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Nota critica a
Dalla terra di confine
di Marilla Battilana

Silvio Ramat
Da dove prender le
mosse per leggere con un minimo di criterio la poesia di Marilla Battilana?
Forse ci giova l'epilogo di questo componimento dell'ultima sezione de La corona
d'oro e altre pagine (2002): "è l'umorismo l'albero del bene / e del male,
alfaomega di / ogni visione etica. // Questa / la mia dichiarazione di poetica".
Una "dichiarazione" datata 1995: elogio o riconoscimento dell'"umorismo", che
non è sinonimo di "ironia" e semmai scomodando Dickens piuttosto che Pirandello,
indica la facoltà di cogliere — e di restituire in verbis — taluni aspetti di
una situazione presente o passata, reale o fantasticata, che ai più sfugge.
L'umore della cosa, del gesto, del pensiero.
Chi accompagni la poesia di Marilla, dagli esordi (godibilissimi a una
rilettura a distanza, se sfoglio L'erba rompe le pietre, 1960, ristampato di
recente dalla Venilia, che ha riproposto anche Valore Zero Valore, 1968) fino
alla Sequenza friulana (2004), passando per quell'altro nodo sostanzioso
che è il poemetto in memoriam — primi anni '90 — La corona d'oro, obietterà subito
che il polso drammatico, sia familiare sia storico-politico, di entrambi i testi
menzionati dissuade dall'esagerare peso e vigore della rubrica "umorismo",
quando fonte e materia
dell'ispirazione siano il lutto o la strage. Certo; ma all'evocato "cugino
germano" Gianni P. si convengono anche motivi addirittura comici, anzi la
stagione che il ricordo celebra con più incisività si costella di figure ed
episodi che inducono il sorriso, come la "grande manovra" del bucato cui dava
lena la "nonna imperante". Di contro, c'è l'incubo dell'industriale chiuso nella
sua robusta Volvo a proteggersi dall'assalto dei dimostranti. Mi sembra che un
sapido "umore" si sprema tanto dall'una scena quanto dall'altra.
Forza specifica — e persuasiva di Marilla — è il serbar la mano leggera anche la dove l'argomento
indurrebbe alla gravità: Con leggerezza, del resto, lei si era mossa ne L'erba
rompe le pietre, concedendosi amabili fantasie giovanili, sul tipo di "Oggi
Milano è una città di mare / vedremo barche / passare fra le case, / le tende
dei negozi farsi vele ...", o descrivendo, della città in cui è nata, la fiera
di Porta Venezia con i "serissimi bimbi" e i "vorticosi cavalli di legno".
Sopraggiunse poi, in fruttuosa pungolante simbiosi coll'esercizio della
pittura, la pratica della poesia visiva, un registro di incroci mai
abbandonato. Sembra agevole scrutinare in questa prospettiva combinata o
'impura' un libro come Valore Zero Valore, in cui d'altronde si assumono
dall'esterno, per farne sagome o manichini (ai limiti del grottesco), personaggi
votati magari a entrar nella storia ma intanto — come il generale Moshe Dayan,
eroe della guerra dei Sei Giorni — paradigmi disponibili a un trattamento
`umoristico'.
Era quello il
periodo non si dice di adesione ma di più scoperto uso delle tecniche
liberatorie, se non proprio libertarie, promosse in area di neoavanguardia. E il libretto del
1979, telefonare al boss, si lega ancora a quella fase, ma in una chiave
sovranamente "umoristica". Altro epiteto non troverei a designare il tono
basso, la prosasticità, la mimesi che sfiora it grottesco, riraccontando la
"Contestazione", dettando il da farsi ai "cari collaboratori" (di chi sa quale
impresa culturalpolitica), o recuperando con malizia il topos delicato dell'Ubi
sunt?: "Dove sono i ragazzi del '68?" e sciorinandone qualche nome: Alberto,
Carlo, Cesco, Bruno...; oppure, con un lapsus feroce, e in tutte maiuscole,
lanciando la parola d'ordine: "GODERE OPERAIO!".
