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Nel romanzo Le grazie brune di Velio Carratoni il protagonista è un
giornalista con gli occhi eternamente sbarrati sulla realtà vista come corpo
femminile, attento al minino frusciare della sua coscienza, autoanalizzantesi
fino alla mania, ma allo stesso tempo estranea, distante, come se fosse capitato
per caso in una Roma belliana, viziosa e afosa. “Dimessomi dal giornale,
percepiti liquidazione e ultimo stipendio, vorrei fare un viaggio lungo, senza
programma. Entro e esco di casa”. Manio Moresi è incerto però sul da farsi, non
sappiamo se cerca contatti in prima persona o, ad esempio gli piace essere e
contattato. Tuttavia finisce in una bolgia infernale dove nemmeno la sua
lucidità, i suoi reportages, restano indenni. Tra le grazie brune spiccano la
ventisettenne Giada, viaggiatrice, la studentessa Monica, verso la quale il
nostro sembrerebbe pencolare. Sono tutte incallite libertine ma prive della
filosofia del libertinaggio e perciò sempre deludenti per il protagonista, che
le vorrebbe sadiane e settecentesche.
Il romanzo di Carratoni somiglia molto a
una inchiesta sull’universo femminile odierno dove la ricerca dell’orgasmo o del
famigerato ‘punto G’ si tinge di grottesco. Roma si rivela femminile in ogni suo
aspetto, compresi gli odori e i fetori che la accompagnano. Carratoni sembra
essersi ricordato di Foucault che sosteneva che il sesso, a forza di parlarne,
nel Novecento, è scomparso. È un voyeur Manio Moresi? Si definisce contemplativo
dell’azione. Cerca l’amore? Non vuole coinvolgersi, cerca semmai la distanza in
un mondo che ti spinge a scambiare le copia per l’originale. È un romanzo a tesi
quello che abbiamo appena letto? Il protagonista un suo progetto ce l’ha:
“ritrovare l’umanità della carnalità, prendendo le distanze da questa società
che avvolta nel suo bozzolo di plastica, promuove sola la circolazione di
individui artificiali, siliconati, ipercosmetizzati, salutisti al parossismo”.
Ci siamo, Manio Moresi è un moralista che vive un momento particolare della sua
vita, intravedendone, forse, il tramonto. Perciò diventa misogino e fa di Monica
un manichino moraviano. Le grazie brune si accoppiano di più di quanto pranzino,
nelle più diverse posizioni, e perversioni. Ma non cercate vellicamenti.
La
lingua di Carratoni è lucida, provocatoria, moralistica, grida tutto il suo
disgusto per un mondo inorganico. Bellezza notò che Manio Moresi non si sofferma
mai sull’azione meccanica dell’amore, resta “etereo”, così le donne del romanzo
diventano allegorie. Leggendo Le grazie brune mi sono tornate in mente Un amore
a Roma di Ercol Patti e certe pagine di sole e di afa della Roma di Cardarelli.
Insomma anche qui è l’atmosfera romana a far da padrona; nel senso della
controra, della canicola, dell’appiccicaticcio dei contatti insensati. Ma hanno
senso i sensi? Riapro il libro e m’immergo in una nuova lettura. Le grazie brune
non è un romanzetto usa e getta.
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Recensione |
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