti, Lilia ha scelto questi trentacinque racconti, trentacinque scrigni che custodivano gelosamente pagine di vita di Lilia.

La poesia, Lilia l’ha nel sangue. Lei pensa in poesia. E la sua prosa non può che essere “prosa poetica”. Questa ci prende per mano e ci conduce proprio là, in quei luoghi della sua memoria, che è anche nostra memoria, di noi che abbiamo vissuto “quei” luoghi del tempo e della storia. Alcuni di noi, poi, hanno abitato proprio “fisicamente” quei luoghi, in quel periodo storico, del dopoguerra, quando un panino con la marmellata era una merenda già ricca, e forse l’unica possibile, da gustare senza alternativa alcuna.

In “Pagine” troviamo personaggi che hanno popolato anche le nostre infanzie. La nonna di Lilia, che tramanda ricette antiche, è anche la nostra nonna, che, munita di grembiule - come tutte le mamme e le nonne di allora - magari con modalità diverse, ci trasferiva un sapere che noi accoglievamo come “insegnamento”. Lo accoglievamo con rispetto e riconoscimento di un valore – quello della persona “anziana”- che avevamo interiorizzato, valore di cui, forse, non eravamo nemmeno consapevoli, ma al quale aderivamo grazie ad una cultura e ad una educazione che ci aveva formati in un certo modo. Il rispetto e il riconoscimento del valore delle persone mature, segnate dal tempo e dalle fatiche, appare chiaro nei racconti di Lilia. Persino “lo strazzaro”, l’”omino degli stracci” assume una sua precisa dignità di significato e di rappresentazione.

Lilia ci racconta di un suo quotidiano di bambina, illuminato e riscaldato da un inesauribile immaginario che sgorgava dalle favole e dalle storie che il papà sapeva inventare per lei. Forse, grazie a queste invenzioni, il padre stesso si alleggeriva di fatiche e pesi, costruendo e rafforzando, inconsapevolmente, un legame che nutrirà Lilia affettivamente, umanamente, poeticamente.

Come già nelle sue poesie, gli odori, i profumi “che stordiscono”, i sapori, i colori, i suoni, gli insetti, gli uccelli e il loro canto, i fiori, sono i protagonisti dell’esistere di Lilia, sembrano essere, potrei dire, quasi “geneticamente” presenti in lei. E lei è costantemente in dialogo con questi. Non esiste personaggio o passaggio di scrittura che non sia caratterizzato e impreziosito da un odore, da un colore, da una descrizione poetica tanto dettagliata e vivida da suscitare immagini anche in chi potrebbe essere affetto da “cecità immaginativa”. Credo che questo sia uno dei tanti grandi doni di Lilia.

Recuperando il suo essere bambina, Lilia trova parole, dà forma e dipinge magicamente l’immaginario e il mondo interiore del bambino: innocenza e spontaneità, curiosità e meraviglia, fantasie, incanti, sogni, desideri, timori, prendono forma e si definiscono chiaramente nella mente di noi divenuti ormai adulti. Noi lo ritroviamo quel nostro io bambino, lo rivediamo, lo risentiamo, lo risperimentiamo. E’ un grande regalo, questo, che Lilia ci fa, con le sue “Pagine”. Nel narrare il suo passato di bambina, Lilia ci consente di recuperare il “nostro essere stati bambini”, quando l’incanto era neve, era la Fiera di S. Lucia, erano i mandarini, le noccioline, qualche caramella, i doni e le sorprese che ci facevano sbarrare gli occhi e battere il cuore. Ed erano momenti di pura felicità, lampi di luce in un vivere modesto, a volte povero o ai limiti della povertà.

Lilia è stata una bambina che ha vissuto la sua quotidianità ai “Casoni”, rione popolare della città, vivo e pulsante di vita semplice, quel tipo di vita propria delle persone abituate a fatiche, a sacrifici, a guadagnarsi il pane quotidiano con onestà e rettitudine. Ma Lilia ha avuto anche la fortuna di vivere l’eccezionalità delle vacanze o del tempo libero, che il papà si ritagliava con estremo amore e dedizione, in campagna o nelle passeggiate nei boschi, dove Lilia trovava la magia di quel mondo ancora incontaminato, rispettato e amato anche per ciò che la terra generosamente donava. Funghi, castagne, mirtilli, fiori con i quali preparare sciroppi, rimedi “magici” preparati e custoditi con una cura che sapeva di tradizione, di una sapienza antica tramandata di generazione in generazione.

Un libro che ci riporta indietro nel tempo, senza, tuttavia, suscitare sentimenti di struggenti nostalgie. I nostri ricordi affiorano e si muovono lievemente nella nostra mente, come piume appena sollevate dall’aria. Sperimentiamo così tanti e multiformi sentimenti. Tra questi, la tenerezza, forse anche una “dolce nostalgia”, e un desiderio appena avvertito di regressione a “quell’età dell’innocenza”, quando la realtà poteva essere ammorbidita dalla fantasia e da un immaginario, spesso unica consolazione e compensazione ai momenti di amarezza e di frustrazione.

Per noi adulti, vissuti in quell’epoca, può essere anche questo. Per i nostri figli e nipoti potrebbe costituire una testimonianza, un insegnamento, un messaggio. E’, in ogni caso, poetica Storia.

Recensione
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