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In.questa silloge la poesia di Liliana
Ugolini, scrittrice e letterata fiorentina, esula da obbligate problematiche "al
femminile" e aggredisce il sociale nel suo insieme dialettico. La cifra
stilistica si affida al racconto, ma in quanto procede per stacchi e improvvisi,
con arditezze di simbolo dalla straordinaria efficacia.
Per questo vi si può cogliere, in ritmazioni
metonimiche, un seguito di impellenze critiche e rapidi dettagli dal tono
documentaristico: "le maschere vittoriane | svelano a mezzo | il cipiglio
d'occhiale coprono l'urto in accorto debutto di sciame | gli scialli slacciati |
intuiscono c'è lo sciatto di sottovestito lamié".
È qui che la penetrazione psicologica e
sociale, indice dominante della presente raccolta, arriva ad evocare altre
cadenze e altre arti come la pittura deformata e mordace del M. Ernst di Le
vêtement de l'épottse o il cinema del W. Borowczyk, salace e iconoclasta, di
Thérèse philosophe. Segno che nell'impostazione paradigmatica sono ben
enunciate, con sapienti e rivoluzionari sincretismi espressivi, l'ironia
surreale e la radicalità oppositiva "gettate" nella grottesca tortuosità del
vivere. In questa chiave La baldanza scolorata (si noti l'eloquente
sinestesia) apre scenari che, se da un lato si caratterizzano per l'inconsueta
libertà delle figurazioni rispetto ai dati concreti della realtà esterna,
dall'altro sigla, in virtù anche di ameni dinamismi, un'interrelazione della
condotta, la cui espressività, non poche volte di stampo picaresco, è dipanata
attraverso una concitazione dai risvolti fortemente emblematici, oppure scabra
senza prudenza e senza censure.
Di rado, in conseguenza, ci si imbatte in
sofismi o logiche capziose di indefinito: ciò che determina – con punte alterne
di sfocature, contrazioni, ampliamenti – motivi lirici fuori dalla
spettacolarità in quanto tale: "spezza chiglie la luna | complice l'inghiotte |
un mare di cristallo; | pesci invisibili attendono | la morte e l'acqua geme".
Talora – è vero – si assiste a sfaldamenti
repentini di senso, ad interpunzioni che seppelliscono e disotterrano sussulti
di rappresentazione, e però il progressivo pareggiamento di evento e allegoria
rimette in pagina il rischio dell'inconoscibile, ne tenta una convincente
trasfigurazione insieme con il sottotesto di una onesta riflessione tra la
verità e la contraffazione del mondo. Perciò il linguaggio sopporta bene lo
scarto del ritmo in tutto il saliscendi delle situazioni data l'originale
combine delle trasparenze, degli incupiti imbrigliamenti e delle estrose
commutazioni che con tutta evidenza risentono dei più validi dettati
avanguardistici. Dettati e statuti lessicali i quali – a nostro parere – si
infiggono in quel rapporto fra parola e arte visiva che, a partire dagli anni
sessanta, impegnò lo sconfinamento dei codici e la complicità della percezione e
della descrizione congruamente analizzati da Perilli, Battistuzzi, Vasio,
Calvesi, Pagliarani, Barilli, Vivaldi, Bettini, Mùzzioli, ecc... ecc... . Se in
un tale quadro è da collocare la sperimentazione stilistico-narrativa
ugoliniana, si deve rilevare come essa operi ottimamente in direzione
dell'interscambio delle due dimensioni: la visività e la verbalizzazione. Nel
senso che i due campi semantici con simultanee preriodizzazioni consentono di
rappresentare appieno la drammaticità dei conflitti interiori e, in ragione di
serie categorie liberatorie, denunciare i guasti e le miserie di un microcosmo
che ruota attorno al feticcio della potenza e alla mistificazione dei suoi costi
collettivi.
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Recensione |
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