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E può la poesia rivelarsi per vie buie traverse? quelle, ad
esempio, dell'angosciose presunzioni della lussuria? o quelle, più semplici e
quotidiane, della penetrazione, anche culturale, nell'infinita profondità degli
umori intestinali? e trar fuori poi in emozioni e e per mutevoli incastri il
primo delirio di un lessico stravolto e sodo o la valanga tormentosa di un
pensiero di vita e di morte nel turbamento metafisico del meditare nel grasso
rassicurante della brama e dei possibili orgasmi?
Ebbene
Veniero Scarselli si spinge sin dentro il sentiero (quale Male/Dolore o quale
Bene/Piacere?), nel ghirigoro delizioso, di golosa espiazione della materia o
dello spirito; dentro il vago orrore dell'insidia sporca/pulita alla ricerca di una
purezza estenuata, amata, per una gioia piena di sostanza e dolce come la
fragranza della carne morbida e calda. Nel giardino del ventre si dipana la
storia senza argini dell'animale bello e mai sazio: essere maschio per
rigurgitare un poco di desiderio (meraviglia turbamento per trovare la pratica
diversa, per germogliare nello sfintere della cara Niobe/amante il fiore antico
dell'angoscia); essere donna per generare sempre nuovi segreti per l'alibi
dell'eterno femminino, per la virginale perfezione della tenerezza sepolta nella
cloaca massima della sapienza e dell'armonia lungo la rotondità divina del
guscio, gluteo e budello in gemma saporosa, di corporale lontana beatitudine: «Il Grande Ano era lì
| sontuoso e protuberante, | il rigonfio dei succhi
caldissimi | e divoranti che urgevano e fremevano | intorno all'infuocato
cratere; | fingeva a tratti un suo cuore gentile | con la malia d'una lubrica
danza | dai magnetici moti sinuosi | per adescare le semplici e inermi | menti
animalesche degli uomini; | ma poi mostrava oscenamente il vero volto, | una
bocca carnosa e tumefatta | con l'urlo in gola d'una testa brutalmente |
spiccata dal corpo maligno, | pulsante ancora e per trionfo del Male | issata in
cima al palo della tortura: | era lo sconcio, mortale tabù, | l'orrendo totem
destinato ad accecare | la luce dell'incauto che lo guarda».
Poesia irriverente d'ogni coda e d'ogni falla, significante
soltanto nell'insonne gusto di una teatralità appariscente, tutta scenica, senza
forma, limitata al puro sospiro, al puro centro dell'anima, ma protesa in
esalazioni petulanti e forse un poco liberatorie nel mondo segreto del buio dei
sensi per ritrovare la luce o per fuggire con diletto prezioso la vaga immagine
dell'abituale orgasmo: il poeta ritorna bambino e gusta l'insopprimibile piacere
di entrare e uscire dal corpo femminile e per quella via tormenta il quesito
d'un'imposta pulizia, più sacra perché aperta nel gioco agitato della malvagità/
sporcizia. Un bimbo che sogna d'entrare nella grande pancia della madre, e per
istinto, crogiolarsi entro quei budelli lutulenti e densi: desiderio e timore,
perché la via dovrebb'esser altra, caverna dalle troppe scontate emozioni: «Io
pur riconobbi | il devastante sguardo magnetico | di quel mostruoso sfintere
soprannaturale | rigeneratosi come un fungo maligno | dalle schifose secrezioni
della colpa | che trasudavano dai pori del mio involucro | come da un otre di
carne inquinata; | io certo riconobbi | la voragine oscena dell'Ano | dal volto
che incatena perdutamente | le anime ed i corpi in un'unica | irrefrenabile copula bestiale
| con l'abisso
dell'autodissolvimcnto; | ma quell'infame ammasso animalesco | ch'era ormai
diventato il mio corpo | non fece un solo passo per fuggire | e gettarsi fra le
braccia sicure | delle stelle che vedeva allontanarsi | sempre meno lucenti di
salvezza».
Veniero Scarselli nel poemetto s'attorciglia in gloria e
trova pane... e lascia lungo il viaggio l'insana escrescenza dell'intelletto. E si rigenera in perfetta catarsi.
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Recensione |
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