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Senhal e la rosaIl nulla è una esperienza filosofica, estetica, e la poesia, il linguaggio più astratto e concreto che dal nulla trae sostentamento e materia nitida per ‘discorsi’, suoni, segni, è la lingua di un montaggio di sensi e rappresentazioni. Nel libro Senhal e la Rosa di Giovanni Sato, questi ‘sensi linguistici’ potremmo definirli, vengono rappresentati e si stagliano in un meccanismo di inconscio linguistico, riemergendo e aspirando ad una unità di forme enigmatiche e terse allo stesso tempo,restituendo al lettore un dettato quasi totemico, distillato, dove ‘puzzle’ della lingua immaginata si specchiano nel loro possibile rovescio, tornando legame unito e mimetico a ricomporre ‘l’unità perduta. Versi come:
‘il vero prende forma preludono ad una ‘soglia’ di attesa oltre che ad un orizzonte dove il ‘vero’ riassume una funzione vitale, organica, non più limitrofa e deprivata di significanza.
Inoltre, secondo alcuni studi il nome Rosa deriverebbe dal sanscrito vrad o vrod il cui significato è ‘flessibile’. Qui la ‘flessibilità’ è una forma di accoglienza delle forme e, per citare nuovamente il verso di Sato, delle ‘forme del vero’. Come è stato scritto nella nota di copertina, Senha, nella poesia provenzale, era il nome dietro il quale si celava la donna a cui era rivolto l’omaggio del poeta. Ma qui in realtà il ‘velato’ più che celato,sembra una intenzione chiara per dirsi in ‘altro modo’, di trasferirsi al lato della lingua e dell’ accumulazione sperimentale spesso sovrastante in molta ricerca contemporanea, e da questa posizione di rifinire le maglie di una lingua ‘affrescata’, concentrata e distesa allo stesso tempo, letteraria per conoscenza, filosofica per vocazione. Molte delle poesie sembrano davvero tessere di un discorso che s’interroga non solo sullo ‘sfinire’ delle rose/cose, ma sul loro divenire simboli culturali così potenti da raggiungere l’apoteosi, dunque la trasformazione finale di ogni messa in scena in ‘forma dl vero’.
‘perché il fiore |
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