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Nella raccolta di esordio dal titolo vagamente zanzottiano, Galateo per enigmi, sembra prevalere il primo termine, nella forte presenza femminile evocata dal ricordo, nella scomparsa di una persona cara per indiscutibile decreto di Dio (e nei dubbi angosciosi che ne derivano), e si potrebbe perfino pensare a qualche ascendenza ermetica, ma non mancano nemmeno tragedie collettive come quella purtroppo ricorrente della guerra. Si incidono nella mente alcuni endecasillabi apodittici di particolare efficacia, sempre in posizione finale: "La luce è luce se non cede all'ombra", "Quanto dilemma per sì poca fiamma", "e il fiume muore quando cede all'onda", "la vita è vita se non cede al Nulla" (con il primo e il quarto che si corrispondono perfettamente nella struttura e il terzo che ne riprende un elemento fondamentale come cede). Il titolo del secondo libro, Daedalus, va letto, al di là di ogni suggestione joyciana, come allusione al labirinto in cui siamo rinchiusi dalla condizione esistenziale che ci accomuna, ma il pur difficile percorso, da cui emergono parole e nessi ricorrenti come la conchiglia (simbolo di rigida chiusura eppure anche di possibile apertura) e Dio tace, porta verso la luce dell'Ultimo atto, con il rifiuto di abdicare e l'invito ad "Attingere... gemme di memoria... e farne uscire inchiostro di verità": che oggettivamente assegna alla poesia un dovere etico oltre che estetico. Con Nello spazio della mente, che affonda nella dimensione del ricordo caratterizzato soprattutto dal sud dell'infanzia, questo programma comincia ad essere messo in atto. Al titolo rimandano continuamente espressioni ripetute o leggermente variate, come nei vuoti della mente (due volte), le valve della mente (due volte, e l'immagina riporta alla conchiglia), nei luoghi della mente, gli occhi chiari della mente, un crepitio di fiamma nella mente, che creano una circolarità conclusa, e tuttavia non labirintica bensì rassicurante. Rispetto a questo percorso La partita potrebbe sembrare una pausa di evasione, dedicata com'è al gioco del calcio (tema non nuovo nella poesia contemporanea, da Saba a Sereni, per non ricordare che alcuni esempi alti), ma non è così: il tono infatti è epico non ludico, ed è questa la prima volta che la poesia di Chiellino si avventura con chiarezza in questa direzione. Nel cerchio delle cose si apre su un noi in cui l'io si fonde senza annullarsi e da cui in qualche caso riemerge. A prima vista si direbbe su questa linea l'improvvisa comparsa del possessivo mio a farla da padrone sulla pagina, spesso evidenziato in anafora o comunque all'inizio di verso, ma paradossalmente si tratta di un mio in un certo senso oggettivo in quanto applicato alle cose (Il merlo, Albero, Farfalla, Il gioco della trottola ecc.): non a caso il titolo della raccolta scaturisce di qui. Ed ecco che La voce della terra e altre voci trae il suo maggiore punto di forza, e anche di novità nel panorama della poesia contemporanea, dal fatto di presentarsi con un tono epico e alto, di impostazione classica, ma coraggiosamente classica, perché alla poesia viene di nuovo assegnata la funzione vaticinante che un tempo le competeva, e al tempo stesso di composta modernità, a cominciare da lessico accessibile, privo di asperità e volutamente medio, aperto e comunicativo. Si susseguono possenti componimenti lunghi, che talvolta raggiungono quasi la misura del poemetto: La voce del vento, La voce degli eroi... La voce della terra fino a I poeti. Con Il volto della memoria si torna senza dubbio a una disposizione più intimamente lirica. Il libro è doppiamente sotto il segno della memoria: lo dichiara in modo esplicito fin dal titolo, tanto più che si apre con un testo, La maschera del tempo, dove una elegante convergenza metaforica (volto-maschera) mette in luce il significato più risposto dell'opera (ritrovare il volto dietro la maschera); lo rivelano non meno apertamente poesie come Il ponte dell'anima, perché il ponte è proprio