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Senhal e la rosa

Il nulla è una esperienza filosofica, estetica, e la poesia, il linguaggio più astratto e concreto che dal nulla trae sostentamento e materia nitida per ‘discorsi’, suoni, segni, è la lingua di un montaggio di sensi e rappresentazioni. Nel libro Senhal e la Rosa di Giovanni Sato, questi ‘sensi linguistici’ potremmo definirli, vengono rappresentati e si stagliano in un meccanismo di inconscio linguistico, riemergendo e aspirando ad una unità di forme enigmatiche e terse allo stesso tempo,restituendo al lettore un dettato quasi totemico, distillato, dove ‘puzzle’ della lingua immaginata si specchiano nel loro possibile rovescio, tornando legame unito e mimetico a ricomporre ‘l’unità perduta. Versi come:

‘il vero prende forma
Si spoglia dello sguardo,
somiglia questa sponda
al giorno
che non torna
.

preludono ad una ‘soglia’ di attesa oltre che ad un orizzonte dove il ‘vero’ riassume una funzione vitale, organica, non più limitrofa e deprivata di significanza.

La rosa è un simbolo complesso, che torna nelle rappresentazioni sacre, nelle filosofie occidentali e orientali , nella poesia omerica e greca classica, basti pensare a Saffo e alla sua ‘Le rose della Pieria’ dove l’immensa autrice, identifica la rosa con l’intera sua poesia.

Inoltre, secondo alcuni studi il nome Rosa deriverebbe dal sanscrito vrad o vrod il cui significato è ‘flessibile’.

Qui la ‘flessibilità’ è una forma di accoglienza delle forme e, per citare nuovamente il verso di Sato, delle ‘forme del vero’. Come è stato scritto nella nota di copertina, Senha, nella poesia provenzale, era il nome dietro il quale si celava la donna a cui era rivolto l’omaggio del poeta.

Ma qui in realtà il ‘velato’ più che celato,sembra una intenzione chiara per dirsi in ‘altro modo’, di trasferirsi al lato della lingua e dell’ accumulazione sperimentale spesso sovrastante in molta ricerca contemporanea, e da questa posizione di rifinire le maglie di una lingua ‘affrescata’, concentrata e distesa allo stesso tempo, letteraria per conoscenza, filosofica per vocazione. Molte delle poesie sembrano davvero tessere di un discorso che s’interroga non solo sullo ‘sfinire’ delle rose/cose, ma sul loro divenire simboli culturali così potenti da raggiungere l’apoteosi, dunque la trasformazione finale di ogni messa in scena in ‘forma dl vero’.

perché il fiore
ha smesso di sbocciare
nel tempo delle foglie?
Ha lasciato
il giallo colore
apoteosi d’amore,
e alle nubi alte ha dato luce’.

Recensione
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