| |
Un tiro mancino
‘Erano stati in guerra e non lo sapevano’. Così si chiude, o meglio si
apre la parabola di una ‘eterna giovinezza’ che si riconosce nella sua finitezza
e in quel momento si ‘umanizza’ l’astratta e corporea nello stesso istante,
euforia della crescita. Questo sa compiere la forma del racconto: restituire un
ritmo di aderenza al tempus fugit, rendendo ogni atto figlio e padre di un mito
così irreversibile e attraente come l’adolescenza.
Il libro di Monica Florio,
Un tiro mancino già da come scandisce le sue tre parole chiave in copertina:
Omofobia, Conformismo, Narcisismo digitale, prelude a una narrazione
consapevole, cogente, e incide un segno indelebile nelle pagine a seguire. In
realtà più che pagine, quelle di questa piccola grande epica italiana vista e
(come) ‘scritta’ da un gruppo di adolescenti, sembrano davvero delle ‘pietre
dello scandalo’, perché l’adolescenza stessa con il suo manifestarsi scandalizza
e disorienta i linguaggi e le strutture sociali, le nevrosi familiari, le
costruzioni collettive fitte di miti che spesso si sfaldano e sono duramente
messi alla prova in termini di durata e di ‘fascinazione’.
Già, perché di
rapporto fra fascinazione e ambiguità, tra avanzamenti e retrocessioni,
linguaggi naturali e inventivi e codici imposti e autoritari, si tratta e
trattano i capitoli di questo ‘piccolo mondo contemporaneo’. I protagonisti sono
tre ragazzi, due ragazze e un ragazzo, e già qui il mito della triangolazione
rende lo scaturire delle cause e degli effetti delle loro ‘avventure’
estremamente ‘stringente’ se non a tratti ‘claustrofobico’ in un senso di
efficace ‘messa a fuoco’ di caratteri e psicologie. Ecco, gli archetipi
dell’oggi: due amiche/nemiche, Milena e Veronica completamente opposte dunque
attratte e respinte l’una dall’altra, e Marco, un giovane poco più grande che le
attira ma che diventa anche il polo di confronti, intrighi, ambiguità, di
regressioni e conformismi. ‘Siete due intriganti, ma la colpa è mia che vi ho
dato confidenza’.
Di ‘scimmiesche rappresentazioni del mondo attuale’, si racconta anche, che
però danno spazio e tempo e ‘occasione’ a una evoluzione graduale e sottile,
piena. Una storia di omofobia con momenti tragici e violenti di ‘punizione’ per
l’omosessualità del ‘mito’ delle due ragazze che diventa una storia di coesione
e di complicità. Da farsa a tragedia,da vuoto a pieno. Con una lingua regolata,
ritmata al tempo dell’ ‘età verde’, tra termini emblematici come ‘comprensione’
e ‘imbarazzo’, tipici di questa età, fino all’utilizzo di gerghi e modi abituali
dei giovanissimi, l’autrice pare tentare un colpo preciso :restituire,
attraversando le spaccature e le ferite di questa generazione, la leopardiana
promessa: di rendere poi quel che è stato promesso allora‘.
| |
 |
Recensione |
|