Non che il gusto
della parodia — abbraccio velenoso — delle cause risibili si esaurisca dopo la
raccolta del '79. Occhiodiamante, pubblicato alle soglie del '90, s'innesta con
assoluta coerenza su quell'itinerario, da cui peraltro non deviano, fuorché
nella struttura, i Racconti d'America e d'Italia (1991) e i romanzo breve ma
ambiziosamente orchestrato Viaggio a St. Louis (1994). Il "diamante" e l'amante"
implicati nel nuovo titolo — funzioni complementari, non alternative —
esprimono lo scintillio, la durezza, il fervore dell'opera sin qui centrale sul
cammino poetico di Marilla. Lo provano la partitura accuratissima e la conferma
dell'"umorismo" di fondo, là dove il libro si porge come "sequenza
liricofilosofica", mentre è ovvio che il poeta in questione ha riposto da tempo
in qualche armadio lo scheletro della "lirica" e alla "filosofia", come sistema
non ha mai dato ascolto. E dunque libertà spregiudicata, facoltà di intestare
man mano all'Estetica e all'Etica, alla Fenomenologia e alla Cosmologia, alla
Teleologia e alla Metafisica tutto quel che l'immaginazione o la memoria
permettono o regalano: "Ho visto una gatta / avere problemi etici. /
Quattro creature messe fuori / della porta — miagola / e lascia vivere —
l'attiravano / in modo irresistibile..."; "Fenomenologia è / una scampagnata nel
sole / la fuga del guardone da dietro / la siepe, la paura / di un cagnaccio
ringhioso / sfuggito sull'aia al padrone / la speranza di rivedere / con te /
il flamingo rosa le orche / ammaestrate della Florida...".
Accennavo a La corona d'oro: indubbiamente la suite e il cuore del libro del
2002, però fra le "altre pagine" che gli conferiscono una fisionomia articolata
e varia c'è il gruppo degli `UMORI'. Si riparte da Milano ("dove sono nata — ma
/ in trasferta..."), ed è un riconoscere gente e luoghi per mezzo di viaggi,
effettivi o dello spirito, nei quali — peculiarità di questa poesia —
l'"umore", sì, cola ma non in forma di lacrima. E la Sequenza friulana
s'avvale di questo freno — istinto, bravura acquisita strada facendo — per
imporsi in una sua comunicativa autorevolezza. Il gemito — estrema "umorosità" —
degli alberi testimonia la moderna empietà, l'offesa a una plaga che anche nei
secoli remoti patì l'insulto, l'orrore. È il primato di un punto di vista
oggettivo, ineccepibile, anche se da sempre, come gli umani, "Hanno loro sogni
le piante, gli alberi / dei boschi". Lirismo in agguato? Macché. I grandi
miscelatori di registri (specie Ezra Pound, le cui teorie economiche e sociali,
tacciate abitualmente di utopismo, Marilla vede applicate in un villaggio della
Carinzia, e ne riferisce nel diario La muraglia di Gmünd, 2000) insegnano come
trarsi d'impaccio in simili casi: ed ecco allora l'immissione prosaica,
volgare, cinica, di "quel / brav'uomo di Churchill", che "dopo l'armistizio"
ammette il proprio sbaglio, senza commuoversi affatto per le sciagure di una
comunità.
È un brano
esemplare, anche questo, dell'"umorismo" che contraddistingue e punteggia
l'intero arco della poesia di Marilla Battilana, segno di un'intelligenza che
sa spostarsi con agilità dal comico al tragico e viceversa.
da “Vernice”, rivista
di formazione e cultura, anno XII, n° 33/34, giugno 2006, pp.183-184. Si ringraziano qui
sia l'Autore che 1'Editore per il permesso di riproduzione dell'articolo.
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