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La guerra del tenente Girolamo Buccellato
“Quando ci si trova nel declino della vita è
imperativo cercar di raccogliere il più possibile delle sensazioni che hanno
attraversato questo nostro organismo. A pochi riuscirà di fare così un
capolavoro (Rousseau, Stendhal, Proust), ma a tutti dovrebbe essere possibile
preservare in tal modo qualcosa che senza questo lieve sforzo andrebbe perduto
per sempre. Quello di tenere un diario o di scrivere ad una certa età le proprie
memorie dovrebbe essere un dovere “imposto dallo Stato”: il materiale che si
sarebbe accumulato dopo tre o quattro generazioni avrebbe un valore
inestimabile: molti problemi psicologici e storici che assillano l’umanità
sarebbero risolti.”
Non saprei dire se intorno all’affermazione, sopra riportata, del grande
scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Racconti, Feltrinelli, 1963)
ci potrebbe essere un consenso unanime. Sta di fatto che essa è stata presa alla
lettera da un altro per me “grande siciliano”, Girolamo Buccellato, che , nella
premessa al suo libro La mia guerra precisa:“Alla vigilia del mio 92°
compleanno, durante un inverno trascorso in solitudine, ho deciso di raccontare
per iscritto i miei sette anni di vita militare (1939-1945) affinché ne rimanga
memoria”. Ne è uscita una narrazione agile e coinvolgente, lucida e
circostanziata, che guida con perizia il lettore attraverso un lungo e mutevole
itinerario che segue il protagonista a partire dalle coste italiane, per
soffermarsi sul periodo di occupazione in Dalmazia, Montenegro e Albania, per
proseguire nell’esperienza drammatica dei campi di concentramento e di lavori
forzati tra le desolate lande polacche e tedesche, prima di veder recuperata
l’insperata libertà con l’agognato ritorno, dopo mille difficoltà e infinite
sofferenze, alla Patria e agli affetti mai dimenticati.
Se pensiamo che questo libro, così ben strutturato e di agevole lettura, è
l’opera d’esordio di un autore di età non verdissima, ci sarebbe già materia
per un piccolo “caso letterario”; ma la ragione per cui ho letto queste pagine
con una particolare emozione (aldilà, ripeto, del loro intrinseco valore) è
legata al fatto che l’Autore ha vissuto tutta la sua lunga esperienza bellica
accanto a mio padre, condividendo con lui, con senso del dovere e in amicizia
fraterna, responsabilità di comando alla 5° Compagnia-2° Battaglione-130°
Reggimento della Divisione Perugia, di cui, nei vari capitoli, viene ripercorsa
la vicenda storica, seguita fino all’epilogo con una ricchezza d’informazioni e
di testimonianze davvero notevoli.
Chi si mette a leggere libri di guerra, non può in fondo non sentire l’influsso
di proprie letture giovanili e riguardo agli autori classici potrà avere forse
come modelli o riferimenti principali Cesare o Senofonte, conosciuti sui banchi
di scuola: in questo libro però il lettore non troverà, se non marginalmente, le
audaci strategie o il fragore delle battaglie tipici dei testi cesariani; vi
troverà piuttosto la generosa dedizione, l’impegno quotidiano, la solidarietà
cameratesca, il tenace sacrificio, l’amicizia autentica, o, in una parola,
quella tanto naturale umanità che riesce a sopravvivere anche in quella
drammatica “anabasi” attraverso un’ Europa ferita e dilaniata. Per rendercene
conto basterebbe rileggere quel piccolo capolavoro che è il breve discorso (“l’orazion
picciola”) che l’Autore tiene ai suoi soldati a Tepeleni (Albania), dopo
l’armistizio dell’8 settembre 1943: “Miei cari soldati, avete tutte le ragioni
per esultare alla notizia che la guerra è finita. Pensiamo però quanti
sacrifici, quanto sangue, quante sofferenze ci sono costati. Pensiamo alla
nostra Patria e, in particolare, ai morti e ai tanti feriti. Guardate laggiù
(indicai una vallata), proprio laggiù sono morti tanti nostri fratelli”. Non c’è
retorica in queste parole, ma solo una dignitosa, commossa ed umanissima pietà,
che è un po’ la caratteristica distintiva di tutto il libro e della guerra del
tenente Girolamo Buccellato.
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Recensione |
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