| |
Dicotomie
Nel profondo coinvolgimento emotivo e nel piacere intellettuale che la
lettura dei versi di Nazario Pardini raccolti nel volume “Dicotomie” mi ha
procurato, desidero aggiungere, alle tante prestigiose note critiche, le mie
amichevoli parole a commento. Il dettato poetico rivela uno spirito vibrante di
passione, dolore, sentimento. L’Autore attinge dall’unica fonte in grado di far
sgorgare il vero canto: il cuore. La dedica in esergo “A mio padre e a mia
madre che hanno immolato la loro vita sull’altare dell’amore” permea tutto
il volume di sublime pietas, incancellabili memorie, speranze, umana
civiltà e inciviltà che, pur fra le stridenti ambiguità contemporanee, restano
incancellabili nell’anima. Una Musa, quella di Pardini che freme, soffre,
sboccia nei giardini del reale per decollare verso arditi approdi dove
convertire, forse, in gaudio, le lacrime.
Non saprei dire quale dei componimenti sia il migliore: tutti
possiedono una nobile orma di purezza, schietta ispirazione, liricità, raffinato
labor limae, impronta che sanno dare alla proprie opere soltanto i grandi
scrittori e gli spiriti capaci di risalire dal crudo materialismo verso gli alti
cieli degli ideali. E che siano ricordi di guerra sulla strada, in trincea, miti
oppure fragranti giornate di luce in una rinascente campagna, o ancora piane
azzannate vicino al mare, ombrelli di carta, barche di fuscello salpate da “coste
opposte” verso il sogno di una “terra di pane e lavoro”, tuttavia un
“raggio scampato alla sera” non si piegherà “agli artigli dell’ora”.
Sono immagini che sottendono inquietudini e raccontano l’ansia del
proprio e dell’altrui diverso destino con densa spiritualità, libertà ed eroica
meditazione: solitario privilegio dei poeti, semmai “in uno spazio vasto in
mezzo ai platani” di una campagna profumata di terra e mare “tra il
chiarore di lame | che vanno all’infinito” e respirano “aria d’eterno”.
La caducità dell’essere nel dualismo del “cemento che guasta la
collina” fra i “detriti dell’ingordigia umana” e “quei giochi del
tramonto sopra il campo” s’incarna nella materialità di parole dense di
pathos, finezza intellettuale ed esperienza etica.
Il poeta condivide luci e ombre dell’umana sorte e dei suoi misteri nel
vasto universo senza mai perdere la percezione di un originario, incontaminato
stupore.
Se, come afferma Eraclito, “l'armonia delle cose sta proprio nel
perenne mutamento generato dal polemos tra gli opposti, così le
“Dicotomie” di Nazario Pardini celebrano la meraviglia di un'empatia emotiva che
illumina ogni opacità del cuore. E nell’intimo tormento di un consapevole
tragitto terreno, quando più forte si fa il bisogno di confortarsi dai colpi
improvvisi dell’esistenza e di proteggersi dal freddo delle bare, “in qualche
luogo… l’alba nasce… là dove il gelo non arriva mai”.
| |
 |
Recensione |
|