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A quatto anni dalla scomparsa dello scrittore Romano Bilenchi, che tanta parte ha avuto nella storia della narrativa italiana di questo secolo, e che continua ad essere pubblicato e letto, Ferdinando Banchini gli ha dedicato un ritratto, con analisi e cronisitoria, in un originale saggio, pubblicato dal Laboratorio delle arti di Milano.

Il libro inizia con una esauriente presentazione di Domenico Cara, e termina con una nota bibliografica che ne elenca le opere e gli scritti, per poter approfondire c maggiormente conoscere il mondo di Bilenchi. La parte centrale ricostruisce la vita dello scrittore e i suoi momenti creativi, che qui brevemente riassumiamo.

Romano Bilenchi nasce a Colle Val d'Elsa (Siena) nel 1909 ed esordisce in letteratura collaborando, negli anni venti, alle riviste toscane «Il Selvaggio» e «Il Bargello», restando influenzato dal gruppo del cosiddetto «Strapaese», che aderiva e appoggiava il nascente regime fascista.

Nel '34 entra nella «Nazione» come redattore e approda ad un'ideologia di sinistra. La svolta in letteratura avviene l'anno successivo con il romanzo Il capofabbrica, dove lo scrittore inizia ad affrontare, con pacato realismo, i problemi sociali.

Il momento culminante della sua creatività, con una narrativa imperniata sulla rievocazione memoriale, sapientemente orchestrata nella fusione di analisi realistica e insieme lirica, resta il romanzo, pubblicato nel 1940 e ristampato nel 1973, Il conservatorio di S. Teresa. In seguito l'attività narrativa di Bilenchi subisce un vistoso rallentamento, se si esclude la raccolta di prose Una città (1958).

Lo scrittore, negli anni settanta, dà alle stampe un romanzo di impianto assai incisivo: Il bottone di Stalingrado (1972), sulle vicissitudini di un giovane fra guerra e resistenza. Successivamente, pubblica il racconto Il gelo (1982) e soprattutto prose di memorie e saggistica, fra cui Amici. Vittorini, Rosai e altri incontri (1982), ritratti di tanti intellettuali dell'ambiente e soprattutto toscano, frequentati nel passato, e Cronache degli anni neri (1984), ricordi del Ventennio.

Bilenchi, che fu anche direttore del «Il nuovo corriere» dal '48 al '56, si impose come narratore con libri di asciutto e limpido stile, oltrepassando i moduli della prosa d'arte, con un dettato pienamente aderente alla realtà.

Il merito di Ferdinando Banchini è quello di aver saputo costruire questo saggio sul Bilenchi con grande abilità. Si tratta, infatti, di uno studio avvincente, ricco di spunti ed intuizioni efficaci. Val la pena di leggerlo, perché sicuramente si tratta di un importante contributo per conoscere a fondo lo scrittore toscano.

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