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Kos
Raccontare un sogno, o meglio,
una fantasia dell’anima che aveva preso forma e vita fin dagli anni
dell’adolescenza tra pagine di poemi omerici, storie di Erodoto e di Senofonte,
liriche di Saffo e di Anacreonte, ottativi e aoristi forti o fortissimi, spiriti
dolci o aspri : alla debole luce della lampadina elettrica che illuminava la
scrivania, incombendo la traduzione di un brano di Isocrate o di Lisia, sul
ritmo degli eleganti periodi che si susseguivano come placide onde sulla
spiaggia, gli occhi spesso cessavano di fissare le parole ostiche e sempre un
po’ misteriose, che, meravigliosamente svelate dall’inesauribile dizionario
Rocci, avrebbero dovuto dare un senso compiuto al discorso, per perdersi
piuttosto dietro l’immaginata, infinita bluazzurrità frastagliata di
quel “greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col
suo primo sorriso”…...
Il sogno si era materializzato solo alcuni anni orsono
con il primo viaggio in Grecia, compiuto assieme a Milena, per festeggiare un
nostro importante anniversario di matrimonio. Atene ci era apparsa, dall’oblò
dell’aereo in fase di atterraggio, biancheggiante di costruzioni fittamente
stipate al centro di una conca aperta sul mare e adagiata sulle alture
circostanti come un vello ruvido e compatto. Di quel viaggio era rimasto vivo il
ricordo del marmo pentelico dei monumenti sull’Acropoli, candido contro un
cielo di un azzurro come da cartolina illustrata; dei raggi rossastri del sole
al tramonto, morenti sulle colonne doriche del tempio di Poseidone a Capo Sounio; della perfetta euritmia del teatro di Epidauro, chiara e meravigliosa
conchiglia posata sulle pendici di una collina e straordinariamente inserita
nel paesaggio circostante; della monumentale porta dei Leoni a Micene; della
piana di Olimpia dalle infinite suggestioni, dei reperti archeologici di Delfi,
della scenografica varietà delle coste, delle insenature, delle Meteore
massicce, delle siepi ininterrotte e multicolori di oleandri e di bouganvilles,
del mitico mare blu cangiante, delle succulente colazioni a base di yogurt e
miele greco.
E in terra ellenica avevamo voluto ritornare toccando Kos
con un volo notturno, dopo uno scalo a Creta. L’isoletta del Dodecaneso, posta
di fronte alla costa anatolica della Turchia, ci era apparsa solo il giorno
successivo nella sua incredibile varietà di colori, sfumati e diversi secondo
la mutevole incidenza ed intensità della luce che l’avvolgeva: una specie di
tavolozza naturale a cui un pittore come Apelle, di qui originario, doveva aver
attinto a piene mani per impadronirsi di quella sua famosa arte di cui purtroppo
non ci è rimasta alcuna documentazione diretta. La cingeva da ogni parte un mare
a strati di colore, dal blu cobalto fino al verde, disseminato di isolotti e
scogli di varie dimensioni, che la luce diretta del sole poteva evidenziare,
così come una subitanea foschia poteva cancellare dall'orizzonte.
Ci siamo immersi per una settimana nel clima dolce e
magico del luogo, percorso da venti leggeri e sovrastato da un cielo senza
nubi. Ci siamo messi anche sulle tracce del figlio forse più illustre di questa
terra, cioè di quell’Ippocrate che, nato appunto a Kos intorno al 460 a.C., è
ritenuto il fondatore della moderna medicina scientifica. Nell’omonimo capoluogo
dell’isola, in un’ombrosa piazzetta appartata denominata Platia Platanou, è
possibile vedere, “ortopedizzato” da un imponente apparato di sostegno, un
enorme platano ritenuto millenario, sotto i cui rami la tradizione vuole che
Ippocrate insegnasse ai suoi discepoli i segreti della scienza medica.
Poco fuori dall’abitato, a circa quattro chilometri a
sud-ovest, si possono incontrare altre testimonianze di come fosse tenuta in
onore la Medicina presso gli antichi abitanti dell’isola: un grandioso santuario
del IV secolo a.C., denominato Asklipiìo e dedicato ad Asclepio, figlio di
Apollo e discepolo del centauro Chirone per quanto riguarda l’apprendimento
dell’arte medica, sorge isolato sulle pendici di un colle interamente
circondato da un bosco frondoso e verdeggiante. Il tempio, eretto in onore del
dio della medicina, costituiva anche un importante luogo di cura in cui
operavano sacerdoti esperti nell’arte d’Ippocrate, mentre il complesso degli
edifici , ampliati ed impreziositi da successivi interventi, è disposto su
quattro terrazze degradanti lungo il pendio del colle fino alla sua sommità, da
dove si può spaziare con lo sguardo a perdita d’occhio sul vasto mare
antistante, punteggiato da isole di maggiore o minore estensione e chiuso ad
oriente dall’ininterrotta barriera della costa turca.
Dopo qualche giorno abbiamo attraversato con un veloce
aliscafo il piccolo tratto di mare che separa Kos dalla Turchia e abbiamo
raggiunto Bodrum, l’antica Alicarnasso, ritenuta la patria di Erodoto.
Affacciata su una baia incantevole, la città rivela
ancora le tracce del passato splendore, attraverso monumenti quali un’imponente
porta urbana, un antico teatro e un più recente Castello, anche se l’attuale
vocazione della sua gente sembra piuttosto orientata verso il commercio e il
turismo di giornata.
Siamo rientrati
con lo stesso mezzo prima di sera, in tempo per vedere dalla nostra piccola
isola del basso Egeo uno sfolgorante plenilunio, diffuso a rischiarare il cielo
e a guizzare riflessi su tremule acque marine, ultima istantanea di una specie
di sogno di una notte di tarda estate. | |
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