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Nel
finito… mai finito
In un’epoca “consumata
d’innocenza”
e afflitta dal malessere, nella sua ultima raccolta “Nel
finito… mai finito”
(Prefazione di Plinio Perilli), Iole Chessa Olivares elabora, con intensità lirica, la ricerca di risposte possibili agli
interrogativi esistenziali, in conflitto tra le ossessioni del reale e l’aspirazione di restituire linfa
vitale alle speranze, frantumate dalle ingiurie e dalle sottrazioni imposte da una quotidianità troppo
spesso ostile. Già l’impatto cromatico con “L’oro
dell’azzurro”
di Joan Miro della suggestiva immagine di copertina, in cui un luminoso giallo paglierino si oppone alle nere macchie
che attorniano il grande blu, evoca l’antitesi tra una simbolica scia nera dell’umanità e
una spiritualità che possa dissolvere “ceneri”
e risarcire assenze e “antica
mestizia”
con un “nuovo
insaziato stupore”.
La silloge si apre significativamente “sul
cancello”
di un “tempo”
in cui cercare ancora “ciò che inebria e tramonta: / crepuscolo e aurora / mai scrutati abbastanza”:
inatteso sperdimento, ma anche rinvenimento del se, forse. Le sezioni in cui si
articola l’opera recano titoli intimamente connessi che si configurano come una nuova lirica: “Sospeso
d’azzurro / Il singhiozzo della mente / Il richiamo all’altro / In sillabe
Regina / Nel limbo che preme / Roma nello sguardo / Il mio mare”.
L’emblematica numerologia della struttura testuale si fonde con l’intenso significato del sette riverberato dalle
tradizioni mistiche antiche, nell’anelito di un andare “per
terre estreme / tra le agavi / nel preludio di una veglia / tirata al massimo”,
o nel
“muto esistere / del grande arcobaleno”,
che ne richiama anche i sette colori dello spettro visibile, o “nella
circolarità di passato e presente”
in una Roma con i suoi sette colli.
Le poesie sono connesse da un intimo legame
polisemantico, il cui punto focale si conferma nei versi del componimento che dona il titolo alla
raccolta “Nel
finito… mai finito”, preludio aperto sul perenne dualismo dell’essere che contrappone
razionalità e trascendenza “nella
fragilità del sibilo / nella mischia di transiti e attese[…] lasciando al tempo / il senso ultimo delle cose / la custodia per un’altra
nascita”.
La sapiente scelta lessicale e l’intensità icastica del dettato poetico fondono la dimensione
reale con quella esistenziale, in una molteplicità di tematiche fatte di “antiche
ostinate ombre / mai uguali / e… lo sfarzo / di qualche stella cadente”.
Iole Chessa Olivares percorre la vastità di un pensiero che “tocca
radici e vertice […] consapevole / nell’avanzare e ritrarsi / del confuso esistere”,
coinvolge in un crescendo lirico sospeso tra “approdi
di salvezza”
e “fantasmi
di ieri / di oggi”,
utopiche linee di confine “tra
vicina miseria / e lontana eternità / nella sfuggente meraviglia / di un respiro verde-celeste / sacro / a ogni
distanza”.
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Recensione |
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