quello del ricordo ("Getto corde di memoria | per annullare la distanza | che ci separa | e su questo ponte dell'anima | viaggiano i messaggeri | della tua presenza"). E la cifra dell'intera raccolta potrebbe essere questo perfetto endecasillabo: "La linfa della vita è nel ricordo". Il giardiniere impazzito è invece attraversato da cima a fondo dal tema della guerra e la parola più frequente è morte, che ricorre in quasi tutti i testi direttamente o indirettamente, per mezzo di sinonimi significativi. Quella del giardiniere è un'allegoria che non presenta certo difficoltà di lettura: sradica e brucia fiori e piante come l'uomo rovina il giardino della terra invece di prendersene cura. La guerra regna sovrana, la guerra di oggi o appena di ieri, che entra nelle nostre case attraverso gli schermi televisivi, oppure quella del passato ormai consacrata dalla storia: la guerra eterna, visto che l'uomo non sa rinunciarvi. La vena poetica di Chiellino scorre fluente, ma sempre con una nobiltà di accenti che deriva dal respiro epico; e ben presto si percepisce, accanto a quella estetica, l'importanza della dimensione etica del testo. La conclusione lo sottolinea: l'Epilogo si chiude infatti con un acrostico sul nome dell'autore, come a sovrapporre alla propria storia personale la storia di stragi e di vittime innocenti, quasi a rappresentare iconicamente il prendersene carico. E allora viene spontaneo affermare che con il libro successivo, Nel corpo del mutare, Chiellino si è messo a fare un amoroso inventario del giardino prima della sua distruzione totale visto che si apre con componimenti ciascuno dei quali è dedicato a una pianta. Ma la descrizione non è quella oggettiva del botanico: che le piante siano indicate con il loro nome scientifico non impedisce di avvertire, dietro l'apparente impassibilità del latino, l'intimo palpitare, il viscerale legame con la propria infanzia, con un tempo e con un luogo ormai lontani. Procedendo nella lettura, inoltre, ci si accorge che i singoli testi non sono irrelati, ma al contrario sono uniti l'uno all'altro da un procedimento insistito di ripetizione|variazione con la formula ricorrente «chiede... la vita»: al posto dei puntini si sostituisca di volta in volta un sostantivo pregnante («Chiede amore la vita», «Chiede colori la vita», «Chiede speranza la vita», «Chiede sorrisi la vita» ecc.) al quale è demandato il compito di racchiudere l'essenza di ogni pianta, della sua funzione vitale e simbolica nel mondo. È un trionfo della vita in continuo crescendo, che si oppone al trionfo della morte sempre in agguato. Risulta evidente che questa poesia di Chiellino non va assaporata come breve anche se intenso momento lirico, ma nella vastità del suo respiro poematico che coinvolge e assimila senza difficoltà elementi strutturali, di forte valenza costruttiva. Resta da dire della sezione inedita. C'è molta neve all'inizio, quasi a indicare un inverno dell'anima, e in effetti la natura come correlativo oggettivo esistenziale ritorna in modo magistrale in componimenti come il ruscello ("Scende veloce | l'onda del ruscello, | tra pietra e pietra, scintilla se una lama di luce la ferisce... | Com'è simile al suo il mio viaggio! | Tra ombra e luce, | tra riprese e cadute, | tra silenzio e voce") o L'altalena ("Fra burrasca e bonaccia | oscilla l'altalena della vita"). La stessa tela di parole del titolo nasce da una correlazione fra il poeta e Aracne che instancabile tesse la sua tela. La presenza di Dio si fa ossessiva, come è dichiarato esplicitamente ("Ossessiva è la Tua presenza") e come emerge da vari testi: si tratta di una sorta di filo rosso che attraversa tutta l'opera di Chiellino, e forse si può dire che dopo il dubbio angoscioso, dopo il tormento per la lontananza o l'assenza di Dio dei libri precedenti, il poeta è ormai vicino all'approdo della fede. L’antologia è introdotta da una corposa prefazione di Sandro Gros- Pietro e conclusa da un’ampia Rassegna critica. |
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