|
I graffi della luna
Un mondo di liriche apparentemente trasparenti come acqua sorgiva e che, proprio come ruscelli, sgorgano tra armonie di endecasillabi, di assonanze, di allitterazioni, di similitudini, di scelte sonore vibranti, creando atmosfere tese a scoccare le frecce delle grandi verità dell’esistenza attraverso l’arco dell’innocenza. In tanta innocenza, che non s’identifica con il candore fanciullesco, ma con la propensione a volgere lo sguardo al tempo con integrità, l’Autrice si rivela donna sin dai primi versi e scrive al femminile, creando ‘l’alveo’, il grembo, citato da Ruffilli, ma anche scivolando nel ventre della terra, alle origini della storia dell’umanità. Roberta è donna nell’accezione piena del termine, ma lascia pensare a una femminilità che sia ‘casa’, eros freudiano, fecondità, luce e mistero.
Come non pensare alla vicenda edenica, al serpente tentatore, nel quale le varie correnti psicologiche hanno identificato la sessualità maschile? Contrapposizione, quindi, tra la donna – casa e l’uomo – serpente, simboli dell’impulso amoroso, di quell’erotismo che in psicoanalisi è considerato istinto di vita, di autoconservazione, contrapposto a thanatos, l’istinto di distruzione. La nostra Autrice, Poetessa raffinata e disarmante, nel viaggio tra le epoche e le traversie dell’esistenza, narrate in forma allegorica, non ricorre all’ermetismo, non si nasconde dietro mura impenetrabili, corazze di difesa. Ella adotta cascate di immagini, che come arpeggi, cesellano desideri, sensazioni, gioie, disillusioni. Mi soffermo sull’ultimo termine, in quanto, a mio umile avviso, la poetica di Roberta Degl’Innocenti è permeata da un senso intimo di sofferenza, di ricerca di quel qualcosa che ossessivamente manca…
Sottolineare la potenza espressiva di tali versi è superfluo. Il dolore si percepisce, graffia l’anima, ma è amarezza levigata, come i ciottoli sulla rena, dalla capacità dell’Autrice di veleggiare oltre le sponde del comune versificare. Ella si attiene a un registro di tale levità, musica, incanto, che sembra voler dire nell’intento di non ferire e forse di mantenere integro il potere catartico del suo lirismo. Eppure le tematiche trattate sono spesso forti, ai limiti della crudezza, ma il merito della nostra Poetessa è di porgerle con eleganza e raro potere carismatico.
Versi che trasmettono la tensione del vivere, ma anche e soprattutto l’attrazione verso gli aspetti sanguigni dell’amore. Roberta non ha remore nell’esprimere concetti forti, ma sa filtrarli, che è impresa di raro spessore. L’amore, inteso in tutte le sue accezioni, s’innalza vivido protagonista delle liriche tessute tra l’alveo e il serpente ed è amore di rimembranze, di languori, di attese, di amplessi. Divini gli affreschi degli incontri. Echi nerudiani pervadono, talora i versi, non a livello contenutistico, ma nei suoni ricchi di voci all’apparenza misteriose, nelle concessioni alle espressioni estatiche, ineffabili, al gettito incontenibile di metafore. Nel contenuto l’Autrice è vicina solo a se stessa. La sua onda lunga di musica e colori ardenti lascia storditi:
I versi sono tratti dalla poesia che dà il titolo alla Silloge, un testo che decolla subito e nel suo animismo magnifico rende donna la luna , donna palpitante in un buio, indefinito fallo, teso a sedurla con battiti convulsi. Roberta si posa su rive universali per poi raccogliersi in una chiusa che riassume l’amore come coagulo cosmico. Scorrendo la Silloge ho preso atto che anche l’Autrice fiorentina riesce a tessere una sorta di narrazione in versi… dico ‘anche’ perché ho riscontrato questa peculiarità in altre due Poetesse. Ella tiene unito il logos con il filo della seduzione. A fronte di una serie di rappresentazioni atmosferiche in movimento, con disegni a zigzag di grande risalto pittorico, il richiamo seduttivo è costante d’ogni lirica e, soprattutto dei versi adottati come cerniere per chiudere le poesie stesse. La narrazione in versi sembra subire un’interruzione con il componimento “Fogli del respiro”, in cui l’Autrice passa al registro esistenzialista, donando anima ai libri.
Ma, incredibilmente anche il testo di questa lirica è inserito nella consecutio della Silloge e il flusso narrativo è pervaso di sensualità. La Silloge presenta vari Capitoli: Ragazzi e Sogni; Omaggio a Fabrizio De André; Il sogno della neve; Rossomiele; Viaggi indiscreti; La casa dei mattoni rossi e il distinguo operato da Roberta non alza barriere tra gli argomenti, ma crea una logica espositiva che accresce il potere narrativo. Ella ascolta la sinfonia dei ricordi, testimone della propria patria interiore, anche quando il volume della musica è troppo alto. Come accade a troppi, forse a tutti, non può smettere di ascoltare.
Pervinca sembra essere il colore più consono ai sogni. Alle storie desiderate e mai vissute. Al malinconico incantesimo dell’adolescenza, che viviamo come malattia esantematica e rimpiangiamo per tutto il tempo a venire. Costante il riferimento ai ‘graffi’ e alla ‘luna’. Le notti, vetrine di seduzione, sono state e restano le isole di smarrimento delle nostra Roberta. La lirica “Ragazzi e sogni”, echeggiante “I ragazzi che si amano” di J. Prévert, ha sapore tonante di ricordo dal quale attingere energie per edificare e redimere le delusioni del futuro e per dar vita alla ‘cattedrale della sua poetica’.
La notte, per un intrigante gioco artistico, resta sovrana nel versificare di Roberta. Anche il capitolo intitolato “Il sogno della neve” e la lirica omonima rappresentano un tributo al buio. E forse in questa scelta si potrebbe trovare l’ennesima conferma dello scrivere al femminile, dando ai versi connotati di alveo… Ma scendo nel campo dell’eccessiva tendenza interpretativa… Di fatto la notte è molto cara all’Autrice, le brume della città sembrano adattarsi al fervore creativo.
Le liriche dedicate a Firenze, la sua città, sono amplessi intesi nel senso effettivo del termine, ovvero ‘abbracci’ stordenti, tesi a rendere l’idea della comunione con i luoghi delle radici. Roberta lega al logos del suo narrare le città visitate, che hanno musiche antiche, superbe come gli uomini che ne hanno cantato le gesta:
Genova, “regina sfacciata di purezza”, è luogo della memoria e l’Autrice nel parlare dei viaggi dimostra di essere consapevole della grande verità asserita da Pessoa, che non siamo noi a intraprendere i viaggi, ma loro a ‘fare’ noi. Gli amplessi si succedono e il testo resta unità narrativa. Porta in sé numerose storie e le narra con mormorio d’onda in risacca, seguendo i gesti dell’amore che danzano su lande virginali o sull’inevitabile nuovo tempo sofferto. Su uno sfondo mitico, dove il mito è origine della vita e non vicenda favolistica, Roberta allude alla donna proiettata in una dimensione cosmica, che la rende sovrana del tempo, dell’alternarsi del giorno e della notte, della cui alternanza ella costituisce il perno. 09/12/2012 |
|
|