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l'Enunciato

     in principio
ci vuole talento e pazienza, ci vuole
un silenzio, scivola lento, lente le ore,
cicche morsicate,
l’ultimo rintocco aveva voce roca,
dissentiva denti, digrignando che 
non vuole più dormire
e, non che sia rilevante, ma
le imposte erano chiuse

[un pettirosso beccava il vetro, aveva le ali]

una primavera fuori, fiori d’arancio,
foglie verdi, figlie da sposare,
unghie pittate sui corrimano, fermi
passi di raso. uno spago. la caviglia.
l’osso.
questi occhi non la smettono di nevicare.
non la smettono.
un inverno vale l’altro.
un attimo, un’ora, un anno

[il pettirosso moriva, aveva le ali]

un secolo prima, il vento
voleva, aveva gambe corte,
l’inverno, ossa di legno da interrare,
foglie, fuori è bel tempo,
figlie che fanno figli, un figlio,
gambe corte e ossa di legno
fiori a maggio, una vita, un giorno.
attimi. un grido che nasce non l’ho sentito
non voglio più dormire
la notte. un silenzio piange.
l’inizio, la fine e la vita in mezzo

     solitudinaRia
Fu un inverno con le pulci
a lasciarmi bocca asciutta
avevo gambe cortee
dita che giocavano corde tese
nelle mani di mia madre
L’acqua mancava già da troppe ore per avere sete
ero più povera della fame dimenticata nelle mani
ero malata, di quelle malattie che (.)

le chiami – e non rispondono.

malattie senza nome. Senza.
perché venivano solo di notte in sogno
sempre lo stesso
l’aria e il nulla sotto le mie gambe
una casa che è mia e che non posso vivere
perché ha buchi da tutte le parti
e il mondo dentro le cose che (.)

cado e non so rialzarmi.

una voce a dirotto,
acqua che incendia il cristallo
negli occhi e piange
la voce, una paura senza labbra
e quell’inverno da tutte le parti
una sfera ed io il centro
che per quanto possa patire mille altri freddi, ancora
non potrei mai scordare mai quello.
che le pulci addosso le sentivo mangiarmi la testa.
e morivo incinta di me ogni volta che (.)

dimentica sognavo

     funambolaRia
Le geometrie spigolose del mio viso
mi rassomigliano poco.
Me ne stupisco ogni volta
che mi guardo
e non ci sono.

Qualcosa di assente in un contenitore
pressoché vuoto. non Sono.

Ho gli zigomi che convergono diritti
verso un mento di vertigini.
Un triangolo per impazzire
quando ho fame.

Così ho provato l’acqua
ennesima speranza lacrima
a smussare scogli
di me che isola sconfino oceani
scavando i solchi che cammino sulle dita

     falsaRia
Eppure nella mia testa
ci stavi rossa, piena, come a dire
un desiderio di fragola che si fa carne. Viva.
Poi furono i castelli e la sabbia
e lo so bene che c’entri poco tu
– è il vento che sconfina gli anni –
e li perde.
Un attimo che (.)
e poi più nulla. Semplicemente così.

E dimagrivi, bulimiche ore pelle ed ossa.
Forse anima, forse
perché ti sentivo scalciare, grembo in un grembo
mai nata. Forse donna. Forse
Chissà se ti piaceva giocare con le bambole e
piatti di plastica coi fiori stampati e bambine
altre. Tutte chissàmammma come te.
Ma tu, eri spesso assente.
Così, semplicemente non c’eri. Nulla.

Anche se ci stavi tutta, ti si vedeva
eri tutta carne sempre, ci stavi rossa, si,
un desiderio di fragola. Che si fa donna.
Ora, il problema non è
che tu non sia mai stata donna, no.
Il problema è chi abbia mai misurato
il proprio respiro, col tuo di femmina
le notti che (.)
eppure nulla.

Eppure ci stavi tutta
nella mia pelle. Nuda.
mi riempivi anche l’ultima cellula.
Eri l’ovulo nell’ovulo. La mia carne.
Ora sei infinitamente piccola
un capolino di occhi oltre gli occhi, miei,
che vedo comparire talvolta.
E poi più nulla.

     incendiaRia
Ebbene, ho paura!
non pretendo certo
che quest’aria consumata
riprenda a respirare
adesso che finalmente so dirlo
forte e chiaro: ho paura!

Un trascurabile
innocuo quanto inutile dettaglio
che nessuno tra i presenti avrebbe detto.
Lo sapevo solo io
un segreto fragile da indovinare
così come lo sono le cose scontate
o distorte
perché in fondo è il sole
che sbaglia inclinazione d’iride
e brucia le anime, rifrangendo.

E si finisce cenere
a chiedersi
quando è stato questo buio?
con la paura che scava gli occhi
e un bel sorriso da esibire
ad ogni volo.

Mentendo.

     lacrimaRia
E’ solo una questione di spazi irrisolti
come dentro le onde del mare:
stanze vuote e grigie
e neanche una casa intorno.
dannatamente Sole
ogni stanza, un volto
ognuno estraneo all’altro e di se stesso
dentro il solito scialle di lana
in inverno. Dentro.

E fuori
freddo di tegole rotte
un tetto che franerebbe
sotto il solo peso di un pensiero.
Volti che il vento di finestre aperte
nasconde
esibendo la sola identità
di una lacrima facile
sulla guancia. Superflua.

E succede, la notte soprattutto
che dalla mia stanza,
veda il buio della stanza accanto,
un volto bambino, occhi grandi e chiusi.
Solitudine di labbra chiuse
silenzio al silenzio.

E dire che non l’avrei mai detto, male
questo male.

     refrattaRia
Stamattina si è svegliata
che aveva i capelli tutti arruffati
– lei –
occhi sudati, sudici, solo iride.
Io per conto mio
me ne stavo zitta
sedendo un uscio di spilli
tremavo foglia di nuvola rossa
piena di pioggia.

Centellinavo i secondi
con gli scatti che le muovevano la testa

Potevo dirle, volendone il coraggio
– mi userebbe la cortesia di restare ferma
anche un solo secondo, per favore,
per favore  –
ma non si parla ai sordi senza occhi
perché accade che poi l’aria vela
e loro annaspano con le braccia
i mari che li muoiono
Per questo poi ho taciuto
disegnandole labbra sul viso nudo.
E l’ho portata via.
da me che dappertutto il fuoco.

     smemoraRia
non ho anime sufficienti
a pagare questo debito d’amore
carezze alla solitudine
madre che salvi labbra
dietro sorrisi di finestre chiuse

e poi sere che la luna è lo scoglio più lontano
un solco di luce da riempire sempre
foglie smemorate e sangue, gli occhi

ché se lo guardo bene questo cielo
vedo solo il buio rimasto illeso
vento che ingravida tempeste
memoria di nuvola a maledire

e se a volte capita di bagnarmi lacrima
è perché resto incredula soglia
foglia basita di attese e
rugiada allo specchio
che mi urla nel cuore il male muto del mondo


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